Aldo Amoretti – Il Diario del Lavoro https://www.ildiariodellavoro.it Quotidiano online del lavoro e delle relazioni industriali Mon, 18 Mar 2024 09:59:53 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.4.3 https://www.ildiariodellavoro.it/wp-content/uploads/2024/02/fonditore.svg Aldo Amoretti – Il Diario del Lavoro https://www.ildiariodellavoro.it 32 32 Ma davvero le commissioni interne non erano elettive? https://www.ildiariodellavoro.it/ma-davvero-le-commissioni-interne-non-erano-elettive/ Mon, 18 Mar 2024 09:59:53 +0000 https://www.ildiariodellavoro.it/?p=184461 (note a un intervento di Ivan Pedretti)

Ivan Pedretti ha concluso la sua vicenda di Segretario generale di SPI (Sindacato pensionati della Cgil) con elezione al suo posto dell’ottima Tania Scacchetti, con un discorso bello e giusto, macchiato da uno svarione davvero grande.

Ha spiegato la sua militanza iniziale in Fiom ed Flm coincidente con la novità dei delegati e Consigli di fabbrica, motivata da una grande spinta e voglia di partecipazione democratica vissuta con uno scontro pesantissimo di “noi ragazzi dei Consigli” eletti su scheda bianca nei riguardi delle Commissioni interne “nominate dai sindacati”.

Avrebbe così partecipato ad una sorta di invenzione della democrazia fino ad allora non praticata dalle e nelle organizzazioni sindacali.

Ma davvero?

Proviamo a citare qualche caso.

La sconfitta di Fiom e Cgil alla Fiat nel 1955 non era perché si trattava di elezioni?

Aris Accornero non era stato eletto nella Commissione interna della Riv per essere poi condannato al reparto confino?

Parliamo della mia terra di Parma.

Le Commissioni interne erano per le aziende con più di 25 dipendenti. Come previsto dagli accordi nelle imprese più piccole si aveva diritto a un Delegato d’impresa. Da agosto 1961 (17 anni) all’aprile 1963 lavoro alla filiale Fro (Fabbriche riunite ossigeno). Sono eletto Delegato d’impresa; poi passo al sindacato proposto dalla Camera del lavoro.

Alle vetrerie Bormioli c’è la Commissione interna e arriva il tempo per la sua rielezione. Grande discussione per la lista Cgil. Il sindacato forza la mano per promuovere un rinnovamento e si arriva a non ricandidare uno dei cosidetti “senatori”. Si trova poi il suo nome scritto su decine di schede che vengono naturalmente annullate.

Alla Barilla la Cgil non c’è. Tre persone si iscrivono alla Filziat-Cgil e cominciano a costruire l’organizzazione in fabbrica. I nomi: Miria Casamatti, Pedrelli e Mecatti). Nella Commissione interna non c’è nessuno di Cgil. Casamatti è la capopopolo del reparto confezionamento. Tutte donne. Quando si avvicina il tempo per la rielezione della Commissione interna viene promossa impiegata e dislocata a lavorare (a fare niente) in un ufficietto distaccato. Lei si porta un sacco di carte da studiare e leggere e ogni giorno si reca alla mensa in fabbrica. Viene candidata per gli impiegati fra i quali la Cgil non ha nessun iscritto oltre lei. Viene eletta. Si infuria anche il Direttore dell’Unione industriali, l’ottimo Giorgio Orlandini polemizzando con i capi azienda: con tutta la vostra scienza della selezione prima l’avete assunta e poi promossa fra gli impiegati e questi l’hanno votata.

Alla Salvarani la Fillea-Cgil è forte. Si arriva a negoziare un accordo aziendale quando al Nord è già cominciato il movimento dei Consigli contro le Commissione interne. Si inventa una soluzione così: rielezione della Commissione interna affiancandola con rappresentanti dei reparti più importanti costituendo una struttura unica.

Le differenti esperienze sono migliaia in tutta Italia. Hanno tutte la caratteristica di volere allargare la partecipazione e di essere unitarie; prevale il sistema di voto per reparti (o gruppi omogenei) su scheda bianca. Si arriva nel tempo a normative e sistematizzazioni unitarie.

Se ne discute molto a Bari all’VIII Congresso Cgil (2-7 luglio 1973) e poi si seguita a studiare, rielaborare, dirigere il fenomeno che è componente decisiva del processo di unità sindacale perseguito.

Si decide di analizzare le cose come effettivamente funzionano.

E’ del 15-16 gennaio 1975 un Convegno nazionale Cgil su DELEGATI E CONSIGLI DI FABBRICA E DI ZONA (relazione e conclusioni di Aldo Giunti; tutto nella collana “atti”). Ci si arriva con un lavoro importante e di tipo un poco nuovo. Da giugno 1974 si costituisce un gruppo di ricerca mobilitando alcuni studenti (Anna Maria Ajello, Umberto Gordini, Barbara Pettine, Luisa Rosati, Claudio Treves). Ne sono il coordinatore. Si mettono a punto cinque pagine di schema dell’indagine. Si vuole “fare il punto” sui fatti e le opinioni che costituiscono la realtà. Il risultato è un malloppo di 193 pagine dattiloscritte che viene presentato ad una sorta di seminario svolto ad Ariccia nei giorni 18-19 novembre 1974 in preparazione del convegno previsto per gennaio. Nella relazione da me “letta”, che è davvero frutto di un lavoro collettivo, si denunciano i ritardi di diversi settori e territori domandandosi “quanto su questo ritardo hanno influito cause derivanti dalla situazione oggettiva di questi settori, come queste cause oggettive si intrecciano con limiti nostri.”

E poi “proprio perché si tratta di conquista permanente dobbiamo guardare con attenzione e preoccupazione a tendenze troppo frequenti a fare dell’assemblea soltanto una sede di ratifica delle decisioni, o soltanto l’occasione per orientare i lavoratori o peggio per fare il comizio. Non minore attenzione va affidata ai fenomeni di burocratizzazione nel rapporto fra esecutivi e consigli e, a loro volta, fra delegati e lavoratori. Sottovalutare questi rischi può significare per il sindacato distruggere con le sue stesse mani la forza che è riuscito a conquistarsi con le lotte e il processo unitario di questi anni.”

Nel testo di Rassegna sindacale (n. 305 del 27 febbraio 1975) si trova questa denuncia ragionando del rapporto tra strutture sindacali e Consigli: “hanno preso piede, fino in certi casi a prevalere, due metodi indubbiamente sbagliati che vanno combattuti: spiattellare alle riunioni ed assemblee una minestra sempre pronta e cucinata in tutti i suoi particolari; far arrivare alla base il dibattito che si svolge dentro i gruppi dirigenti in termini falsati e distorti.

“Se guardiamo alla vita di alcune strutture unitarie, anche dove una sostanziale unità politica è riuscita ad affermarsi, constatiamo un calo nella dialettica e nella discussione. Molti compagni che prima prendevano puntualmente la parola non parlano quasi più. Non hanno forse niente da dire? In realtà non offriamo loro la sede adatta per discutere. Infatti si è deciso, in diverse situazioni, che non si facciano più le riunioni degli organismi e dei compagni della Cgil (lo stesso vale per la Cisl e l’Uil) per portare direttamente il dibattito e le decisioni nelle sedi e negli organismi unitari. Questo è certamente positivo se noi riusciamo a portare nella sede unitaria una dialettica reale, una possibilità di confronto fra le posizioni ed infine una capacità di decisione effettivamente unitaria.

“Se, invece, il metodo diventa quello di concordare sempre e tutto nelle segreterie per poi presentarsi al Comitato direttivo, all’attivo, al consiglio o all’assemblea sempre con la minestra pronta, allora questo non è un passo avanti, ma un passo indietro, con il risultato che la gente – e spesso la gente più responsabile – non parla per non mettere in questione un accordo unitario che, bene o male, già è stato raggiunto. Questo non significa – ce ne guardiamo bene – che non si devono fare mediazioni e compromessi. Il problema è in realtà di come partecipa, a queste mediazioni e compromessi, il massimo di strutture e di delegati, anche perché questo modo di partecipare alla vita del sindacato è il solo che può formarli per essere, ad un tempo, rappresentanti e dirigenti dei lavoratori.”

Purtroppo le pieghe successive non sono andate per il verso giusto.

Aldo Amoretti – Presidente Professione in Famiglia

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Come e quale salario minimo? (Una riflessione a partire da Vincenzo Bavaro) https://www.ildiariodellavoro.it/come-e-quale-salario-minimo-una-riflessione-a-partire-da-vincenzo-bavaro/ Mon, 12 Feb 2024 18:04:35 +0000 https://www.ildiariodellavoro.it/?p=176184 Nel sempre ottimo Annuario del lavoro Vincenzo Bavaro ragiona di salario minimo sotto il titolo “Salario giusto contrattuale.” La battaglia per un salario decente è lunga come il lavoro salariato. E infatti l’autore ci da conto di una proposta di Legge del 14 maggio 1954 “avente come primi firmatari Teresa Noce e Giuseppe Di Vittorio, che prevedeva un salario minimo giornaliero di 800 lire per 8 ore giornaliere da rivalutare ope legis con la scala mobile.”

Del resto nei miei tre anni di Cgil siciliana (1999-2002), scartabellando vecchi documenti anche per celebrare Placido Rizzotto e le decine di sindacalisti ammazzati dalla mafia, salta fuori che quasi sempre le piattaforme rivendicative di quel periodo portavano al primo punto la richiesta che fossero rispettati i Contratti di lavoro.

Non è un caso che nel 1959 si arriva alla Legge Vigorelli (la n. 751). Una Legge sui minimi e la sostanza di una estensione erga omnes dei Contratti collettivi attraverso un loro “recepimento” tramite decreti ministeriali. Tutto al di fuori del contesto complessivo previsto dalla Costituzione (per intendersi non solo l’art. 36, ma pure il 39). La Corte costituzionale ritiene ammissibile tale normativa in ragione della sua temporaneità, transitorietà e straordinarietà. La stessa Corte abrogò, invece, la successiva disposizione di proroga del termine originariamente previsto, ritenendola in contrasto con la natura necessariamente transitoria e provvisoria di quel sistema di estensione dei Contratti collettivi in quanto non correlato alla applicazione dell’articolo 39.

E’ paradossale che si intenda intervenire sul trattamento contrattuale dei lavoratori aggrappandosi all’art. 36 della Costituzione seguitando ad aggirare l’articolo 39.

Pare che si tema una sia pur lieve “istituzionalizzazione” dei sindacati che a me parrebbe una buona cosa seppure nella forma lieve accennata. Vero che Cisl seguita a dichiararsi contraria, ma è pur vero che ne ha condiviso tante di leggi anche se intervenivano su normative contrattuali (vedi Art. 8 del Decreto 138 del 2011) e adesso è portatrice di una importante soluzione legislativa sulla “partecipazione” dei lavoratori nelle imprese. Si può anche osservare che nella premessa al Contratto del commercio (il più importante di tutti in quanto a numero di persone e imprese interessate) è detto con solennità (e a firma di tutti i contraenti) che “Le parti, ritengono tutt’ora necessario ribadire l’opportunità dell’emanazione di un apposito provvedimento legislativo, inteso a garantire il conseguimento della normalizzazione delle condizioni di concorrenza tra le aziende dei settori rappresentati mediante l’estensione generalizzata del presente sistema normativo contrattuale in tutte le sue articolazioni. In questo quadro le parti si impegnano a proseguire la loro azione presso Governo e istituzioni per conseguire l’approvazione del suddetto provvedimenti.”

Un esito della attuale procedura parlamentare che, intanto,  approdasse a una tale soluzione sarebbe un bel progresso anche se rinviasse ad una fase successiva la soluzione del minimo.

Il Prof. Bavaro ci fornisce una ricognizione della situazione esistente in Europa nei suoi sviluppi anche recenti e dalla quale emergono difformità anche non lievi rispetto alle versioni correnti.

Con dati riferiti al 2021, la Slovenia, ha il salario minimo legale sotto i 7,50 euro corrispondenti ad una percentuale superiore al 60% del salario mediano; la Francia, pur avendo un salario minimo legale sopra gli 11 euro, è di poco al di sotto del 60% del salario mediano; la Germania, che nel 2021 aveva un salario legale sotto i 10 euro era al 40% del salario mediano (attualmente, con 12 euro è di poco sopra il 50% del salario mediano).

A quanto ammonta il salario mediano in Italia? Secondo il XXII Rapporto nazionale Inps presentato nel settembre 2023, che ha utilizzato soltanto i dati relativi al solo mese di ottobre 2022, la retribuzione mediana annua di un lavoratore full time è di 27.229 euro, che corrispondono a 80,60 euro al giorno, cioè – dividendo per 8 ore giornaliere – a circa 10 euro per ora di lavoro.

In Germania, dove nel gennaio 2022, il salario legale fissato a 9,82 euro l’ora era a una soglia inferiore a tutti i Contratti nazionali; quando nell’ottobre 2022, il salario legale è stato aumentato fino alla soglia di 12 euro l’ora almeno 5 Contratti nazionali (lavoro interinale, smaltimento rifiuti, industria delle carni, pittura e verniciatura, pulizie commerciali) dovevano necessariamente innalzare i salari orari previsti per i livelli più bassi.

E conclude come segue: “una legge siffatta (cioè la proposta n. 1275) aiuterà ad avere finalmente una forte contrattazione collettiva nel settore del multiservizi o degli operai agricoli? Aiuterà i sindacati a chiedere l’aumento anche dei salari che oggi sono a livello superiore i 9 euro, di una quota almeno proporzionata? La risposta credo spetti agli attori del sistema di relazioni industriali.”

Aldo Amoretti
Presidente Professione in Famiglia

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Di natività, di immigrazione, di non autosufficienza https://www.ildiariodellavoro.it/di-nativita-di-immigrazione-di-non-autosufficienza/ Wed, 24 Jan 2024 10:12:08 +0000 https://www.ildiariodellavoro.it/?p=175480 Linda Laura Sabbadini seguita a scrivere cose giuste a proposito del fare figli: “Serve un investimento finanziario serio sullo sviluppo dei servizi per la prima infanzia e per l’assistenza di anziani e disabili, tempo pieno a scuola, congedi di paternità paritari, congedi parentali retribuiti adeguatamente, cambiamento dell’organizzazione del lavoro, investimenti permanenti per combattere gli stereotipi di genere.” (La Repubblica 22.01.2024).

Sarebbe un progresso la realizzazione della rete di asili nido prevista dal PNRR. Ma gli orari sono dalle 8,00 alle 16,30; incompatibili da conciliare con quelli di molti genitori obbligati a orari flessibili. Bisogna allungare gli orari degli asili anche senza la pretesa di avere sempre in servizio l’organico pieno a qualsiasi ora, ma anche utilizzando per poche ore persone in pensione, magari provenienti dalla stessa attività, eventualmente pagati con vaucher.

Specialmente nei piccoli comuni non si potranno realizzare nidi e non sarà razionale risolvere con i trasporti. C’è chi ha inventato la soluzione Tagesmutter. E’ nata ovviamente dai tedeschi. Persone che hanno il tempo e la casa adatta:” faccio la baby sitter a casa mia” ospitando 3-4 bimbi con gli orari più flessibili. Una esperienza si era avviata e funzionava specie in talune zone. E’ stata ammazzata dalla pandemia covid. Anche la nostra associata “Tagesmutter Domus” è stata costretta a chiudere. C’è cassa integrazione perenne per talune grandi imprese; non se ne poteva disporre un tantino per salvare queste attività che potessero riprendere il lavoro dopo la bufera?
Non può che accrescersi il fenomeno di anziani non autosufficienti. Chi se ne occupa? Due milioni di Caregiver a tempo pieno (spesso donne della famiglia) e un milione e mezzo di Badanti oltre ai sanitari e addetti alle diverse forme di residenze.

Alcuni Contratti di lavoro, anche grazie all’input della Legge 8 marzo 2000 n. 53 prevedono il diritto ad una aspettativa dal lavoro fino a due anni senza retribuzione e senza oneri a carico dell’impresa per chi debba dedicarsi alla assistenza di un familiare. In altri Contratti è una possibilità concessa e non un diritto. E troppo decidere per legge che sia un diritto per tutti e che magari ci sia una copertura figurativa per la pensione al livello (e costo) del lavoro domestico? Che almeno non perdi quei mesi che ti potrebbero mancare per arrivare ai venti anni per il diritto alla pensione? E questo beneficio non si potrebbe erogare anche a chi non ha un lavoro, ma potrebbe cercarlo alla fine della sua opera?

Quello del badantato, fatto prevalentemente da immigrazione irregolare, è un mercato barbaro. Anche copiando quanto realizzato in altri paesi (tutti si cita la Francia come esempio) è nato un sistema di imprese (molte sono cooperative) che organizzano e vendono il servizio alle famiglie levandole dalle incombenze di ricerca della persona da assumere e gestire un rapporto di lavoro. L’impresa fornitrice del servizio, tramite CoCoCo con qualifica di “Operatore di aiuto” può soddisfare tutte le esigenze anche di orari in modo da corrispondere alle esigenze di servizio parziale o di convivenza con le flessibilità necessarie. Talune imprese con la nostra associazione hanno promosso la figura di “Procuratore di aiuto” che tu aiuta (appunto) a individuare e combinare esigenze e soluzioni e a conoscere e rivendicare i tuoi diritti. Ti accompagna nella Jungla costituita dagli attuali Stato e mercato. Anche in questo mondo ci sono realtà discutibili e da mettere in regola.
Va organizzata l’immigrazione che serve. Non lo possono fare le famiglie. Lo può fare un sistema di imprese in relazione con uno Stato e Pubblica amministrazione che smettano di considerare nefasto il fenomeno immigrazione; bensì necessario e da regolare civilmente anche con la integrazione, ma soprattutto con l’organizzazione della convivenza.

Tante cose buone si possono fare nel senso di progredire. Occorre che lo Stato in tutte le sue articolazioni, come le grandi organizzazioni, si aprano alle novità, anche archiviando tendenze alla super regolazione perfino particolareggiata che intralciano invece che favorire le innovazioni.

Si è fatta la legge n. 33 di riforma della non autosufficienza. Entro aprile vanno definiti i Decreti delegati. Nella legge di bilancio per il 2024 non si è stanziato un Euro. Si pensa che bastino riforme senza risorse?

Aldo Amoretti
Presidente associazione Professione in Famiglia

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Pensioni, ecco perché vanno ripescate le proposte giuste (anche di Treu e Cazzola) https://www.ildiariodellavoro.it/pensioni-ecco-perche-vanno-ripescate-le-proposte-giuste-anche-di-treu-e-cazzola/ Mon, 06 Nov 2023 08:15:56 +0000 https://www.ildiariodellavoro.it/?p=172927 Ne abbiamo sentito di tutti i colori a proposito del livello minimo della pensione quale requisito (tra gli altri come età e venti anni almeno di contributi) per il diritto alla pensione. La riforma Dini del 1975 lo aveva stabilito a 1,2 volte quello dell’assegno sociale.  Poi si è alzato a 1,5 cioè pari a 755 euro (infatti l’assegno sociale è 503,77). In queste settimane ne abbiamo sentite di tutti i colori, anche quella di abolirlo. Dal testo della proposta di legge finanziaria per il 2024 pare che il nuovo livello sia pari all’assegno sociale. Ne scaturisce maggiore flessibilità in uscita, ma potrà verificarsi comunque il caso (soprattutto nel lavoro domestico) di lavoratrici che ai 67 anni di Fornero e pure con molti anni di contributi si sentiranno rispondere “ripassi a 70 anni, le daremo la pura pensione contributiva che può essere anche la metà dell’assegno sociale.”

Al tempo della riforma Dini la mia opinione, da Segretario generale della Filcams-Cgil era: “Questo requisito, per chi svolga lavori a part-time, o stagionali può non essere realizzato neppure con 20-25 anni di lavoro (da Rassegna Sindacale n. 34 del 2 ottobre 1995). Aggiungo oggi: per una Colf o Badante neppure con 40 anni di lavoro regolare.

E non è che non ci sia stata una pressione unitaria della categoria. Si puntava a 0,8 volte. Inascoltati perfino dai coordinamenti donne. Si è rivista, anche in quella fase, la condizione concreta per la quale “anche dentro le organizzazioni sindacali hanno forza, voce e udienza i soggetti che sono forti nel mercato del lavoro. Del resto si è mai sentito di stagionali o lavoratori di piccole imprese che abbiano costituito Cobas o si siano autoconvocati?”.

Cgil Cisl Uil avanzano ora la proposta di una “pensione di garanzia per i giovani e le donne” in condizioni di precarietà. Cioè rimediare con solidarietà strutturata a vuoti di contribuzione. Assomiglia alla vecchia integrazione al minimo del regime retributivo, ma con un grosso inconveniente: a seconda di come congegnata potrebbe costituire un messaggio di questo genere: non disperatevi troppo per la irregolarità del vostro lavoro; un rimedio si troverà comunque anche se sarà esso stesso un rimedio povero.

Allora, tutto considerato, meriterebbe di essere ripescata una proposta spuntata a fine 2009 suggerita da Giuliano Cazzola e Tiziano Treu con la forma di un disegno di legge bipartigiano (il Riformista del 23 dicembre 2009) “orientata alla costruzione di un sistema pensionistico pubblico basato su due componenti o “pilastri”, entrambi a carattere obbligatorio: una pensione di base finanziata dalla fiscalità generale, su base universalistica, destinata a garantire, sia pure mediante la presenza e la maturazione di alcuni requisiti, a tutti i cittadini anziani prestazioni minime adeguate alle loro esigenze di vita; e una pensione di secondo livello calcolata secondo il vigente sistema contributivo, volta a garantire prestazioni aggiuntive correlate ai contributi versati dai singoli soggetti nel corso della loro vita.”

Io stesso e Angelo Mazzieri ci buttammo a sostenerla (un articolo del marzo 2010 su una rivista semiclandestina denominata SOLCANDO); la condivise anche Romano Prodi il quale, quando si presentò la condizione del famoso “tesoretto” propose di destinare la somma ad una riduzione del cuneo fiscale-contributivo del 5% per cominciare un processo che poteva portare a ulteriori riduzioni imputando gradualmente al fisco la pensione di base uguale per tutti.

La proposta, a quel tempo, fu affossata dall’opportunismo di chi riteneva fastidioso e difficile, nel rapporto con i lavoratori, un nuovo ragionamento sulle pensioni. E fu affossata dalla priorità dello “scalone” che poi, con la teoria dei “precoci” da tutelare ancora non si sa da cosa, ci portò alla bellezza di “quota 100”.

Sarebbe bene ripescare quella idea. Per ora si vede sempre all’opera la battaglia per la riduzione del cuneo, ma senza alcuna finalità di riforma.

Intanto per i giovani si insiste che gli farebbe così bene la pensione complementare, ma che loro non ne capiscono i benefici. Qualcuno pensa bene di renderla obbligatoria. Ma signori la pensione complementare è per chi ha retribuzioni ricche o almeno decenti e regolari. Come fa uno che non arriva alla quarta settimana a buttarsi in questa prospettiva?

Intanto si seguita a ridimensionare “opzione donna”, rendendola utilizzabile a sempre meno donne e con requisiti sempre più alti per l’età e stringenti perché debbono essere o caregiver o disoccupate o invalide, che è l’unica misura a costo zero perché in regime totalmente contributivo. I movimenti delle donne balbettano e non si avvedono che per salvare questa misura sacrosanta, e magari migliorarla un tantino, occorreva bocciare quota 100 che nessuno può sostenere fosse per i più poveri.

Vanno riaffrontati altri due titoli:

  • Colf, Badanti e Caregiver che con le attuali condizioni rischiano di stare ben al di sotto dell’assegno sociale
  • Gli immigrati. O si fanno le convenzioni con i paesi extraUE, oppure, se e quando tornano al paesello, restituire quanto versato a Inps anche per favorire un loro turn ower che se no sono spinti, contro i loro desideri, a stare in Italia fino alla pensione con annessi ricongiungimenti familiari.

Aldo Amoretti, Presidente Professione in Famiglia

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Morti e infortuni sul lavoro, non basta ottenere più ispettori https://www.ildiariodellavoro.it/morti-e-infortuni-sul-lavoro-non-basta-ottenere-piu-ispettori/ Fri, 08 Sep 2023 12:18:52 +0000 https://www.ildiariodellavoro.it/?p=170704 I disastri sul lavoro, compreso l’ultimo con cinque morti sulla ferrovia a Brandizzo, scatenano un coro unanime alla invocazione di più controlli da parte delle strutture a ciò dedicate per legge.

E’ male che con questo si tenda ad archiviare quella esperienza che portò alla più efficace fase di intervento sulla sicurezza e che ha portato al Decreto Legislativo 9 aprile 2008 n. 81 con la previsione anche della figura del “Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza”.

A metà degli anni sessanta si avvia una fase di studio e di lotte anche contro la monetizzazione del rischio portando novità poi affermatesi anche con talune estremizzazioni: non delega; la salute non si vende; il lavoratore medico di sé stesso; il delegato di “gruppo omogeneo” quale snodo della nuova rappresentanza.

Ma si promuove anche la collaborazione con il mondo della scienza; si fa formazione dei quadri imparando a proiettare diapositive (a corredo di un libro dal titolo “L’ambiente di lavoro” divenuto introvabile). Lo stesso patronato Inca svolge un ruolo importante ben al di là della difesa di chi è danneggiato. Vanno ricordati due protagonisti quali Ivar Oddone e Gastone Marri. Si ha una lunga fase nella quale salute, ambiente e sicurezza stanno in cima alla lista dei problemi; sono priorità della iniziativa sindacale. Se ne vedono i risultati con meno morti e meno infortuni.

Pure in un progresso generale si hanno eventi terribili come il 13 marzo 1987 con i 13 morti della motonave Elisabetta Montanari a Ravenna. Il sistema degli appalti di opere e manutenzioni rimane sempre quello più a rischio. Costruzioni e agricoltura i mondi più esposti.

Tra il 2003 e il 2006 si ha una “Commissione parlamentare di inchiesta sugli infortuni sul lavoro, con particolare riguardo alle cosiddette “morti bianche””. Ne è Vice Presidente Antonio Pizzinato. Si approda il 3 agosto 2007 a una Legge delega: “Misure in tema di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro e delega al Governo per il riassetto e la riforma della normativa in materia”. Al seguito il Decreto Legislativo 9 aprile 2008 n. 81 per l’attuazione della Legge. Sono 306 articoli, quindi una normativa completa a dettagliata.

Una novità importante è la figura del “Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza”. Può essere territoriale per le piccole aziende fino a 15 dipendenti e aziendale per quelle da 16 in su; uno fino a 200 dipendenti, tre per aziende da 201 a 1000 e sei per quelle di entità superiore.

Ci siamo illusi che questa potesse essere la chiave di una svolta. Quello del Rappresentante dei lavoratori è un mestiere molto difficile. Deve essere in conflitto e al tempo stesso collaborare con l’azienda. E combattere talvolta anche con i lavoratori sui quali pesa la tendenza spontanea a “tenersi stretto” il posto di lavoro che si ha (anche se temporaneo) subendo la pressione del “fare presto” ad adempiere al tuo compito e chiudere un occhio anche sul lavoro che scarica all’esterno fattori di nocività. E figuriamoci se va fuori quanta ce n’è per te.

Può inoltre avere preso piede una qualche “separazione” tra questi Rappresentanti e la RSU (Rappresentanza Unitaria dei Lavoratori); cioè il sindacato in azienda. Si ha talora un Rappresentante per la sicurezza che può apparire di “serie B”.

Questa distinzione così netta di ruoli, con giusta enfatizzazione della specificità del Rappresentante alla sicurezza non può avere avuto l’effetto di sgravare RSU, Consigli dei Delegati e le stesse strutture sindacali dall’onere di intervenire sul tema quale compito fondamentale dell’agire sindacale?

Se questa osservazione ha qualche fondamento mi pare utile che ci si ragioni sopra. Del resto si parla con sempre maggiore frequenza di partecipazione dei lavoratori nell’impresa fino ad immaginare di mettere becco nelle scelte strategiche. La Cisl propone una legge. Non si potrebbe cominciare da questa materia come del resto è anche indicato dalla Sezione VII del Decreto Legislativo 81 che ha per titolo “Consultazione e partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori”?

Mi pare che vada promossa qualche novità per uscire dalla prevalente tendenza ad invocare più ispettori e più ispezioni; cosa giusta che non può bastare.

Aldo Amoretti

Presidente Associazione Professione in Famiglia

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Sindacato, cuore e cervello https://www.ildiariodellavoro.it/sindacato-cuore-e-cervello/ Wed, 08 Mar 2023 09:18:31 +0000 https://www.ildiariodellavoro.it/?p=163688 Ferdinando Argentino, Piero Lucia

L’onda. Lotte sindacali nel salernitano dal secondo dopoguerra ai giorni nostri

Ferdinando D’Amato Editore

I due sono sindacalisti tessili, con un ruolo ben evidente nelle vicende nazionali della categoria (la Filtea della Cgil). Al tempo stesso dirigenti generali anche in altri ruoli e differenti categorie, la confederazione, la politica, le istituzioni. Prendono servizio nel sindacato tra il 1960-1970.

Oltre 350 pagine. Si richiama l’inizio del secolo passato. “Il censimento del 1903 rileva in provincia di Salerno l’esistenza di 2.895 aziende industriali con 21.895 dipendenti”. A Nocera Inferiore la Camera del Lavoro nasce nel 1902.

Il titolo sintetizza una storia. Un movimento che avanza e ottiene conquiste; poi subisce arretramenti, ma non cede e ritorna ad avanzare; ma non è mai finita. Come l’onda.

Al centro le lotte dei tessili. Ma Snia, Ideal Standard, Pirelli, Stet, Alcatel, Pennitalia, le vetrerie, le ceramiche, il pastificio Amato, le aziende conserviere e l’agricoltura. Tante altre aziende. Il terremoto; gli scontri di Battipaglia (dopo che c’era stata Avola); le battaglie per chiudere il manicomio.

Un padronato spesso inaffidabile alla continua ricerca di sovvenzioni statali anche strumentalizzando giuste lotte sociali che troppo spesso devono pigliarsi la soluzione di cassa integrazione a fronte di prospettive false o inconsistenti e promesse di ricollocazione in nuove imprese che poi ci ricascano.

Puntigliose, quanto rappresentative di storia vera, le descrizioni di ogni vicenda con manifestazioni, trattative, incontri ai ministeri, la solidarietà delle forze politiche e delle popolazioni con luoghi, nomi e cognomi, protagonisti di ogni storia. Insomma un vero e proprio lavoro di ricostruzione, eseguito con rigore storico, ma con la passione di chi c’era essendo soggetto attivo delle vicende.

Padroni come la Marzotto che si lamentano della concorrenza derivante dai laboratori sommersi del terziario che poi sono loro stessi a organizzare e sfruttare.

Ho avuto parte diretta, per la Segreteria nazionale, nelle vicende Marzotto e MCM (Manifatture Cotoniere Meridionali). La Marzotto aveva pilotato le assunzioni con cura tenendo fuori i “sovversivi”. Si è trovata in casa la Cisnal che pretendeva di negoziare la carriera dei suoi e privilegi che concorrevano a rendere malgovernabile la fabbrica fino a punte di assenteismo davvero fuori misura. Le MCM soffrono di un padrone (l’Eni) al quale non interessa l’attività tessile che è considerata un incidente col quale la politica gli ha rifilato una “sola”. I vertici aziendali non vanno al di là del tirare a campare.

I nostri smentiscono una cosa che mi è capitato di dire in talune occasioni e cioè: “Come può esistere un sindacato serio se non è serio il padrone?”. Invece si dimostra che anche di fronte a un padrone incapace, prepotente e di fronte al malaffare come in taluni casi ci si è trovati ad operare; per il sindacato non c’è altra via di proposte capaci di “stare in piedi”, lotte serie per sostenerle anche talvolta occupando la ferrovia se proprio non ti ascolta nessuno, avendo cura di una unità tra Cgil Cisl Uil spesso fragile e contraddittoria, ma che è sempre la minima condizione per rendere possibile un risultato.

E’ permanente la necessità di combattere contro il sottosalario e per il rispetto dei Contratti di lavoro. Non saprei dire in quale fase sia, al proposito, l’onda attuale.

E’ sbalorditiva la quantità di nomi citati. Non solo di dirigenti, ma lavoratori, delegati, attivisti. Non soltanto di sindacato. Qualcuno a Salerno deve avere allestito un archivio di notevole qualità. Il contrario di ciò che accade talvolta quando un nuovo dirigente arriva a butta le carte vecchie “che la storia comincia adesso”.

Aldo Amoretti

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Aggiornamento salariale per badanti e colf: chi vince e chi perde https://www.ildiariodellavoro.it/aggiornamento-salariale-per-badanti-e-colf-chi-vince-e-chi-perde/ Wed, 18 Jan 2023 12:22:49 +0000 https://www.ildiariodellavoro.it/?p=162256 Il 16 gennaio pare conclusa la vicenda dell’aggiornamento salariale annuo delle retribuzioni del lavoro domestico con attuazione alla lettera di una norma che costituisce l’ultima scala mobile vigente nel sistema contrattuale italiano. Si tratta dell’Art. 38 del Contratto nazionale scaduto il 31 dicembre scorso che prevede un adeguamento dei salari “secondo le variazioni del costo della vita……. rilevate da ISTAT al 30 novembre di ogni anno”. Ciò sulla base del lavoro di una Commissione Nazionale prevista dall’Art. 45 “composta dai rappresentanti delle Organizzazioni Sindacali dei lavoratori e dalle Associazioni dei datori di lavoro” convocata e presieduta dal Ministero del Lavoro il quale è delegato “dopo la terza convocazione, in caso di mancato accordo o in assenza delle parti”,……..” a determinare la variazione periodica della retribuzione minima……. in misura pari all’80% della variazione del costo della vita”. 100% per i valori convenzionali del vitto e dell’alloggio.

In regime di bassa inflazione la norma ha funzionato senza problemi.

Stavolta le associazioni padronali hanno tentato di mitigare gli effetti con dilazione degli aumenti incontrando una rigidità dei sindacati che ora cantano vittoria.

Commento di Assindatcolf: “Calcolatrice alla mano già dalla busta paga di gennaio le famiglie dovranno mettere in budget un aumento del 9,2% sui minimi retributivi qualora non siano già assorbiti negli stipendi concordati. Gli impatti maggiori si potrebbero avere per quelle figure assunte con orari lunghi o in regime di convivenza, come nel caso delle badanti (livello Cs): la retribuzione minima passerà da 1.026,34 euro a 1.120,76 euro, oltre 94 euro in più al mese, a cui si aggiungerà anche l’aumento dei contributi, portando il costo totale annuo da 17.177 a 18.752 euro ovvero 1.575 euro in più”. Aggiungono: “Aumenti concreti, non mero allarmismo come più volte è stato sostenuto dai sindacati, con il rischio che molti lavoratori oggi in regola scompaiano nel ‘nero’”.

Effettivamente anche noi avevamo pensato ragionevole uno scaglionamento e un tentativo di chiedere parziali compensazioni al Governo (non l’assunzione delle badanti da parte del sistema pubblico come vaneggia qualcuno). Si poteva anche considerare una confluenza dello scatto nel rinnovo contrattuale che pure è all’ordine del giorno con una piattaforma che chiede pure la quattordicesima. Taluni hanno anche considerato che fosse l’occasione per risolvere una vecchia ingiustizia per la quale si tratta dell’unica categoria di lavoratori che in caso di malattia non ricevono nulla da Inps, mentre le scarse indennità economiche previste dal Contratto sono completamente a carico delle famiglie.

Si può osservare che anche moltissimi datori di lavoro sono iscritti a Cgil Cisl Uil soprattutto nei rispettivi sindacati dei pensionati i quali sembra non abbiano nulla da dire.

Taluni osservano come una funzione “pacificatrice” delle relazioni, ben al di là delle parole grosse che abbiamo letto e ascoltato in questi giorni, sia svolta da CASSA COLF. Si tratta della importante istituzione bilaterale vigente in categoria e per la quale nel rinnovo contrattuale dell’8 settembre 2020 si è provveduto a raddoppiare le quote a carico sia dei lavoratori che dei datori di lavoro e che concorrono a far funzionare una apprezzabile batteria di istituzioni, appunto, bilaterali.

L’ultimo rinnovo contrattuale ha promosso una novità crediamo unica nel panorama contrattuale italiano: la certificazione di qualità nel sistema Accredia “di cui alla norma tecnica UNI 11766:2019 in corso di validità” per la quale è dovuto una beneficio salariale di euro otto o dieci mensili. Non è dato sapere quali esiti siano portati da questa novità non tanto di erogazioni salariali, ma soprattutto di qualificazione delle persone specie per il lavoro tutt’altro che banale di badante.

E’ proprio necessaria una grande iniziativa per la regolarizzazione di questo mondo riproponendo una idea sulla quale molti dichiarano di concordare e cioè un forte sconto fiscale a chi tiene i rapporti in regola. Va incivilito il fenomeno immigrazione e per farne una realtà organizzata. Si deve favorire l’espansione di un sistema di imprese, soprattutto cooperative, che organizzano servizi qualificati alle famiglie liberandole dalle incombenze di ricercare personale e gestire rapporti di lavoro. C’è ragione di favorire e sostenere questo tipo di imprese che applicano il loro specifico Contratto di lavoro del 9.1.2020.

Una notazione per quanto riguarda le pensioni di queste soprattutto lavoratrici. Per le immigrate non comunitarie non c’è nessuna convenzione con i loro paesi di origine come invece si è fatto con gli emigranti italiani nel mondo. Ma anche per le italiane, con il sistema contributivo a regime e con l’attale livello dei contributi, non ci sarà nessuna pensione neppure ai 67 anni di Fornero e neppure con 40 anni di lavoro. E’ infatti scomparsa l’integrazione al minimo. In questa fase si parla di garantire una pensione anche ai giovani che subiscono anni di rapporti precari. Non sarà il caso di prendere in considerazione anche questa situazione?

Aldo Amoretti
Presidente Professione in Famiglia

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Agromafie e caporalato, il VI Rapporto dell’osservatorio Placido Rizzotto https://www.ildiariodellavoro.it/agromafie-e-caporalato-il-vi-rapporto-dellosservatorio-placido-rizzotto/ Wed, 14 Dec 2022 17:30:52 +0000 https://www.ildiariodellavoro.it/?p=161342 Il 29 novembre si è fatto il pieno al centro congressi Frentani per la presentazione del sesto rapporto dell’osservatorio Placido Rizzotto a iniziativa di Flai Cgil. Non di meno le persone collegare in via telematica. Il volume sarà a disposizione più avanti.

Viene distribuito un giornalino della Flai (in Flai n. 2 del novembre 2022) con uno scritto del segretario generale Giovanni Minnini. Davvero rilevante la conoscenza del fenomeno che scaturisce dai varii lavori con anche l’evidenza di una novità: non è più un fenomeno solo meridionale.

Minnini denuncia: “A distanza di oltre sei anni dalla sua introduzione la legge 199/2016 non ha trovato concreta applicazione, soprattutto per quanto riguarda la rimozione delle condizioni di sfruttamento; in particolare la parte dedicata all’accoglienza è rimasta inapplicata, così come quella relativa al trasporto dei lavoratori, ancora in larga parte in mano ai caporali.” Anche l’idea di una “Rete del Lavoro Agricolo di Qualità” ha la strada ancora in salita “visto che ci sono solo 32 Sezioni territoriali nelle oltre cento province italiane, e appena 6.113 imprese agricole, su circa 200mila, sono iscritte alla Rete.”

Quindi permane l’evidenza secondo la quale la repressione è uno strumento necessario, ma largamente insufficiente a sconfiggere il fenomeno. Se i caporali seguitano a svolgere un lavoro necessario saranno loro ad averla vinta salvo qualche arresto, processi e incarcerazioni. Ciò che davvero potrebbe avere efficacia è il sostituirli nell’organizzare l’incontro domanda-offerta e nel trasporto. Ovvio che un ruolo decisivo spetta alle strutture pubbliche, ma davvero la bilateralità, di questi tempi ampliamente osannata come medicina per tutti i mali, non può entrare nella partita ridando ruolo alle stesse organizzazioni sindacali che ne sono promotrici con ruoli decisivi nella gestione? E la stessa cosa non può avvenire per il trasporto?

Analogamente si potrebbe operare nella organizzazione di una accoglienza perlomeno civile dal punto di vista abitativo. Pare che siamo a peggio della condizione che avevano i nostri migranti in Belgio e Germania nell’immediato dopoguerra, cioè nelle baracche degli ex campi di concentramento. Ma qui potrebbe sorreggerci l’esperienza. Mia madre che ha fatto la mondina diceva di alloggi fatti di camerate con cessi comuni, una colazione e due pasti. Sempre riso, ma si mangiava. Quindi una remunerazione fatta di salario, un sacchetto di riso da portare a casa, l’alloggio e tre pasti. Del resto un misto di soldi, alloggio e altro vale tutt’ora per i salariati fissi addetti al bestiame. Non sarebbe plausibile che una parte del salario contrattuale dei braccianti stagionali fosse destinata a finanziare alloggi e trasporti mettendo insieme risorse da lavoratori e imprese con il concorso di Comuni e Regioni che potrebbero assumere l’iniziativa insieme a sindacati, imprese associate e bilateralità?

Questi luoghi potrebbero diventare sedi o recapiti delle stesse strutture di collocamento, bilateralità, patronati e gli stessi sindacati?

Sento dire di qualche esperienza in Piemonte anche ricorrendo ad edifici non utilizzati. Sarebbe la prova che si può fare.

Mi rendo ben conto che non si deve insegnare ai gatti ad arrampicarsi e che sindacati con cento anni di storia le hanno provate tutte, ma se la legge contro il caporalato non funziona sarà bene inventare qualcos’altro.

Sul tema immigrazione sono recenti interventi di due persone che ci hanno messo le mani (una anche scottandosi politicamente). Si tratta di Marco Impagliazzo, Presidente della Comunità di Sant’Egidio (Corriere della Sera del 5 dicembre) e Marco Minniti intervistato su La Repubblica del 23 novembre. Meglio ragionare anche di ciò che viene da tali esperienze.

Aldo Amoretti

Presidente associazione Professione in Famiglia

 

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Temi sindacali: la non autosufficienza in primo piano https://www.ildiariodellavoro.it/temi-sindacali-la-non-autosufficienza-in-primo-piano/ Fri, 09 Dec 2022 13:35:40 +0000 https://www.ildiariodellavoro.it/?p=161195 All’inizio della settimana scorsa, si è svolta a Roma una riunione degli Esecutivi unitari dei sindacati dei pensionati Spi-Cgil, Fnp-Cisl e Uilp-Uil. L’incontro, cui hanno partecipato sia i Segretari generali di questi tre sindacati che quelli delle tre Confederazioni di appartenenza, è stato molto affollato. Per ciò che riguarda i partecipanti “in presenza”, basti dire che, al Centro congressi Frentani, è stato fatto il pieno; ma sono stati molti anche quelli che hanno seguito la riunione per via telematica.

Duplice il tema dell’incontro: da un lato, la piattaforma unitaria dei sindacati dei pensionati, dall’altro la legge sulla non autosufficienza.

Sulle pensioni, basterà qui dire che è stato registrato un coro di critiche alle intenzioni espresse dal Governo su tutto lo spettro delle problematiche in discussione.

Ma ciò che vorrei segnalare, è quella che mi è parsa una novità importante: il tema della non autosufficienza è diventato centrale nell’analisi dei Sindacati dei pensionati e delle Confederazioni. E, per apprezzare la cosa, basterà ricordare che, il 16 novembre 2019, questo tema era collocato al nono posto sui dieci punti proposti con la manifestazione nazionale unitaria fatta al Circo Massimo. Più in generale, si può dire che, negli ultimi venti anni, quello della non autosufficienza è stato un tema ricorrente in molte occasioni sindacali, ma mai quello centrale.

In questo caso, invece, tutta la discussione ha riconosciuto la rilevanza del tema, innanzitutto, per le sue proporzioni. Landini ha parlato di più di 3 milioni e mezzo di persone non autosufficienti (per l’esattezza, 3 milioni e 800mila), con 7 milioni di familiari coinvolti. Trecentomila sono gli anziani non autosufficienti accolti nelle Rsa. Un milione le badanti (la Fondazione Moressa parla di 2 milioni, ma esagera). Seicentomila gli addetti ai servizi. Come spesa pubblica, si tratta di 15 miliardi, mentre ammontano a 9 miliardi le spese dirette delle famiglie.

Nella riunione, è stata concorde la critica a un sistema inadeguato che, spesso, si intreccia o coincide con il sistema sanitario. Quest’ultimo, peraltro, rimane separato da quello socio-assistenziale che sta in capo ai Comuni.

E’ stato invece apprezzato il disegno di legge delega di riforma che è stato varato dal Governo Draghi nella sua ultima riunione e che va però approvato entro marzo 2023, pena la perdita dei soldi del Pnrr. Sono stati chiesti miglioramenti del disegno di legge con l’osservazione che, se gli assetti territoriali del sistema sanitario non coincideranno con quelli del sistema socio-assistenziale, non ci sarà modo di superare l’attuale condizione di separazione. Una condizione che, peraltro, non sarà risolta dalle nuove strutture territoriali del Sistema sanitario come gli ospedali e le cosiddette Case di comunità. Inoltre, avranno vita difficile i Punti unici di accesso (Pua), mentre sarà ben difficile praticare la valutazione multidimensionale della condizione delle persone per decidere il tipo di assistenza da organizzare in loro favore.

Il tema delle risorse emerge quindi come decisivo, tanto più che il disegno di legge di riforma sarebbe a costo zero. Infatti, anche se – grazie al Pnrr – sarà possibile realizzare nuove strutture, non si vede come potranno funzionare senza nuovo personale. Nella riunione è stata anche avanzata l’idea di ricorrere al fondo europeo Mes sanitario che renderebbe disponibili 37 miliardi a costo zero.

Per quanto riguarda il tema badanti, è stato riconosciuto che coincide con il fenomeno immigrazione. Però, non sono state affacciate idee su come affrontare l’assistenza domiciliare andando oltre a quella fornita dal sistema che oggi è in carico alle/ai cosiddette/cosiddetti caregiver e, appunto, a badanti dipendenti dalle famiglie. Per quanto si sappia che esiste un sistema di imprese che forniscono questo servizio in forma imprenditoriale, non si sono ancora viste eventuali proposte volte a superare gli aspetti più barbari del mercato attuale, valorizzando le esperienze positive.

Al termine della riunione, è stato riconosciuto che non sussistevano le condizioni per discutere un eventuale documento conclusivo unitario. Come poi si è visto, in questa fase non c’è intesa fra le Confederazioni sulle forme di lotta e di pressione da esercitare nei confronti del Governo Meloni tra chi pensa di poter ottenere oggi risultati, quanto meno, apprezzabili e chi ritiene che con la legge finanziaria per il 2023, oggi in discussione, non ci sia da illudersi di ottenere risultati importanti. Tuttavia, chiarire bene i termini del contendere potrà essere utile per svolgere a tutto campo un confronto decisivo nella fase successiva.

Aldo Amoretti

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Il lavoro nel turismo: svarioni, sciocchezze e varie su mance, voucher, extra e surroga https://www.ildiariodellavoro.it/il-lavoro-nel-turismo-svarioni-sciocchezze-e-varie-su-mance-voucher-extra-e-surroga/ Tue, 29 Nov 2022 16:52:46 +0000 https://www.ildiariodellavoro.it/?p=160804 Il governo propone la riduzione da 10 a 5% della tassa che dovrebbero pagare i lavoratori sulle mance. Non è conosciuta una norma del Contratto nazionale che all’Art. 140 recita come segue: “Le mance sono vietate. Il dipendente che comunque la sollecita potrà essere punito dal datore di lavoro con provvedimenti disciplinari ai sensi dell’Art. 138.”

Si può anche notare che l’Italia non ha ratificato tutte le convenzioni ILO e fra queste neppure la “C172 – Convenzione sulle condizioni di lavoro negli alberghi e nei ristoranti, 1991”  che regolamenta le mance agli articoli 6 e 7 come segue:

                                                                          “ Articolo 6

  1. Il termine “mancia” significa l’ammontare che il cliente dà volontariamente al lavoratore in più dell’ammontare da pagare per i servizi ricevuti.
  2. Indipendentemente dalle mance, i lavoratori interessati devono ricevere una remunerazione di base versata ad intervalli regolari.

                                                                            Articolo 7

     Laddove questa prassi esista, va vietata la compravendita dei posti di lavoro negli stabilimenti di cui all’articolo 1.”

E’ singolare che dopo oltre trenta anni lo Stato italiano non abbia proceduto a recepire la Convenzione.

Fin qui la parte comica.

La novella sostanziale è che il governo intende reintrodurre il lavoro pagato con voucher. Il costo per il datore di lavoro 10 euro per un’ora di lavoro dei quali 7,50 in tasca al lavoratore esentasse, Il 7% all’Inail, 13% all’Inps nella gestione separata per le pensioni e il resto sempre all’Inps per le spese di gestione.

Si finge di non sapere che il Contratto nazionale del turismo prevede la possibilità di assumere lavoratori per uno, due o tre giorni a seconda di esigenze particolari (tipico un banchetto, un congresso o altro) pagando con una retribuzione oraria onnicomprensiva (cioè comprendente i ratei di ferie, tredicesima, quattordicesima, ecc). Si chiama “lavoro extra o di surroga”. Le tariffe sono le seguenti:

  • 4° livello euro  14,88
  • 5° livello euro  14,16
  • 6s livello euro  13,56
  • 6° livello euro  13,39
  • 7° livello euro  12,53

Il 4° livello corrisponde al cameriere di sala. La remunerazione minima corrisponde ad una prestazione di quattro ore.

Gli oneri sociali si pagano come segue: per l’Inps il 23,81% a carico del datore di lavoro e il 9,19% a carico del lavoratore. L’impresa paga anche il premio assicurativo all’Inail. Il costo per il datore di lavoro sarà 18 euro e mezzo; mentre il lavoratore incasserà  13 e mezzo sui quali pagherà Irpef se non e dentro la “no tax area”.

Il voucher non risponde ad esigenze di flessibilità risolte già da oltre 50 anni dai Contratti e pure da direttive ministeriali applicative, ma risponde a richieste padronali di pagare meno e sfuggire meglio alle regole.

Aldo Amoretti

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Peggio che la flat tax https://www.ildiariodellavoro.it/peggio-che-la-flat-tax/ Wed, 16 Nov 2022 17:11:40 +0000 https://www.ildiariodellavoro.it/?p=160381 Rispunta periodicamente la tesi di non tassare i futuri aumenti retributivi derivanti da rinnovi contrattuali nazionali e aziendali. In molti pensiamo che si tratti di una corbelleria che assicurerebbe benefici più rilevanti (in cifre assolute e in percentuale) ai redditi più alti e ancor di più a chi ottiene aumenti più rilevanti.

Intanto si procede con l’elevare il tetto dei cosidetti “fringe benefit” da 600 a 3.000 euro annui. Possono derivare da contrattazione oppure da iniziative unilaterali delle aziende. La repubblica spiega che “I sindacati hanno invitato le rappresentanze aziendali dei lavoratori a farsi portavoce di questa esigenza, ma questo vale solo per le grandi aziende.”

Maurizio Benetti su la Newsletter di Nuovi lavori ha scritto un lungo commento alle misure in preparazione anche derivanti da dichiarazioni che stanno nella relazione del Presidente On. Meloni al Parlamento: “Due redditi dello stesso importo, ma uno uguale a quello del triennio precedente e uno superiore a quello massimo dello stesso periodo sarebbero tassati in modo diverso in barba al principio costituzionale, dato che una parte del reddito del secondo sarebbe soggetto all’imposta ridotta. Prendiamo due redditi da 20.000 euro, attualmente i primi 15.000 sono soggetti all’aliquota del 23% i rimanenti 5.000 all’aliquota del 25%. Se nel secondo reddito i 5.000 o parte di essi fossero aggiuntivi rispetto al triennio precedente sarebbero tassati con aliquota più bassa determinando a parità di reddito complessivo una pressione fiscale inferiore. Va poi detto che a parità di incremento di reddito i vantaggi in termini di sconto fiscale non sarebbero uguali per tutti i contribuenti.  Supponiamo che la flat tax incrementale sia fissata al 15%; un conto è vederla applicata su un aumento di reddito di 1.000 euro per chi ne guadagna 20.000, altro per chi ne guadagna 40.000 oppure 60.000 o più. Il primo infatti dalla flat tax incrementale godrebbe di un vantaggio di 100 euro (la sua aliquota sui mille euro scenderebbe dal 25 al 15%); il secondo godrebbe di un vantaggio di 200 euro (la sua aliquota scenderebbe dal 43 al 15%). Insomma una flat tax incrementale regressiva.”

Il testo di Maurizio, che è molto ampio e ben argomentato anche tecnicamente. Meriterebbe di essere ben più ampiamente saccheggiato. Mi limito pezzo citato che già giustificherebbe una rivolta.

Aldo Amoretti

Presidente associazione Professione in Famiglia

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Novità in Cgil? https://www.ildiariodellavoro.it/novita-in-cgil/ Mon, 03 Oct 2022 07:21:17 +0000 https://www.ildiariodellavoro.it/?p=158977 Cgil lavora in preparazione della manifestazione nazionale dell’8 ottobre a un anno dall’assalto fascista alla propria sede nazionale di corso d’Italia. Non sarà solo una celebrazione, ma occasione di sostegno ad una piattaforma in dieci punti che si rivolge al Governo che verrà e a tutto il mondo della politica, le istituzioni, le altre forze sociali. C’è una piattaforma in dieci punti che mira anche a saldare la fase attuale dominata dalla crisi di governo e le elezioni con il Congresso rinviato al prossimo anno.

Tra le iniziative la Cgil del Lazio ha realizzato il 29 settembre una assemblea di quadri e delegati con conclusioni del Segretario generale Maurizio Landini.

Due questioni fra quelle trattate da Landini mi hanno fatto brillare gli occhi.  Quelle del precariato e sistema degli appalti, esternalizzazioni e dintorni anche intrecciate con le problematiche di efficienza e produttività del sistema pubblico.

Ha dichiarato desiderabile un processo nel quale si arrivi a scioperi di chi è forte della propria condizione di diritti che caratterizza le imprese appaltanti a sostegno delle rivendicazioni di chi i diritti non è in condizione di esercitarli. Sono stato a capo della Filcams negli anni novanta e da lì mi sono occupato anche degli addetti alle imprese di pulimento (a quel tempo circa un milione di persone). Assicuro che non era impresa facile trovare il modo di collegarsi con le strutture sindacali delle imprese o enti committenti. Accadde perfino che il Ministro dell’industria del tempo (Pier Luigi Bersani) chiamò Sergio Cofferati per segnalare i disagi provocati da uno sciopero che metteva in difficoltà lo svolgimento del lavoro ministeriale. Trovammo poi la soluzione, ma non ci fu modo di coordinarsi con i lavoratori diretti del committente.

Il dilagare di appalti e subappalti porta Maurizio Landini a ritenere che sia diventato esso stesso una delle ragioni della inefficienza del sistema pubblico soprattutto in sanità. Ha preso piede un sistema talmente separato e frammentato degli interventi che si concretizza in condizioni di lavoro inaccettabili e al tempo stesso inefficienza e sperperi. Ha sostenuto la desiderabilità di una riorganizzazione che ridimensioni il sistema degli appalti, punti sugli organici diretti e qualificati anche riorganizzando gli orari e i turni in modo da utilizzare attrezzature anche costosissime 24 ore al giorno per sette giorni.

Sono approcci non nuovi, ma una tale nettezza di proposte non la ho mai sentita e quando ero sindacalista in servizio non ho mai ottenuto che se ne discutesse apertamente.

Per dare luogo a progressi occorre anche domandarsi: perché finora non ha funzionato che in minima parte?

Aldo Amoretti

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