Roberto Polillo – Il Diario del Lavoro https://www.ildiariodellavoro.it Quotidiano online del lavoro e delle relazioni industriali Tue, 07 Dec 2021 11:50:03 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.4.3 https://www.ildiariodellavoro.it/wp-content/uploads/2024/02/fonditore.svg Roberto Polillo – Il Diario del Lavoro https://www.ildiariodellavoro.it 32 32 Il rapporto tra filosofia e scienza: un conflitto riemerso con la pandemia https://www.ildiariodellavoro.it/il-rapporto-tra-filosofia-e-scienza-un-conflitto-riemerso-con-la-pandemia/ Tue, 07 Dec 2021 11:13:49 +0000 https://www.ildiariodellavoro.it/?p=145435 Ogni uomo è filosofo, ma non tutti gli uomini sono scienziati

Nei quaderni del carcere Antonio Gramsci, studiando la funzione sociale dell’intellettuale ha ribaltato la concezione tradizionale che vedeva nel “letterato” il portatore di un sapere essoterico e inaccessibile a chi svolgesse attività materiale in cui fosse prevalente uno sforzo muscolare-nervoso.

Non c’è attività umana da cui si possa escludere ogni intervento intellettuale, non si può separare l’homo faber dall’homo sapiens. Ogni uomo infine, all’infuori della sua professione esplica una qualche attività intellettuale, è cioè un “filosofo”, un artista, un uomo di gusto, partecipa di una concezione del mondo, ha una consapevole linea di condotta morale, quindi contribuisce a sostenere o a modificare una concezione del mondo, cioè a suscitare nuovi modi di pensare.

Ogni uomo dunque è filosofo perché ognuno di noi è portatore di una personale visione del mondo e di valori riconducibili al campo dell’etica (la ben nota legge morale dentro di noi di cui parlava Kant) ma tale regola non si applica nei confronti della scienza perché in tale campo non contano le opinioni personali ma i dati accettati come “veri” (seppure falsificabili) dalla comunità scientifica; un sapere a cui non si può accedere per via intuitiva ma solo dopo uno studio accurato delle materie che costituiscono i diversi ambiti disciplinari.

Si può essere dunque filosofo ma non si può essere scienziato, virologo e in misura ancora minore immunologo perché tali saperi implicano lunghi anni di studio e di training; trattasi infatti di un sapere non esoterico (accessibile a chiunque) ma essoterico (limitato dunque ai cultori della materia) per seguire l’antichissima dicotomia aristotelica sulla diversa fruibilità delle conoscenze

L’incursione dei filosofi nelle materie della scienza

Il grande paradosso dei filosofi neo-foucaltiani (come sono stati definiti Cacciari e  Agamben da Giacomo Marramao su Huffington post) è che Michel Foucault , il cui maestro era stato Georges Canguilhem a cui si deve un testo fondamentale per l’antropologia medica “Il normale e il patologico” era uno straordinario conoscitore e studioso erudito  della medicina come dimostrano le sue opere  “Storia della follia nell’età classica” e soprattutto “La nascita della clinica un ‘archeologia dello sguardo clinico”; la stessa cosa invece non si può dire per Giorgio Agamben,  la cui formazione è prevalentemente giuridica con un particolare debito intellettuale verso Karl Schmitt, e quella di Cacciari in parte marxista e in parte orientata al pensiero negativo di Nietzsche.

Con una differenza sostanziale tra i due, perché mentre le incursioni nella scienza di Agamben non si sono viste quelle di Cacciari sono frequenti e francamente imbarazzanti per chiunque abbia un minimo di conoscenza della materia.

Non è mio interesse aprire una polemica a distanza ma prendere spunto dalle numerose imprecisioni dette nei vari talk show (non solo da Cacciari ovviamente) per cercare di fare chiarezza su alcuni temi che purtroppo sono stati distorti e amplificati da una televisione poco o pochissimo attenta a dare informazioni valide dal punto di vista scientifico.

Sostanzialmente tre sono le tesi sostenute da quanti ritengono inutili e pericolose per la democrazia le politiche messe in campo per il controllo della pandemia.

La pandemia come occasione per l’esercizio del biopotere su scala planetaria

Il concetto del biopotere, ovvero sia il controllo esercitato non più sul singolo individuo con il meccanismo del disciplinamento ma su scala di popolazione attraverso l’interferenza sul bios e sui meccanismi di riproduzione del vivente, ha accompagnato l’intero percorso intellettuale di M. Foucault. Questo tema è ora uno dei più richiamati dagli oppositori al green pass dagli scettici sull’efficacia vaccino e dai no-vax convinti e acculturati. Le prescrizioni messe in atto dai governi per limitare il contagio sarebbero in realtà i meccanismi con cui il potere cerca di imporre le sue misure di controllo sociale e da qui l’opposizione a quei provvedimenti in nome della libertà. In realtà l’epidemia da Sars Cov 2 è la dimostrazione del contrario; è la prova che il potere dell’uomo sul vivente ha un limite e che se i mondi vitali segregati vengono violati come avvenuto invadendo e violentando le riserve naturali dei pipistrelli dove quelle specie animali coabitavano con i corona-virus, si innescano dei meccanismi evolutivi delle specie sottoposte a pressione che travolgono gli equilibri con le altre specie e in primis con l’uomo. Un conflitto che si risolverà solo dopo che sarà raggiunto un nuovo e finora inedito equilibrio in cui entrambe le specie avranno uno proprio spazio riservato compatibile con le proprie necessità biologiche.

Covid 19 è dunque la testimonianza di quanto sia illusoria la pretesa dell’uomo di estendere il suo signoraggio sulla natura e quanto limitato il suo potere di interferire unilateralmente con i meccanismi della vita.

Il rischio che i vaccini a mRNA possano interferire con il patrimonio genetico del ricevente

Il secondo aspetto da chiarie riguarda la capacità dei vaccini a mRNA di interferire con il patrimonio genetico umano. Tesi bizzarra, sia perché il patrimonio genetico nell’uomo è costituito da DNA e non da RNA e sia perché la capacità di penetrare nelle cellule umane è una caratteristica peculiare del Virus SARS COV 2 ma non del vaccino a mRNA, che agisce con un meccanismo completamente diverso. Vediamo nel dettaglio

  • Il virus può essere rappresentato come una catena ininterrotta di RNA costituita dalla combinazione di quattro tipi di diversi monomeri chiamati nucleotidi; tale insieme è quello che costituisce il genoma virale
  • l’RNA virale è avvolto da una capsula di protezione rivestita a sua volta da particolari proteine a punta chiamate spike

Le proteine spike son indispensabili per fare fondere la membrana del virus con quella cellulare e, una volta avvenuta la fusione, per fare penetrare l’intero genoma del virus all’interno della cellula

Una volta penetrato, l’RNA del virus si lega all’apparato di produzione cellulare (i ribosomi) blocca l’attività fisiologica inducendone altre rivolte a rendere diffusibile il virus. Tali azioni sono:

  1. Sintesi di proteine che bloccano il sistema difensivo cellulare e la produzione di interferoni
  2. Duplicazione dell’intero RNA in milioni di esemplari (con possibilità di piccoli errori in grado talvolta di generare i ceppi mutanti, ultimo dei quali è la variante omicron)
  3. Produzione delle proteine di rivestimento e protezione del virus di cui spike è solo un costituente

A questo punto le particelle virali vengono assemblate in modo completo e fuoriescono dalle cellule per invadere i tessuti circostanti

  • Il vaccino a mRNA è costituito invece da un piccolo frammento di RNA virale circondato da una pellicola di glicoli (un prodotto utilizzato anche come antigelo). Le vescicole non hanno alcuna capacità di infettare le cellule umane perché prive della proteina spike.

Una volta iniettate, le vescicole contenute nel vaccino vengono captate da cellule specializzate nel fagocitare materiale estraneo, le cellule dendritiche diffuse ampiamente in tutti i tessuti.  All’interno di tali cellule l’RNA induce la produzione della proteina spike che viene successivamente localizzata sulla membrana delle stesse cellule in apposite strutture di supporto. Le cellule dendritiche migrano nel linfonodo di competenza e lì vengono in contatto con i linfociti che sono le cellule responsabili dell’immunità. Sono i linfociti che riconoscendo spike come estraneo all’organismo danno avvio alla risposta immune con la produzione di anticorpi proteggenti e la formazione di cellule in grado di uccidere le altre cellule infettate dal virus

Il vaccino dunque non interferisce in nessun modo con il materiale genetico del ricevente ma innesca una risposta che avverrebbe con qualsiasi altro materiale estraneo per la cellula e considerato potenzialmente infettivo

Il falso assunto che il vaccino non funzioni perché la metà dei ricoverati in terapia intensiva sono vaccinati

L’affermazione che il vaccino è inefficace perché la metà dei pazienti in terapia intensiva è un falso clamoroso che dimostra un’assoluta ignoranza della statistica.

Il parametro da utilizzare è invece quello del tasso per 100.000 abitanti che dimostra in modo incontrovertibile gli effetti positivi del vaccino; tra i non vaccinati infatti, come ben spiega il rapporto dell’Istituto superiore di sanità del 1dicembre c.a. il tasso per 100.000 è pari 13,2 mentre pe i vaccinati oscilla tra 2,2 e 1,4; lo stesso per quanto riguarda il rischio relativo che per i primi è 9 volte superiore rispetto a vaccinati.

Conclusioni

Nei confronti del gren pass e dell’obbligo vaccinale è sicuramente lecito avere idee e posizioni discordanti.  È lecito sostenere con forza la propria posizione e mobilitare chi condivide tale posizioni; non è tuttavia accettabile che illustri professori universitari mistifichino i dati della realtà sostenendo tesi che di scientifico non hanno assolutamente nulla. Ci si indigna per gli spazi di libertà negati, ma si dimentica che l’epidemia è in realtà una sindemia che colpisce duramente secondo uno forte gradiente di classe: a livello di sistema mondo tra paesi ricchi e poveri; a livello del singolo paese tra le diverse classi sociali e tra singoli individui in funzione degli svantaggi sociali accumulasti   nel corso della loro vita. Il vaccino può incidere su questi fattori impedendo che siano sempre i peggio collocati nella scala sociale a pagare il prezzo più alto della malattia Questa dimensione sociale dell’epidemia sfugge totalmente a questi illustri intellettuali che, in nome di un diritto astratto, mostrano una totale indifferenza per il destino delle persone reali.

Roberto Polillo

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Perché è necessario procedere rapidamente verso l’obbligo della vaccinazione per tutti https://www.ildiariodellavoro.it/perche-e-necessario-procedere-rapidamente-verso-lobbligo-della-vaccinazione-per-tutti/ Wed, 24 Nov 2021 11:38:10 +0000 https://www.ildiariodellavoro.it/?p=144793 Il sapere medico procede per ipotesi che si modificano col tempo

Per oltre 25 secoli la medicina ha ritenuto che il salasso, eseguito incidendo una vena del braccio per fare fuoriuscire un quantitativo di sangue di circa 300-400 cc, fosse una pratica fondamentale per la cura dei malati.

Con il salasso, il cui razionale derivava dalla “Teoria dei 4 umori” presenti nell’organismo, tendeva a restituire l’equilibrio fisiologico eliminando un liquido ritenuto erroneamente in eccesso (il sangue)

Era infatti concezione del tempo che il sangue non circolasse ma che si formasse per la coazione degli alimenti e si consumasse sotto forma di combusto e che pertanto un suo “eccesso” rispetto agli altri umori (bile gialla, bile nera e flemma) generasse la malattia; da qui la flebotomia che, ristabilendo l’equilibrio perturbato, riportava il sistema allo status quo ante.

A metà dell’800 divenne invece chiaro che nella stragrande maggioranza dei casi il salasso era controproducente e la pratica fu sostituita da una di segno diametralmente opposto: l’infusione di liquidi attraverso l’incannulamento di una vena, essendo lo stato di disidratazione che spesso accompagna le gravi malattie non trattate, di per sé una condizione di grave compromissione dell’organismo.

Questa premessa è la evidente dimostrazione che la medicina procede per tentativi e che alcuni interventi terapeutici messi in atto per secoli possono dimostrarsi successivamente totalmente sbagliati

Il caso della digitale e della talidomite

Lo stesso vale per l’uso della digitale, considerata fino agli anni ’90 del secolo precedente, il farmaco di scelta per l’insufficienza cardiaca e ora bandita perchè controindicata

Ancora più paradossale la vicenda della talodomite: un sonnifero che ha causato, se preso in gravidanza, gravissime malformazioni nei nati; il farmaco per tali motivi è stato messo giustamente al bando per molti anni, ma ora è di nuovo utilizzato essendosi dimostrato come uno dei farmaci di punta per la cura di una malattia ancora incurabile: il mieloma multiplo.

La medicina dunque procede per tentativi basandosi sulle conoscenze disponibili e modificando il proprio comportamento mano a mano che ulteriori conoscenze ridefiniscono il contesto.

L’atteggiamento antiscientifico dei no-vax

L’atteggiamento antiscientifico di molti oppositori all’uso dei vaccini ivi compressi quelli di razza, nasce dall’ignoranza di come avvenga il passaggio dal mondo delle idee della teoria medica alla caverna della terapeutica.

Anche i vaccini sono nati per l’intuizione geniale di un medico, Jenner, che osservando nel 1798 come i mungitori che si infettavano di vaiolo bovino non contraessero quello umano, decise di inoculare il contenuto delle pustole sulla cute di diversi soggetti ottenendo che la malattia non si contraesse o si manifestasse in forma attenuata.

Di fatto i vaccini hanno permesso che una malattia, il vaiolo, potesse essere dichiarata debellata e che un’altra, la poliomielite, lo possa diventare nei prossimi anni.

I vaccini hanno rappresentato la più grande scoperta della medicina e gli attuali vaccini a mRNA in uso contro il COVID 19 rappresentano una straordinaria invenzione che ci consentirà in tempi brevi di mettere a segno anche vaccini contro il cancro, contribuendo così a sconfiggere questa grave malattia ancora in molti casi incurabile.

La dimostrata efficacia dei vaccini per il COVID 19

La larghissima diffusione della quarta ondata di COVID nei paesi dell’est con bassissimo tasso di vaccinati (Slovenia Bulgaria e Romania) e le statistiche redatte nel nostro paese dall’Istituto Superiore di Sanità dimostrano in modo incontrovertibile l’efficacia del trattamento vaccinico nella prevenzione della malattia grave, dei ricoveri in terapia intensiva e nel numero di decessi.

Gli ultimi dati pubblicati il 10 novembre dimostrano come, rispetto ai non vaccinati, i vaccinati a doppia dose entro sei mesi hanno una riduzione del rischio del 75,6% che si riduce al 50% in quelli vaccinati con doppia dose da oltre 6 mesi e da qui la necessità del booster di richiamo

Una riduzione del rischio di malattia grave estremamente elevato che comporterà un significativo risparmio di vite umane e la minore circolazione di un virus che ormai è diventato endemico come quello influenzale.

Tralascio per ragioni di spazio di affrontare il tema della supposta interferenza del vaccino con il DNA umano perché destituita di ogni fondamento e quella sui rischi di una terapia genica; un trattamento straordinario che consentirà di trattare malattie genetiche incurabili che è tutt’altra cosa rispetto alla vaccinazione di cui stiamo parlando

Rendere obbligatoria la vaccinazione per tutti

Un ulteriore argomento contro l’uso dei vaccini è quello di una loro efficacia relativa; anche tale affermazione evidenzia una profonda ignoranza sui trattamenti oggi in uso per la cura delle malattie.

Se infatti il criterio di validazione fosse la capacità risolutiva di un trattamento medico ogni regime terapeutico in atto per il trattamento delle malattie cardiovascolari e per i tumori dovrebbe essere immediatamente sospeso; nessuno di questi è infatti in grado di garantire questo risultato attestandosi tutti su una riduzione della gravità della malattia e su un prolungamento dell’attesa di vita. In questo caso l’ottimo (la guarigione) sarebbe nemico acerrimo del (il bene)  contenimento del danno che consente a quasi tutti i pazienti di percorrere un altro tratto di vita in  condizioni accettabili.

Alla luce di queste considerazioni, mi aggiungo a quanti ritengono indispensabile introdurre per legge l’obbligo vaccinale per tutti; uniformandosi così con quanto avviene già oggi con dieci vaccini che peraltro non devono essere somministrati a uomini in forza e maturi come sembrano i no vax che agitano i sabati delle grandi città ma a bambini indifesi a partire dal terzo mese di vita.

L’assunzione di responsabilità da parte dello Stato

L’obbligo della vaccinazione per tutti, caldeggiata da diversi mesi dai sindacati CGIL, CISL e UIL priverebbe inoltre i no vax di un altro argomento: quello relativo al fatto che lo Stato non si voglia assumere la responsabilità di eventuali effetti collaterali che si dovessero manifestare a seguito della vaccinazione. E che per tali motivi abbia scelto la strada del green pass.

E’ questo un argomento da tenere in considerazione anche se di impatto modestissimo in quanto la vaccinazione si è dimostrata straordinariamente sicura e il numero di eventi fatali limitato a pochissimi casi. Una cifra insignificante rispetto al numero di morti ogni anno per incidenti sul lavoro.

Con l’introduzione dell’obbligo anche quest’arma spuntata verrebbe neutralizzata e si uscirebbe da un’ambiguità che è fonte di incertezza e che da ossigeno a tutti coloro che considerano il progresso scientifico non un’opportunità per il genere umano ma un male da contrastare con ogni mezzo.

Il precipitare della situazione non consente ulteriori incertezze e il governo dovrebbe procedere senza indugi verso una scelta razionale, efficace e sicura

Roberto Polillo

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Il governo Draghi e il restyling del Servizio Sanitario Nazionale https://www.ildiariodellavoro.it/il-governo-draghi-e-il-restyling-del-servizio-sanitario-nazionale/ Tue, 16 Nov 2021 12:29:14 +0000 https://www.ildiariodellavoro.it/?p=144129 I provvedimenti già assunti o in via di elaborazione

La presentazione alle Camere della legge di Bilancio segna, con i diversi articoli dedicati alla sanità in essa contenuti, un ulteriore passo nel processo di restyling del servizio sanitario nazionale avviato dall’esecutivo presieduto da Mario Draghi con il varo del PNRR.

Un percorso di riforme che rappresenta senza dubbio una significativa inversione di rotta rispetto al processo di marcato de-finanziamento e depotenziamento delle risorse umane che hanno caratterizzato gli ultimi 15 anni del nostro SSN.

Ed infatti l’azione del governo si sta concentrando su diverse linee di sviluppo indipendenti ma tra loro coordinate e orientate a incidere sull’intera organizzazione del sistema: dall’assistenza territoriale a quella ospedaliera:

  • il Piano di rinascita e resilienza (PNRR) (l’atto più significativo sia per le risorse impegnate che per gli obiettivi che si ripropone) stanzia nella Missione 6, dedicata alla sanità, una cifra pari a 15,6 miliardi in conto capitale per l’ammodernamento del SSN da utilizzare in due diverse linee di attività: M6C1 e M6C2: la prima dedicata a reti di prossimità, e strutture e telemedicina per l’assistenza sanitaria territoriale (finanziamento pari a 7 miliardi) e la seconda dedicata a innovazione, ricerca e digitalizzazione del servizio sanitario nazionale (finanziamento pari a 8,6 miliardi).
  • la proposta di modifica del DM 70 sugli standard ospedalieri (prontamente misconosciuta dal ministro della salute Roberto Speranza a seguito delle critiche sollevate da numerose società scientifiche mediche per nulla coinvolte nella sua elaborazione), che dovrà ridisegnare l’assistenza ospedaliera e che sarà aperta, questa volta, al doveroso contributo dei diversi stakeholder del campo istituzionale sanitario.
  • la proposta elaborata con AGENAS sui Modelli e standard per lo sviluppo dell’Assistenza Territoriale nel Servizio Sanitario Nazionale da ratificare attraverso uno specifico DM ministeriale che dovrà dare senso all’assistenza di prossimità.

A queste linee programmatiche si aggiunge ora la legge di Bilancio le cui disposizioni in materia sanitaria riguardano numerosi provvedimenti di cui alcuni di particolare rilievo:

  • Incremento del fondo sanitario nazionale di 2 miliardi per ciascuno degli anni 2022-2024.
  • Stanziamento di 1 miliardo e 850 milioni per farmaci e vaccini Covid.
  • Stabilizzazione del personale sanitario precario assunto durante l’emergenza Covid per la quale si stima una spesa complessiva (a valere comunque sulle risorse del fondo sanitario) di circa 690 milioni nel 2022 che scenderà a circa 625 milioni a decorrere dal 2023.
  • Finanziamento aggiuntivo per le borse di specializzazione dei medici (per arrivare a circa 12mila posti annui stabili) con una spesa nel triennio di 860 milioni.
  • Proroga fino al 30 giugno 2022 delle unità territoriali Usca anti Covid.
  • Incremento del tetto di spesa della farmaceutica per acquisti diretti (ospedaliera e Asl) che passa dall’attuale 7,65% all’8% nel 2022 per salire all’8,15% nel 2023 e arrivare all’8,30% nel 2024.
  • Incremento di 2 miliardi del fondo dedicato all’edilizia ospedaliera e al piano di ammodernamento della rete che passa da 32 a 34 miliardi.
  • Definizione dei Livelli essenziali delle prestazioni sociali per la non autosufficienza costituiti “dagli interventi, dai servizi, dalle attività e dalle prestazioni integrate che la Repubblica assicura, con carattere di universalità su tutto il territorio nazionale per garantire qualità della vita, pari opportunità, non discriminazione, prevenzione, eliminazione o riduzione elle condizioni di svantaggio e di vulnerabilità”. Un provvedimento, atteso da anni, che potrebbe rappresentare da solo o quasi la vera cifra di un profondo cambiamento.
  • Stanziamento a decorrere dall’anno 2022, di 200 milioni di euro per l’aggiornamento dei Lea (un provvedimento rimasto bloccato al MEF già da diversi anni per la mancanza di risorse aggiuntive)
  • Istituzione di unì indennità di pronto soccorso per la dirigenza medica e il personale del comparto sanità per un totale in totale 90 mln di euro a valere dal 2022.

Le criticità e la necessità di concertazione con parti sociali e corpi professionali

I provvedimenti predisposti dal governo sono sicuramente il segno di un rinnovato interesse per il potenziamento del nostro servizio sanitario; fatto importante ma tuttavia non sufficiente a garantire un vero cambio di passo se non saranno affrontati alcuni nodi, già emersi con chiarezza, e soprattutto se non si darà avvio a una stagione di confronto con parti sociali e rappresentanze professionali. Esistono infatti delle criticità riguardanti tanto gli interventi in programma sull’assistenza ospedaliera che su quella territoriale con particolare riferimento in questo caso alla governance del sistema e al ruolo del personale in esso impiegato. Andando con ordine

  1. Assistenza ospedaliera: la modifica (ritirata) del DM 70

Abbiamo già ricordato come il ministro Speranza abbia dovuto negare la paternità alla bozza di modifica del DM 70, comparsa sul giornale online Quotidiano Sanità, con cui si incideva fortemente sull’assistenza ospedaliera. La revisione del DM 70 infatti è un provvedimento da maneggiare con particolare attenzione  in quanto con esso si mette mano all’intera organizzazione ospedaliera attraverso una serie  articolata di azioni che riguardano: rimodulazione delle diverse tipologie possibili di ospedale (compreso il tanto atteso ospedale di comunità a gestione infermieristica) introduzione di un modello di assistenza per intensità di cure più elastico di quello basato sulle tradizionali divisioni e reparti; ampliamento del sistema delle reti cliniche (indispensabili per realizzare una continuità tra ospedale e territorio per alcune patologie ad alto impatto assistenziale garantendo al contempo un’assistenza più uniforme tra le diverse regioni)

Provvedimenti che vanno a incidere sulla carne viva del sistema e che richiedono un confronto aperto e l’accoglimento di alcune modifiche avanzate da numerosi soggetti professionali su una serie di punti che la bozza non affronta adeguatamente tra cui: dotazione complessiva di posti letto (ancora troppo bassa rispetto alle reali necessità); suddivisioni dei posti letto tra le diverse discipline (sottodimensionata per alcune discipline); giusta implementazioni delle reti cliniche per garantire un’uniformità assistenziale su tutto il territorio ma omissione di alcune altrettanto importanti (tra queste quella dedicata alle patologie allergiche e immunologiche totalmente dimenticate dal governo)

  1. Il potenziamento del territorio e il modello di governance

Le azioni previste dal PNRR e dal citato documento sui “Modelli e standard per lo sviluppo dell’Assistenza Territoriale nel Servizio Sanitario Nazionale” fissano, per potenziare quei servizi territoriali oggi fortemente carenti, una serie di obbiettivi su cui è difficile dissentire: la creazione, nell’ambito un preciso cronoprogramma, di case della comunità (un nome diverso – di cui non si vede la necessità – per indicare le attuali case della salute) e di ospedali di comunità; l’incremento dei livelli di assistenza domiciliare con cui garantire presa in carico del paziente, monitoraggio e assistenza dei pazienti con patologie acute/croniche non richiedenti il ricovero ospedaliero; rafforzamento del ruolo dei medici di famiglia potenziando le forme aggregative (uno dei nodi su cui torneremo); definizione di  protocolli di implementazione della continuità ospedale e territorio attraverso il pieno coinvolgimento di tutto il personale del distretto

Su altri punti si registrano invece omissioni e ambiguità; nulla infatti si dice sullo stato giuridico dei medici di famiglia (MMG) nonostante che il primo anno di pandemia abbia dimostrato chiaramente il fallimento dell’attuale modello assistenziale della medicina di famiglia basato su un rapporto di lavoro di tipo libero professionale; un rapporto convenzionale incapace di creare sinergie con gli altri operatori medici e non e più in generale le altre strutture del distretto. Altrettanto ambigua è invece la formulazione con cui si vogliono istituire centrali operative in ogni distretto dedicate alla presa in carico del paziente domiciliare con problemi di cronicità e non autosufficienza anche ai fini dell’utilizzo degli strumenti della telemedicina. Che natura e che funzione hanno queste centrali? Sono parte integranti del distretto o sono delle strutture separate e che svolgono una funzione di committenza verso operatori indifferentemente pubblici o privati? Se questo fosse, significherebbe istituzionalizzare su tutto il territorio nazionale proprio quel modello lombardo in cui il pubblico ha una funzione meramente di controllo miseramente fallito sotto l’urto della pandemia.

Considerazioni conclusive

Dopo anni di tagli lineari la grande crisi pandemica, ancora in corso, ha imposto una profonda revisione di quelle politiche che consideravano un trade-off insanabile il mantenimento di un efficiente stato sociale con una adeguata crescita economica.

Il governo Draghi si è mosso con grande efficienza per ristabilire le condizioni minime che possano consentire al nostro SSN di svolgere una funzione di protezione erga omnes.

Esistono tuttavia delle ambiguità nell’azione di governo, dipendenti in larga misura dalla composizione ibrida della compagine governativa, che vanno assolutamente sciolte e risolte con un confronto trasparente e aperto con tutti i soggetti portatori di interessi in campo sanitario.

Serve dunque avviare un confronto sui temi che abbiamo ricordato partendo tuttavia da una chiara dichiarazione di intenti. Il SSN deve restare pubblico dovendo garantire a tutti i cittadini il godimento di un’assistenza sanitaria di qualità indipendentemente dal reddito posseduto e dal territorio di residenza.

Proprio per questo ne va rafforzata la natura universalistica e dunque la proposta di autonomia differenziata in sanità portata avanti dalle regione del Nord, Emilia Romagna compresa, e rimessa in gioco dal documento di programmazione del governo deve, come condizione preliminare, essere espunta dal dibattito in corso perché irricevibile.

Roberto Polillo

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La “società del rischio” e i ritardi della politica https://www.ildiariodellavoro.it/la-societa-del-rischio-e-i-ritardi-della-politica/ Mon, 19 Apr 2021 15:38:41 +0000 https://www.ildiariodellavoro.it/?p=137241 Riflessività dei processi di modernizzazione

In un libro del 2000 dal titolo “La società del rischio” il sociologo tedesco Ulrich Beck vede nella post-modernità, una fase storica che possiamo collocare a partire dagli anni ’70 del secolo precedente, il passaggio dalla “società classista” e della “scarsità” il cui problema fondamentale era la redistribuzione delle ricchezze alla “società del rischio” in cui la riflessività degli stessi processi di modernizzazione e l’accrescimento del “progresso” tecnico-economico è all’origine di rischi sempre più transnazionali e non delimitabili negli ormai angusti confini degli stati nazionali

Pe Beck “Oggigiorno, le persone prendono coscienza che i rischi sono transnazionali e comincia a credere nella possibilità di un’enorme catastrofe, come il radicale cambiamento climatico o un attacco terroristico (o la diffusione pandemica di un virus). Per questo solo fatto noi ci troviamo legati agli altri, al di là delle frontiere, delle religioni, delle culture. In un modo o nell’altro, il rischio produce una certa comunità di destino e, forse, anche uno spazio pubblico mondiale»

Se dunque i rischi “In un primo stadio, possono essere legittimati come “effetti collaterali latenti”… con la loro universalizzazione, con la critica da parte dell’opinione pubblica e l’analisi (anti)scientifica, i rischi emergono definitivamente dalla latenza e acquistano un significato nuovo e centrale per i conflitti sociali e politici”.

“Tutti siamo esposti al rischio, perché tutti viviamo nella società del rischio. Prenderne atto non è solo un gesto di responsabilità, ma comporta un vantaggio strategico. La capacità di anticipare un rischio consente infatti di non trasformare le emergenze in panico sociale e le paure in catastrofi”.

Questo testo profetico che un altro straordinario sociologo, scomparso di recente, Zygmunt Bauman, ha definito “uno dei libri più influenti pubblicati nell’ultimo decennio” ha drammaticamente anticipato la condizione in cui oggi il mondo si trova per non avere messo in atto quell’insieme di misure che avrebbero dovuto limitare l’emergere e ancora di più il diffondersi di nuovi agenti patogeni a potenziale dimensione pandemica: materializzatasi già (non si dimentichi) nella SARS e nella MERS i alcuni anni orsono e oggi ripropostisi in forma più diffusiva nella COVID 19; una serie di infezioni tutte queste prodotte da una submicroscopica forma vivente rappresentata dai betacoronavirus, emersi per la rottura delle barriere tra quei “mondi vitali” separati che consentivano la sopravvivenza e la diffusione dei virus solo all’interno delle popolazioni non umane, quella dei pipistrelli.

La debolezza del nostro paese

Il nostro paese ha affrontato male la pandemia; non tanto nella prima fase in cui era difficile fronteggiare una situazione inedita e che la mancanza di una “cultura del rischio” rendeva altamente improbabile. Di sicuro però questo è avvenuto nella seconda a causa delle catastrofiche aperture delle discoteche della costa Smeralda e l’irresponsabile convinzione che l’epidemia appartenesse ormai al passato.

In questa grave mancanza di visione epidemiologica, ulteriori elementi di imbarazzo e preoccupazione sono il mancato aggiornamento del Piano pandemico del 2006 e la vicenda altrettanto imbarazzante del documento preparato dal team dell’ex dipendente della OMS Francesco Zambon sulla risposta dell’Italia alla pandemia e precipitosamente ritirato dopo poche ore dalla sua pubblicazione.

Non sta a me analizzare le responsabilità di quanto avvenuto, di cui si sta occupando la procura di Bergamo, ma è evidente che aldilà dell’adeguamento del piano quello, che è mancata è stata l’implementazione delle misure che pure erano previste nel Piano del 2006. In altre parole ritengo che se il piano del 2006 fosse stato trasformato in concrete azioni a livello delle singole regioni, noi avremmo disposto di una serie di misure (stoccaggio di mezzi di protezione individuale, di respiratori e farmaci; pianificazione dei posti in terapia intensiva e in reparti di isolamento; formazione adeguata del personale; predisposizioni di piani di limitazione del contagio all’interno dei nosocomi e delle località investite dal contagio, etc) che avrebbero sensibilmente limitato i danni prodotti dalla pandemia e conseguentemente il numero di morti la cui entità  ci colloca, purtroppo ai primi posti delle classifiche mondiali.

La responsabilità politica di tale gravissima omissione (su cui i giudici stanno indagando) va dunque e di sicuro addebitata a quei ministri che si sono succeduti al Ministero nel corso degli anni che hanno preceduto l’emergere della pandemia. Una responsabilità che quindi non può essere attribuita all’attuale Ministro Speranza, subentrato successivamente ai fatti. Al ministro Speranza inoltre non sembra neanche che possa essere ascritta la responsabilità diretta nel ritiro del documento Zambon, come precisato da fonti della procura di Bergamo. Tali fonti infatti hanno chiarito che il Ministro, pur mostrandosi contrariato dai contenuti del rapporto in cui si mettevano in evidenze le carenze del nostro sistema di risposta, non sembrerebbe avere contribuito al definito ritiro del documento.

Rimane la perplessità sulle ragioni politiche che hanno spinto il ministro Speranza a mantenere un profilo basso sulla vicenda rinunciando ad aprire i cassetti del ministero e portando quell’aria fresca che ci si sarebbe aspettato dal segretario di una formazione politica che per anni ha sostenuto l’informazione di giornalisti d’inchiesta come Sigfrido Ranucci di Report.

L’amara constatazione è che fintanto chè si facevano le pulci agli avversari politici tutto andava bene e che quando si è cercata la polvere sotto il tappeto di casa propria sono scattati i consueti meccanismi di negazione e di esclusione

La sensazione dunque è quella che sull’altare del continuismo governativo, malattia che non colpisce solo il PD, si sia persa l’occasione per dimostrare che tra destra e sinistra permangono delle differenze di fatto a partire da una diversa sensibilità per quanto riguarda la trasparenza dell’azione politica

La fase attuale delle riaperture delle attività economiche

Il nostro paese ha ieri preso la decisione di “aprire” a partire dal 26 aprile una serie di attività finora precluse per ragioni di eccessiva diffusione del contagio. Sappiamo che i dati pur incoraggianti (media dei nuovi casi scesi a 15.000; indice RT a 0,82; occupazione di posti letto di terapia intensiva e ordinari sotto il 37%) si accompagnano ad altri di segno opposto (numero di decessi costantemente sopra i 300; incidenza di nuovi casi di 182/100.00 abitanti) e che quindi è difficile prevedere se con la riapertura l’epidemia troverà nuovo carburante e riprenderà forza.

A favore di questa prospettiva più pessimistica si sono espresse sia le O.S. dei medici (chiamati eroi ma mai tenuti in considerazione nel momento decisionale) e illustri professionisti del settore come i Prof Crisanti e Galli, ma è altrettanto vero che il paese non è più nel mood di tollerare un prolungarsi di misure restrittive.  E una riprova di questo si è avuto nei dati sulla disoccupazione, sul drammatico incremento dei nuovi poveri e degli scontri di piazza che non possono essere ridotti solo alla presenza all’interno delle manifestazioni di provocatori notoriamente di estrema destra

Non c’è dubbio che il paese è stanco e che delle misure di liberalizzazioni non possono essere ulteriormente disattese; rimane però il problema se nel frattempo, aldilà della campagna vaccinale che sta dando i suoi frutti, il governo e le regioni abbiano assunto le necessarie misure di contenimento del rischio

La mancanza di una pianificazione delle misure di contenimento

Nella prospettiva di Beck abbiamo visto come l’anticipazione del disastro, pur mettendo in crisi le più incrollabili certezze, offre tuttavia la possibilità di produrre cambiamenti significativi, innescando energie nuove in grado di prevenire gli eventi e contenere il danno

Questa politica (contenimento del danno e di abbattimento del rischio) non sembra tuttavia essere ancora entrata nelle strategie del governo; sappiamo per esempio che il rischio insito nella riapertura delle scuole (una delle necessità improcrastinabili) non è tanto nelle condizioni indoor, se si rispettano le dovute distanze tra gli studenti, ma nel sovraffollamento delle classi e nella fase dei trasporti e della post-attività scolastica. Su questi punti nessun piano è stato elaborato e le domande già poste restano sempre senza risposte: perché non prevedere doppi turni? Perché non utilizzare il trasporto privato, che già è stato coinvolto nelle nostre città, per lo spostamento selettivo degli studenti?

E ancora prima perché non è stata avviata nessuna indagine epidemiologica degna di questo nome per quantificare in modo scientifico il reale rischio connesso alle lezioni in presenza? E subito dopo perché non predisporre, almeno su un campione di scuole, l’uso di tamponi orali per la ricerca del virus al fine di monitorare modalità, entità di trasmissione e eventuale ripresa dei contagi?

Dal punto di vista sanitario invece è ormai assodato e da tutti condiviso come il punto di caduta del servizio sanitario sia stata la disorganizzazione delle cure territoriali e la mancanza di strumenti idonei per affrontare il contagio da parte dei medici di famiglia. Cosa è stato fatto su questo aspetto, in cui la responsabilità dello Stato e del ministero della Salute è decisiva? Ricordiamo infatti che in tema di epidemie le competenze previste dalla legge 833/21978 e dal Titolo V della novellata Costituzione (art 117) sono esclusivamente in capo allo stato centrale. Anche in questo campo purtroppo ben poco è stato fatto e ancora oggi le unità di cure domiciliari chiamate USCA (istituite dal governo giallo rosso per affrontare l’emergenza sul territorio) restano un miraggio per una evidente incapacità, da parte del Ministero della salute, di programmare tali interventi su tutto il territorio nazionale e di chiederne conto alle regioni

Questo deficit nella capacità di mobilitazione di tutte le energie intellettuali per sconfiggere l’epidemia è il vero punto debole dei governi succeditisi nell’ultima legislatura e il governo Draghi è nato per sopperire a queste carenze oggettive che nulla hanno a che vedere con i complotti della spectre dei poteri forti preconizzati da Goffredo Bettini. Questo e solo questo è il terreno su cui sarà giudicato il governo Draghi, un governo emergenziale e di unità nazionale nato per affrontare e risolvere problemi che gli altri avevano lasciati insoluti.

Non è ancora il tempo per redigere il saldo finale ma certo è che a metà maggio inoltrato si saprà se il paese è uscito dall’emergenza o in essa è nuovamente e tragicamente ripiombato e allora saranno evidenti meriti e demeriti di chi sta attualmente governando per portarci fuori dal guado. Di certo tuttavia l’attuale governo ha segnato una discontinuità ma con altrettanta franchezza non sembra ancora in grado di valorizzare al meglio quelle risorse di cui fortunatamente ancora il paese dispone.

Roberto Polillo

 

 

 

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Riuscirà Draghi a trasformare l’immenso credito di cui dispone in efficace azione di governo? https://www.ildiariodellavoro.it/riuscira-draghi-a-trasformare-limmenso-credito-di-cui-dispone-in-efficace-azione-di-governo/ Mon, 01 Mar 2021 15:23:30 +0000 https://www.ildiariodellavoro.it/?p=135326 La terza legge della dinamica stabilisce che ad ogni azione corrisponda una reazione uguale e contraria. E questo significa che nell’esercizio di una forza l’azione non avviene a senso unico in quanto a essere coinvolti sono sempre i due corpi che si contrappongono.

Possiamo assumere che quello che sta avvenendo nell’attuale legislatura sia una dimostrazione di come il principio della dinamica possa interessare anche le forze politiche e non solo quelle fisiche.

In questa prospettiva al fallimento del governo giallo verde ha corrisposto un governo di segno contrario: quello giallo rosso, da alcuni definito il più a sinistra della storia repubblicana (sic!); e al fallimento di quest’ultimo (attribuito in maniera consolatoria e irrealistica alla esclusiva malvagità di Renzi) corrisponde ora il governo Draghi nella cui composizione è innegabile la maggiore presenza delle componenti di destra (Lega e Forza Italia).

Dunque è innegabile e in un certo senso naturale che tutte le volte in cui uno spazio lasciato politico viene lasciato libero questo viene occupato da una forza alternativa e di segno contrario rispetto alla precedente.

Questo non significa che automaticamente le decisioni che Draghi assumerà avranno una valenza di destra, se riteniamo ancora valida la storica l’assunzione che la destra privilegia la libertà individuale mentre la sinistra privilegia l’eguaglianza declinata ovviamente anche in termini inter-generazionali e non solo intra-generazionali.

Da questo punto di vista il discorso programmatico di Draghi è stato decisamente di sinistra quando ha chiarito come il debito cattivo sia un danno per le generazioni che verranno; per i figli e i nipoti che dunque saranno meno eguali rispetto ai loro genitori che per egoismo hanno disperso risorse per definizioni scarse.

Draghi dunque sarà giudicato da quello che sarà in grado di fare e se riuscirà a realizzare lo stretto mandato che il presidente gli ha conferito congiuntamente all’incarico: piano vaccini più efficace, riscrittura del recovery plan, messa in sicurezza dei conti pubblici.

Ancora più decisivo sarà poi il ruolo che il presidente potrà giocare nello scacchiere europeo e in particolare sulla riforma del modello di governance della EU e del Patto di stabilità che sempre di più appare come un passo fondamentale per rifondare l’unione europea su basi solidaristiche e non più solo monetarie.

Su questo aspetto il carisma di cui dispone Draghi è ineguagliabile e rappresenta un valore aggiunto di cui non dispone nessun altro cittadino europeo e non solo italiano.

Molti anni fa l’antropologo Marcel Mauss, studiando il significato del “dono” nelle popolazioni primitive, aveva notato come il valore dell’atto di donare, che rivestiva un fatto sociale di altissimo valore culturale in alcune società primitive, risiedesse nella fiducia che il donatore aveva circa la possibilità di essere ricambiato pur non esistendo un vincolo che rendesse obbligatorio lo scambio di un altro dono.

Un altro antropologo, Bronislaw Malinowski, studiando le popolazioni delle isole Trobriand descriveva l’anello di Kula, in cui popolazioni delle diverse isole erano solite scambiare, in un cerimoniale codificato, delle conchiglie colorate (prive di alcun valore reale) e che solo dopo tale scambio, e non prima, era possibile procedere alle transazioni economiche e al baratto di beni.

In entrambi i casi è evidente che esiste una componente immateriale in ogni scambio di beni e che alcuni oggetti (i doni) vengono saturati di un’energia morale che è una moneta ben più solida di quella tradizionale e senza la quale nessuna transazione è possibile.

Un ‘energia morale di cui Draghi è fortemente investito, avendo ricoperto nella sua lunga carriera ruoli prestigiosi che ha saputo condurre con originalità e autorevolezza universalmente riconosciuta in Europa come nel resto del mondo; e il riverbero del credito accumulato nel suo agire da governatore di Bankitalia, e poi della BCE, lo si è visto con l’immediato calo dello spread dei titoli italiani sul Bund tedesco non appena incaricato di formare il governo da parte del Presidente Mattarella.

Rimane ovviamente il problema relativo a quello che il governo Draghi riuscirà concretamente a fare, anche in considerazione dell’attuale quadro politico. Non è certo un buon segno la disgregazione del movimento 5 stelle, al cui capezzale Grillo si è recato per tentarne la rianimazione coinvolgendo anche Giuseppe Conte; lo stesso dicasi per il PD, lacerato dallo scontro tra correnti con una leadership, quella di Zingaretti, messa in discussione senza più apertamente da Bonaccini; e non diversa neanche la situazione del microcosmo di LEU, spaccata tra ala governista, premiata dalla riconferma di Speranza alla Salute, e SEL di Fratoianni, che ha votato contro la fiducia al governo Draghi.

Analoghe problematiche coinvolgono il fronte destro dello schieramento politico, dove è sempre più sanguinosa la competizione tra Matteo Salvini e Giorgia Meloni, con un progressivo rafforzamento di quest’ultima nel ruolo di oppositore al governo di ultima istanza, e con una Forza Italia fuori dai giochi perché ridotta a testimonianza del tempo che fu.

Certo la stratificazione top-down del governo Draghi, con un iperuranio dei portatori delle “idee” scelti direttamente dal premier, e una “caverna” dei portatori d’acqua designati dai diversi partiti, non è il massimo che ci si aspettasse dal governo dei migliori; lo  stesso dicasi per la lottizzazione dei posti da sottosegretario attuata secondo le rigide regole del manuale Cencelli, anche se va detto che Draghi ha posto un limite ben preciso alle indecisioni dei partiti, superato il quale avrebbe provveduto direttamente.

Alcune scelte fatte, tuttavia, e tra queste le designazioni al ministero dell’interno e della giustizia, non sembrano particolarmente felici per il ruolo svolto in passato dai nuovi titolari dell’incarico di sottosegretario nella stesura di alcuni inaccettabili decreti, come quelli relativi alla “sicurezza” di impronta leghista, o perché attuali difensori del presidente Berlusconi in alcuni processi come il Ruby ter.

Non è dunque ancora arrivato il tempo per giudicare l’azione del governo, ma presto arriverà e la valutazione non riguarderà le autodichiarazioni più o meno millantate di appartenenza a una determinata area politica, ma quello che sarà effettivamente fatto in termini di piani vaccinali, recovery plan, rilancio del paese (economia e lavoro) e soprattutto democratizzazione del sistema Europa.

Draghi ha le caratteristiche soggettive per riuscire nell’impresa di trasformare il credito immenso di cui dispone in forza di cambiamento e di riordino del nostro slabbrato sistema; un’ultima chiamata prima di precipitare in una situazione da cui ci potremmo riprenderci solo con grandissime difficoltà.

Roberto Polillo

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Morire per Giuseppe Conte: aporia di una battaglia politica senza senso https://www.ildiariodellavoro.it/morire-per-giuseppe-conte-aporia-di-una-battaglia-politica-senza-senso/ Tue, 02 Feb 2021 15:12:11 +0000 https://www.ildiariodellavoro.it/?p=132423 I pessimi risultati del governo Conte bis sono certificati in poche cifre

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I pessimi risultati del governo Conte bis sono certificati in poche cifre

  • Il debito pubblico, secondo le rilevazioni della Bankitalia, è passato in appena 8 mesi (aprile-novembre 2020) da 2.433.523 a 2.586.481 miliardi, aumentando di quasi 153 miliardi, 152 e 958 milioni
  • Il rapporto debito/PIL secondo i dati della Commissione europea, è aumentato dal 134,8% del 2019 al 158,9% di fine anno, per passare (speriamo) al 153,6% alla fine del 2021.
  • Il Pil del 2020 ha registrato un calo del 9,5%
  • Il numero di morti per COVID nella seconda ondata, che comprende il periodo da ottobre ad oggi (in cui il paese sarebbe dovuto arrivare avendo fatto tesoro degli errori precedenti) è stato di gran lunga superiore a quello della prima ondata da marzo a maggio 2020. Il triste bilancio è infatti passato dai 34.278 decessi del primo periodo ai 49.274 del secondo
  • Le iniziative assunte dalla struttura commissariale di Arcuri suscitano crescenti perplessità: al primo posto i costi per le mascherine Fp2 pagate, secondo Milena Gabanelli, al prezzo unitario di 1,05 euro a fronte di 0,91 centesimi spesi dall’azienda ospedaliera Marche Nord; con la conseguenza che su 100 milioni di pezzi il commissario ha pagato 65 milioni in più di quanto avrebbe potuto spendere spuntando un prezzo migliore; a seguire la vicenda contorta delle siringhe luer lock con cui si possono estrarre 6 e non 5 dosi del vaccino Pfizer; per finire il Piano Vaccinico dimostratosi inadeguato e in corso di riscrittura non essendo ancora ben chiari i criteri di priorità nella somministrazione delle dosi e le modalità di prenotazione dei cittadini; a questo poi si deve aggiungere il vergognoso uso clientelare delle dosi, essendo ben 400.000 quelle somministrate con sotterfugio ai soliti furbetti senza che nessuno vigilasse sul loro corretto impiego.
  • Il problema enorme degli studenti che non hanno potuto frequentare la scuola per la mancata predisposizione di mezzi idonei a limitare l’inevitabile maggiore esposizione al virus tra cui: turni scolastici differenziati nell’intera settimana, piano trasporti, esecuzione di tamponi antigenici per valutare l’effettivo impatto della riapertura della scuola sui contagi.

Ovviamente sarebbe ingeneroso attribuire esclusivamente a Giuseppe Conte la responsabilità di tali non lusinghieri risultati; è innegabile tuttavia che il governo ha obbedito esclusivamente in quella che in fisiologia si chiama “legge dell’assone”: la reazione nervosa fa seguito allo stimolo, ma senza stimolo non c’è risposta. Il governo, in altre parole, si è dimostrato incapace di anticipare gli eventi, ma in una sorta di guida con pilota automatico, ha messo in atto misure solo ad eventi verificatisi senza mai nemmeno tentare di anticiparne il corso.

La crisi ora sembra incartarsi sul nome di Giuseppe Conte rendendo ancora più incomprensibile la vicenda. 5 stelle, PD e LEU ripetono fino all’ossessione che la crisi è stato un atto di irresponsabilità da parte di Italia Viva: un giudizio difficilmente non condivisibile. E continuano affermando che il momento è della massima urgenza e che il paese ha bisogno di un governo; Giusto ma non si capisce per quale motivo allora, a fronte di una situazione di gravità tale da sconsigliare il ricorso alle urne, si riproponga un presidente del consiglio che non ha brillato per efficacia e non un’altra personalità, espressione sempre di quella maggioranza.

Questo dunque è l’aporia e l’elemento di contraddizione nel discorso dei sostenitori (almeno per ora) del Conte o morte: si deve fare in fretta, ma senza Conte elezioni essendo solo lui in grado di gestire il governo. E’ del tutto evidente la strumentalità di una tale illogica posizione. La verità infatti è che ad essere in gioco non è tanto la fase attuale, ma quello che verrà in seguito, quando le elezioni non potranno più essere evitate.

Giuseppe Conte è in realtà il garante, non di un efficace gestione dell’attuale emergenza, ma del mantenimento della stessa alleanza politica quando ci si scontrerà con il centro destra. Con Conte dunque c’è la garanzia che l’asse 5 stelle PD e LEU costituisce una coalizione non solo per oggi ma soprattutto per il futuro

Il trade-off è allora drammaticamente evidente: si affida il paese non a chi, con mano decisa, ci porterà fuori da una tragica emergenza, ma a chi dà garanzia che la prossima sfida elettorale non sia una marcia trionfale per la destra. Trovo che questa sia una scelta inaccettabile e sbagliata non meno di quella adottata da chi ci ha portato alla crisi, senza fermarsi per sfrenata egolatria, anche dopo avere ottenuto la maggior parte di quanto giustamente richiesto.

Fortunatamente per il paese alcune di quelle richieste sono state accettate perché è ormai a tutti evidente che il recovery plan targato Conte -Casalino, prima delle proteste di Italia Viva, era un documento assolutamente inadeguato per un corretto utilizzo delle risorse che l’Europa ha stanziato per noi; risorse, è bene ricordarlo, che non sono state ancora erogate e che potrebbero non esserlo se il governo non metterà in campo le riforme che la stessa Europa richiede

C’è dunque uno straordinario deficit di politica nelle forze schierate a testa bassa per Conte; comprensibile per i 5 stelle, ormai allo sbando e sprofondati nel caos per la mancanza totale di leadership, ma inconcepibile per forze politiche formatesi nella tradizione del partito nuovo di Togliatti.

Ormai la contrapposizione tra contiani e non contiani non è più nel merito, ma si è trasformato in uno scontro muscolare tutto giocato al maschile: spie di questo smottamento del dibattito delle idee, l’accusa di essere una radical chic rivolta contro Concita De Gregorio da parte di Nicola Zingaretti, immemore che la stessa giornalista è stata una degli ultimi direttori del giornale del suo ex ormai lontanissimo partito, l’Unità.

Il reato a lei ascritto quello di avere vergato sulle colonne della Repubblica che la partita della crisi è totalmente in mano agli ex democristiani e che la gestione da parte dello stesso Zingaretti è stata catastrofica per il PD; l’elefante bianco nelle parole del commissario politico dell’ex premier Goffredo Bettini; un pachiderma che segue con lungimiranza la retta via e sul cui groppone è saltato un tamburino (Renzi) che suona una stupida e triviale marcetta, scambiata (dalla stessa Concita) per una giga di Bach.

Ancora peggiore la campagna dell’altro commissario politico di Giuseppe Conte, Marco Travaglio, ideologo di quel che resta dei 5 stelle duri e puri, rivolta contro Matteo Renzi; una campagna d’odio arrivata al punto di pubblicare sul Fatto Quotidiano una indecente vignetta di Mannelli in cui si invita il lettore a sputare sulla faccia del leader di Italia viva.

Trovare in tutto questo un barlume di logica costruttiva è impresa ardua. Il costituzionalista Michele Ainis ha recentemente richiamato la sua attenzione sul livello di scadimento generale della politica e di offesa recata alla costituzione con il mercimonio della caccia al senatore responsabile; ripetuti richiami sono stati lanciati da Sabino Cassese e dallo stesso Gustavo Zabrebelsky, un tempo ospite fisso del fatto quotidiano.

E’ grave che gli eredi del grande PCI che fu di Gramsci, Bordiga e Togliatti (PD e LEU) non si accorgano del baratro di inciviltà in cui stiamo lentamente cadendo.

Roberto Polillo

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La crisi di governo e la dissoluzione del sistema politico del paese https://www.ildiariodellavoro.it/la-crisi-di-governo-e-la-dissoluzione-del-sistema-politico-del-paese/ Sun, 24 Jan 2021 23:00:00 +0000 https://www.ildiariodellavoro.it/la-crisi-di-governo-e-la-dissoluzione-del-sistema-politico-del-paese/ L’ostinazione con cui il presidente Giuseppe Conte persiste a non prendere atto della fine del suo governo richiama alla memoria il 1972 e il governo Andreotti II, meglio noto come governo Andreotti – Malagodi.

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L’ostinazione con cui il presidente Giuseppe Conte persiste a non prendere atto della fine del suo governo richiama alla memoria il 1972 e il governo Andreotti II, meglio noto come governo Andreotti – Malagodi.

Un governo di centro destra che durò in carica dal giugno 1972 al luglio 1973 e che cadde in data 28 maggio per il ritiro del sostegno esterno da parte del Partito Repubblicano Italiano causato dalla cosiddetta vicenda di Tele Biella.

Nonostante questo, Giulio Andreotti non presentò le proprie dimissioni limitandosi a una semplice colloquio informativo con il presidente Leone e procrastinò la formalizzazione della crisi fino al 12 giugno e solo dopo lo svolgimento del congresso della DC, con elezione di Fanfani alla segreteria e il riavvio della stagione dei governi di centro sinistra (Rumor IV). Un periodo dunque di due settimane che sollevò le proteste dell’opposizione e le preoccupazioni della stampa.

Altri tempi, non c’è dubbio, ma è difficile non rimarcare un’ulteriore assonanza tra Giuseppe Conte e il Divo Giulio: quella delle comuni frequentazioni degli ambienti ecclesiastici e della identica stima che i vertici di Oltretevere riservano a entrambi.

Il quotidiano Il Domani si è spinto oltre, definendo Giuseppe Conte il politico che può vantare le maggiori entrature in Vaticano secondo in questo solo al già citato Giulio Andreotti.

Chi avrebbe mai potuto pensare che il distillato dei meet-up e dei vaffa day dei Grillini sarebbe stato un uomo con il passo felpato e la pochette sempre in ordine? Chi avrebbe scommesso una lira che i comandamenti del popolo dei 5 stelle: avversione per i vaccini, liberalizzazione delle droghe leggere, vincolo di mandato estremo, autosufficienza politica del noi contro il mondo intero (poi ampiamente rivista) e disprezzo degli avversari, oltre ovviamente a rifiuto di TAV e TAP, avrebbe trovato come punto di rappresentanza ufficiale un uomo che della mediazione leguleia, delle buone maniere e dell’eloquio curiale ha fatto la sua cifra distintiva?

Misteri della politica italiana e di quell’opportunismo, senza distinzione di colore politico, che trasforma in oro quello che prima era vile metallo ed eleva al ruolo di costruttori di futuro coloro che prima erano il percolato della storia.

Il Presidente Conte dunque si è finora opposto ad ogni ipotesi di dimissioni, temendo che nel breve tragitto che separa Montecitorio dal Quirinale si potesse fare a meno della sua figura; come se l’avvicendamento di un presidente del consiglio fosse una sorta di regicidio, un atto blasfemo la cui semplice supposizione si trasforma in peccato o tradimento.

L’impressione è quella di una perdita del senso della misura da parte di tutti i partiti della coalizione e di un altrettanta buona dose di ipocrisia. E’ infatti del tutto evidente che la situazione, stante la crisi sanitaria, economica ed educativa che stritola il paese, sconsiglia il ricorso alle elezioni anticipate.

E come diretta conseguenza è altrettanto evidente che il refrain sulle elezioni, invocate dai commissari politici di Conte, Goffredo Bettini da un lato e Marco Travaglio dall’altro, è un artificio retorico o meglio un richiamo per stanare la preda: i centristi trasversali perchè destra o sinistra non contano e, come sostenuto dal truce Di Battista, anche il salto del fosso da parte degli ex nemici di sempre come gli italoforzisti, sarebbe ben accetto, valendo bene una messa la prosecuzione della legislatura.

I pontieri sono all’opera per un governo di salvezza nazionale fino a ieri sdegnosamente negato. Ovviamente per accedere all’indulto il figliol prodigo, Matteo Renzi, prima di pranzare con l’agnello sacrificale, dovrà dare segni di pentimento iniziando a votare la relazione del Ministero Bonafede; facile a dirsi ma difficile a farsi perché indisponibili a votare la relazione del Guardasigilli si sono già dichiarati anche  i centristi che avevano consentito a Conte di raggiungere quota 157: l’intramontabile Casini, la moglie di Mastella sen. Leonardo, l’ultimo dei socialisti Nencini e l’uomo del giorno il sen. Ciampolillo, che del resto ha votato a favore del governo per procura dichiarata dei genitori, da lui pubblicamente ringraziati.

Resta dunque un mistero come pretendere che gli esponenti di Italia Viva, che si erano astenuti sulla fiducia, possano domani approvare una relazione che nelle parole di Di Maio è considerata un’equivalente e un sine qua non per continuare a procedere.

La tragedia dunque rischia di trasformarsi in farsa, mentre i problemi sono stati semplicemente nascosti come segnalato da Confindustria che ha criticato la non conformità del ricovery plan agli standard prefissati da Bruxelles e la mancata definizione della struttura di governance che dovrà gestire i 220 miliardi. Soldi che l’Italia erroneamente considera già incassati e che invece Bruxelles intende erogare solo a patto di precise indicazioni e verifiche sullo stato di avanzamento dei lavori ancora da inserire in un recovery plan estremamente povero di dettagli. E a tale proposito è sufficiente leggere quanto scritto oggi da Federico Fubini nel suo editoriale sul Corriere della sera.

Si naviga a vista e nessuno può prevedere con un margine di probabilità accettabile quanto avverrà da qui a 24 ore.

L’impressione è che però l’avvitamento della situazione sia un ulteriore dimostrazione della dissoluzione dl sistema politico italiano: i 5 stelle privi di linea politica e, dopo la defezione di Grillo e Casaleggio senior, di dirigenti capaci di declinare un minimo di alfabeto politico; il PD ormai dopato dal suo governismo che del resto garantisce ministeri, con la piccola esclusione del governo giallo-rosso, da quando Monti scese in campo per salvare la patria; LEU appagata degli incarichi di governo e del suo ingresso nella stanza dei bottoni; Italia Viva in preda all’egolatria del suo leader maximo che fa e disfa a suo piacimento; Forza Italia in decomposizione senile; Fratelli d’Italia in preda all’eccitazione di chi corre con il vento in poppa e la Lega schiacciata tra l’inconcludenza di Salvini e le richieste pressanti del mondo produttivo che essa rappresenta.

Se la situazione non fosse seria si potrebbe fare facile eroina citando le argute battute di Flaiano. E invece il senso di responsabilità ce lo impedisce perché i partiti che stanno dando questa immagine scadente della politica stanno in realtà impegnando il paese per i prossimi trenta anni assumendosi come responsabilità il destino dei nostri figli e nipoti. Una responsabilità che a torto o ragione interessa tutti noi.

Roberto Polillo

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Il fallimento del governo nella gestione della pandemia https://www.ildiariodellavoro.it/il-fallimento-del-governo-nella-gestione-della-pandemia/ Sun, 17 Jan 2021 23:00:00 +0000 https://www.ildiariodellavoro.it/il-fallimento-del-governo-nella-gestione-della-pandemia/ La mancanza di una coerente strategia nella gestione della pandemia da parte del governo, il cui destino si deciderà nelle prossime 48 ore, è sempre più evidente

Nella stessa giornata in cui si riaprono le scuole superiori in presenza per il 50-75% degli studenti (640.000 in totale) e il Comitato tecnico scientifico minaccia denunce per gli enti locali che non adotteranno la misura, il consulente del Ministro della Salute Valter Ricciardi contesta il modello dell’Italia a colori e prospetta un lockdown duro ed erga omnes di almeno tre settimane per raffreddare la circolazione del virus

Due visioni diametralmente opposte che non possono essere considerate una variazione sul tema ma una modulazione a una tonalità talmente lontana che l’armonia classica non esiterebbe a segnare con la matita rossa per la sua dissonante incoerenza.

Un ulteriore problema riguarda il fatto che per proporre la chiusura del paese è indispensabile avere una strategia su cosa fare una volta che l’epidemia sia stata raffreddata; e questo per non ricadere nei già visti ritorni di fiamma soprattutto ora in corso di vaccinazioni perché, come spigato da autorevoli virologi, la circolazione sostenuta del virus  favorisce l’insorgenza di ceppi mutati provvisti di una diversa costituzione antigenica che potrebbero non essere neutralizzati dagli anticorpi prodotti dai vaccini attualmente disponibili.

Il governo non ha mai elaborato un piano di tracciamento degno di questo nome; un piano che invece, stante il fallimento dell’app Immuni, avrebbe dovuto essere una priorità assoluta. Ricordo infatti che senza il tracciamento non è possibile isolare i portatori sani del virus che rappresentano la maggioranza dei soggetti infettati e che trasmettono l’infezione in maniera per così dire “invisibile”. Ne consegue che senza l’adozione di tali misure non è possibile azzerare il contagio come ampiamente dimostrato da quanto già visto con la seconda ondata

Il prof. Luca Ricolfi nel suo ultimo libro “La notte delle ninfee” (pg 61-70) dimostra come analizzando 24 paesi, tolta l’Italia, quelli che non hanno avuto una seconda ondata sono stati ben 10; 1 ne ha avuto una molto modesta; 8 ne hanno avuto una di altezza media; 4 ne hanno avuto una comparabile alla nostra e solo il Belgio è andato peggio di noi.

Un risultato che per i paesi virtuosi è stato possibile perché sono riusciti a far rispettare dai propri cittadini le diverse misure adottate per il contenimento della pandemia: Controllo frontiere, confinamento, regole di interazione e sorveglianza attiva.

Per quanto riguarda l’ultimo punto della sorveglianza attiva (tamponi, ricerca dei contatti, tracciamento elettronico, misure di isolamento dei positivi, residenza e assistenza domiciliare) particolarmente carente è stato l’intervento del nostro governo che non è stato in grado di implementare nessuna delle misure possibili a partire dall’effettuazione (indispensabili) di un numero sufficiente di tamponi.

Per il tracciamento, in particolare, non si capisce per quale motivo il governo non abbia mobilitato medici e personale sanitario in pensione o liberi professionisti che, come visto con il bando per i vaccinatori, hanno risposto in numero straordinario (si parla di oltre 18.000 professionisti)

E’ del tutto evidente infatti che gli asfittici servizi di prevenzione, su cui per anni si è abbattuta la scure dei tagli lineari non sono in condizione di eseguire un efficace tracciamento senza adeguati supporti; supporti che paradossalmente potrebbero essere disponibili da subito e che il governo non ha ritenuto finora importante utilizzare

La conduzione del ministero della salute non sembra dunque adeguata alla difficoltà del momento; anche in considerazione da quanto spiegato ieri da Sabino Cassese sul Corriere della sera commentando l’ordinanza della Corte Costituzionale del 14 gennaio che, sospendendo l’efficacia di una legge della Val D’Aosta, ha anche stabilito che  “la pandemia in corso ha richiesto e richiede interventi rientranti nella materia della profilassi internazionale di competenza esclusiva dello Stato ai sensi dell’art. 117, secondo comma , lettera q, Cost”. Per non citare ovviamente la vigente legge 833 del 1978 che detta identici principi

La responsabilità gestionale dell’epidemia era dunque di competenza esclusiva dello Stato e quindi la mancanza di un’adeguata strategia che ci hanno fatto assurgere al primo posto per il numero di decessi per numero di abitanti è un elemento di giudizio che non può essere rimosso

La vita del governo è dunque appeso a una filo ma la sua caduta non può essere attribuita esclusivamente all’irresponsabilità di Matteo Renzi, che pure c’è stata.

Se il governo cade è perché non è stato in grado di tutelare la salute dei cittadini, mettendo in campo una strategia di contenimento del danno efficace, e perché, purtroppo,  non possiede una strategia per il futuro. Questo è il vero punto politico e fingere che tutto dipenda dall’irrefrenabile giovanilismo di Renzi che non si trattiene a sufficienza, come sostenuto da Pierluigi Bersani, è una banalizzazione di cui possiamo fare tranquillamente a meno.

Se questa è l’elaborazione del lutto da parte dell’esecutivo morente, siamo veramente lontani dal potere guardare il futuro con un minimo si serenità.

Roberto Polillo

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La crisi di governo precipita mentre epidemia e crisi economica riprendono forza https://www.ildiariodellavoro.it/la-crisi-di-governo-precipita-mentre-epidemia-e-crisi-economica-riprendono-forza/ Mon, 11 Jan 2021 23:00:00 +0000 https://www.ildiariodellavoro.it/la-crisi-di-governo-precipita-mentre-epidemia-e-crisi-economica-riprendono-forza/ La formalizzazione della crisi, fino a ieri rimandata a data da destinarsi, sembra ora arrivata al capolinea. Oggi infatti, grazie alla moral suasion del presidente Mattarella, che è intervenuto per impedire che la situazione finisse del tutto fuori controllo, Renzi darà via libera in Consiglio dei ministri, convocato per questa sera, al recovery fund (voto favorevole o astensione) per ritirare subito dopo la sua delegazione; a questo farebbero seguito le dimissioni del presidente Conte che salirebbe al Quirinale, per ricevere così un nuovo incarico e dare via a un nuovo patto di legislatura con i propri partner.

Siglato col sangue come predica da tempo l’instancabile Goffredo Bettini, l’unico ad avere preso sul serio l’invito del capo dello stato a proporsi come costruttore di futuro e non come demolitore dell’incerto presente.

In caso sorgessero impedimenti, non resterebbe che l’alternativa più cruenta del confronto diretto nell’aula del Senato, nel quale secondo la suggestione attribuita a Rocco Casalino (successivamente smentita) il premier potrebbe ripetere con Matteo Renzi il successo ottenuto con l’altro Matteo. Fiducia garantita da un manipolo di responsabili ( Brunetta compreso) o, in caso di sconfitta varo del partito di Conte e avvio della campagna elettorale.

L’incertezza dunque regna sovrana eppure, indipendentemente dall’epilogo della vicenda qualche piccola considerazione è già possibile trarre da questa crisi che cade in un periodo molto complicato per il nostro paese per il riemergere senza controllo dell’epidemia e per l’aggravarsi delle crisi economica.

Un primo punto da sottolineare è che, aldilà della inevitabile demonizzazione dei personaggi in gioco, a Renzi va riconosciuto il merito di avere sollevato questioni non di poco conto; tra le quali quella relativa all’efficacia delle misure previste nel ricovery plan e che hanno portato alla riscrittura del documento con ampia di soddisfazione della maggioranza nella maggioranza costituita da 5 stelle, PD e Leu. Ancora non pervenuta la valutazione di Italia Viva che esprimerà un suo giudizio oggi, dopo avere finalmente ricevuto, in aggiunta al riassuntino in 13 pagine del documento, la sua stesura completa.

Una soddisfazione sul nuovo testo peraltro particolarmente ostentata da Leu per l’incremento a 19 miliardi delle risorse destinate alla sanità, ma che non viene assolutamente condivisa dall’universo mondo che si occupa di socio-sanitario (CGIL, CISL, UIL in testa) che parlano di una operazione cosmetica in cui i soldi restano sempre gli stessi e in cui la mancanza di risorse fresche impedirà un vero rilancio di un settore morente e impossibilitato a dare ai cittadini l’assistenza di cui hanno bisogno oggi e domani

Ancora più grave la mancanza nel piano di qualsiasi riferimento al mondo degli anziani, come messo ieri in luce dal quotidiano Il Domani a cui si deve anche il merito di vere denunciato per primo il tentativo di introdurre la task force di 300 consulenti a diretta nomina del presidente Conte che avrebbero gestito il recovery plan con buona pace dei ministri competenti. Il tutto attraverso il consueto escamotage di un emendamento, tra i tanti, alla legge di bilancio.

E dunque il dramma dell’invecchiamento della popolazione italiana, ribadito pochi giorni orsono dall’ISTAT, non sembra essere meritevole di un intervento specifico da parte dello stato e dal ricovery plan. Un’omissione incomprensibile perché in realtà è il complesso delle infrastrutture del paese (dalle case alle strade dal trasporto pubblico allo sport dalla sanità all’assistenza sociale) che dovrebbe essere rimodulato per dare finalmente risposta all’avvenuta transizione epidemiologica che in 50 anni ha rivoluzionato la piramide demografica. 

Un secondo punto riguarda i rischi che una crisi di governo non pilotata inevitabilmente avrebbe sul varo su due misure assolutamente necessarie: il decreto ristori con relativa approvazione dello scostamento di bilancio e il prolungamento dello stato di emergenza. E’ questo il punto di maggiore debolezza di Renzi perché, come in molti hanno sostenuto non senza ragione, prima di dare avvio alla crisi sarebbe assolutamente necessario mettere in sicurezza delle misure la cui mancata approvazione potrebbe trasformare il paese in un campo di battaglia per l’esplodere di un conflitto sociale finora rimasto sotto controllo

Un terzo aspetto altrettanto evidente è la perdita di incisività dei partiti che sostengono Giuseppe Conte. Incomprensibile il silenzio di Nicola Zingaretti che avrebbe accettato senza fiatare la polpetta avvelenata della task force a diretta dipendenza di Conte e la vacuità dei contenuti del ricovery plan.

Ancora meno comprensibile il silenzio dei 5 stelle anche se in questo caso è la mancanza di una chiara governance del movimento e la guerra intestina che contrappone Di Maio a Di Battista passando da Casaleggio, ormai all’opposizione, e l’elevato Grillo a pesare di più.

Emblematico il caso del responsabile politico pro tempore Vito Crimi che avrebbe dovuto stare in carico un mese e che invece è già là da un anno dalla sua nomina senza che siano state ancora definite le modalità di una sua sostituzione.

Più comprensibile la posizione di Leu che ha nell’esecutivo un ministro della salute divenuto centrale, causa l’epidemia, e che ha visto il suo economista di punta, Stefano Fassina, nell’importante ruolo di relatore della legge di bilancio appena approvata. Questo tuttavia non monda il partito dai suoi limiti evidenti di proposta politica e di non essere stato in grado di rappresentare uno stimolo di sinistra al governo in carica, anche per quanto riguarda le risorse sulla sanità incrementate solo dopo l’insistenza di Italia Viva.

Un ultimo punto riguarda la persona del Presidente Giuseppe Conte.  Da più parti è stata evidenziata la sua consistente egolatria e la sua ferma volontà di non cedere di un millimetro temendo di perdere, oggi, l’incarico di presidente del consiglio e domani, forse, quello di Presidente della repubblica. Quello che colpisce è la sua assoluta indisponibilità a mettere in discussione il suo ruolo. Altri, almeno formalmente, non avrebbero esitato a pronunciare la consueta frase di essere disposti a farsi da parte nel caso in cui invece di rappresentare una risorsa per il paese si fossero trasformati in ostacolo alla prosecuzione della legislatura.

Una tale eventualità non è mai stata presa in considerazione dal diretto interessato e quel che stupisce ancora di più neanche dai leader degli altri partiti della coalizione, nessuno escluso, che in altre situazioni non si sarebbero “impiccati” per usare un termine crudo per difendere Conte fino alla morte.

In somma il refrain che ha fatto la fortuna dei 5 stelle “uno vale uno” è stato definitivamente cancellato dal lessico politico e questo un bene. Non è invece un bene che sia trasformato nel contrario “solo uno vale per tutti” e che la legislatura sia legata a filo doppio, almeno per ora, alla permanenza di Conte alla presidenza del Consiglio.

Questo è l’aspetto meno condivisibile perché a conti fatti il governo Conte non è stato certo il migliore possibile nella gestione della pandemia, non se ne dolga il Ministro Speranza, e nella gestione della crisi economica. E forse un nuovo Presidente del Consiglio e una nuova squadra di governo, fortemente motivata come vorrebbe Goffredo Bettini, potrebbe rappresentare il valore aggiunto che finora è mancato.

Roberto Polillo

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La John Hopkins University smonta il mito dell’efficienza dell’Italia nella battaglia contro il COVID https://www.ildiariodellavoro.it/la-john-hopkins-university-smonta-il-mito-dellefficienza-dellitalia-nella-battaglia-contro-il-covid/ Sun, 20 Dec 2020 23:00:00 +0000 https://www.ildiariodellavoro.it/la-john-hopkins-university-smonta-il-mito-dellefficienza-dellitalia-nella-battaglia-contro-il-covid/ L’ampio risalto dei dati della John Hopkins University sulla mortalità per Covid 19 nei diversi paesi del mondo, Cina esclusa, ha definitivamente fatto tramontare il mito che l’Italia nella lotta virus avesse la palma dell’efficienza.

Un mito, riferito alla prima ondata del contagio, che peraltro era stato alimentato da importanti testate internazionali come il New York Times e l’austero Financial Time, e di cui si era fatto orgogliosamente vanto il presidente del Consiglio Giuseppe conte.

Il nostro paese, dopo lo shock iniziale e il dilagare dell’infezione per la mancata istituzione di zone rosse in Val Seriana, aveva mostrato, grazie al sacrificio di medici e operatori sanitari, una capacità di risposta resa più intensa dal duro lockdown imposto il 9 marzo che indubbi e importanti risultati aveva portato.

Gli stessi giornali internazionali si trovavano dall’altro lato il presidente inglese Boris Johnson quello americano Donald Trump che nulla facevano, convinti fino all’ultimo che l’unica soluzione razionale fosse quella di lasciare il virus libero di correre, certi che dopo avere portato via i più fragili e indifesi si sarebbe estinto, come un ciclone che perde forza dopo le inevitabili distruzioni.

Nessuno sapeva ovviamente che la valutazione dell’OMS Europa sull’operato del nostro paese, frutto di un’analisi accurata di suoi valenti ricercatori, coordinati da Francesco Zambon, funzionario ricercatore della stessa OMS, era di tutt’altro avviso; nel loro report “An unprecedented challenge Italy’s first response to COVID 19” pubblicato il 13 maggio e subito e inspiegabilmente ritirato per ordine dei vertici europei della stessa OMS si mettevano in luce le gravi carenze del nostro servizio sanitario nell’affrontare la crisi definendo “caotica e creativa” la risposta degli ospedali a causa della mancanza di un piano pandemico aggiornato.

Oggi sappiamo che lo stesso Zambon, scrisse in data 27 maggio al Presidente della OMS Europa Hans Kluge chiedendo che la decisione di ritirare il documento fosse annullata in quanto «Il rapporto contiene messaggi importanti, estrapolati dai fatti su cosa ha funzionato (molte cose) e sui punti ciechi del sistema». Il giorno dopo, in un messaggio a Ghebreyesus, lo stesso Zambon avvertì del “rischio di un danno catastrofico in termini di indipendenza e trasparenza se una versione ‘censurata’ della pubblicazione venisse modificata”.

Nella vicenda altri attori entreranno come personaggi principali e secondari tra cui il vicedirettore della stessa OMS Raneri Guerra che chiede a Zambon, appena prima del ritiro,  di modificare la data dell’aggiornamento del Piano pandemico, di cui sopra, posticipandolo dal 2006 al 2017 e dello stesso Kluge che secondo Open “scrisse al ricercatore, spiegando che il ministro della Salute Roberto Speranza era stato «molto contrariato» dal rapporto: il governo italiano, disse, si sente «costantemente attaccato dalla stampa e ogni parola può essere interpretata male. Si sono sentiti calpestati da un amico».

Una vicenda poco chiara, approdata tra l’altro nelle stanze della procura di Bergamo, in cui i soggetti coinvolti non hanno brillato di trasparenza trincerandosi talvolta dietro il silenzio, minimizzando la vicenda o non mettendo in luce il vero problema; che non è quello relativo alla data taroccata di aggiornamento del piano (che tra l’altro doveva essere rivisto ogni tre anni) bensì quello della mancata predisposizione delle misure previste nel piano del 2006 comunque vigente, e che se attuate avrebbero, in ogni caso, fatta la differenza. Si trattava infatti dello stoccaggio di DPI (maschere, camici, gambali, guanti etc), di ampliamento dei posti letto in terapia intensiva, di addestramento del personale, di rafforzamento dei mezzi di trasporto, mobilitazione della protezione civile etc. Azioni programmate e coordinate che avrebbero messo in sicurezza operatori, pazienti e cittadini.

Ritornando ai dati della John Hopkins University, l’Italia è oggi al primo posto tra i venti paesi del mondo con più alta circolazione del virus per numero di morti con un valore di 111,23 per 100.000 seguita da Spagna, UK ed USA e al terzo per indice di letalità (rapporto tra contagiati e numero di decessi) con un valore 3,5% preceduta da Iran (4,7%) e Messico (9%) seguita da Regno Unito (3,4%) Indonesia (3%) e Spagna (2,7%).

Una caduta nel precipizio di cui ancora si ignorano le cause e su cui possono essere avanzate tre ipotesi, colpa anche della mancata diffusione da parte del governo dei dati epidemiologici disaggregati; e questo nonostante le pubbliche rassicurazioni di Conte che i relativi file sarebbero stati messi a disposizione della comunità scientifica.

  1. La vetustà della nostra popolazione è sicuramente una delle cause, atteso che l’età media dei soggetti deceduti è di 80 anni, mediana 82 dei quali il 65,9% portatore di tra patologie croniche; ma questo non spiega per quale motivo il Giappone che ha una popolazione ancora più anziana della nostra abbia un indice di letalità dell’1,4%. Ricordo anche che la Germania (che è riuscita a uscire dal novero dei paesi super anziani in cui si trovava prima del 2015 grazie all’accoglienza di 2,6 milioni di giovani immigrati) non ha un differenziale di età media della sua popolazione rispetto alla nostra tale da giustificare il dimezzamento dell’indice di letalità (1,7 per mille)
  2. Il numero di tamponi eseguiti è il secondo fattore con l’accortezza che al loro crescere diminuisce l’indice di letalità; nel caso dell’Italia l’ultimo valore settimanale elaborato dall’università americana è di 124 casi per 100k di pop a fronte sempre del Giappone che evidenzia un dato di gran lunga inferiore essendo pari a 33 casi per 100 k di pop.
  3. Il terzo fattore è la qualità dei diversi servizi sanitari e nel nostro caso abbiamo più volte segnalato le gravi carenze sia sul fronte dell’assistenza ospedaliera nelle regioni del centro sud e di quella territoriale in tutto l’ambito nazionale. La sanità è stata gravemente e depotenziata nel corso degli ultimi 15 anni come evidenziato in un convegno del “Il diario” tenuto al Cnel nel 2019. Basta ricordare che nel corso degli ultimi 5 anni sono state chiuse 74 strutture di ricovero, 413 strutture di specialistica ambulatoriale e la contrazione del personale è stata di 22.000 unità di cui 2216 medici di medicina generale. A questo si è accompagnato l’abbandono di una politica di contrasto ai fattori di nocività e di promozione di corretti stili di vita con le conseguenze che la nostra popolazione è molto anziana ma anche molto provata per la presenza di quelle cronicità che abbiamo appena ricordato

L’epidemia dunque o per meglio dire la sindemia, come ben messo in evidenza sul Diario da Luigi Agostini, ha fatto emergere quelle debolezze strutturali del nostro sistema sanitario che si sono accumulate causa una lunga stagione di tagli lineari.

A questo però sia accompagna un’opacità della nostra classe politica che mostra una costante idiosincrasia verso la trasparenza e l’analisi critica del proprio operare. E questa è un variabile purtroppo indipendente dalla prima.

 

Roberto Polillo

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I duellanti https://www.ildiariodellavoro.it/i-duellanti/ Mon, 14 Dec 2020 23:00:00 +0000 https://www.ildiariodellavoro.it/i-duellanti/ Le dichiarazioni rilasciate dal Presidente Conte nell’intervista concessa al direttore della Stampa Massimo Giannini, non fanno ben sperare su una favorevole soluzione della crisi in atto. Il premier ha infatti bollato come “fesserie” le critiche sollevate da Matteo Renzi sulla sua gestione solipsistica del governo ribadendo di essere “forse il premier che ha usato il metodo più partecipato da molti anni a questa parte”.

Inevitabile la replica di Italia Viva che, attraverso il suo capogruppo Ettore Rosato, ha così commentato “vuol dire che lui e Casalino sono d’accordo tra loro” ribadendo il deficit di volontà di condivisione da parte del presidente Conte

La domanda da farsi è come mai Giuseppe Conte, avvocato navigato e osannato per le sue capacità di instancabile mediatore, abbia deciso di utilizzare un tono tanto sprezzante quanto inopportuno nei confronti di un alleato di governo che, aldilà della scarsa simpatia del suo leader, ha comunque posto un problema di rilievo e di sostanza.

E questo a poche ore di distanza dal confronto – scontro con la delegazione di IV, rimandato a tempi brevissimi per l’impossibilità a partecipare da parte della Ministra Bellanova, che per prima aveva sollevato la questione relativa alla famosa cabina di regia sul Recovery Fund.

Di sicuro il premier ha voluto rendere la pariglia al Renzi polemista che lo aveva attaccato, delegittimandolo, sul giornale “El pais” nel giorno in cui a Bruxelles si stava svolgendo un importante consiglio europeo. A questo però va aggiunta la solidarietà che le delegazioni dei 5 stelle e del PD hanno espresso al premier, rinnovandogli la fiducia e confermandogli la loro ferma volontà di andare a elezioni nel caso di caduta del governo. In un momento di grande tensione è anche naturale pensare che il premier abbia voluto riprendersi una sorta di rivincita anche se la scelta non sembra quella più opportuna.

Checche’ se ne dica la proposta di Conte di costituire un governo parallelo nella gestione dei progetti del Recovery Fund è una soluzione che suscita perplessità tali da avere indotto Sabino Cassese, il principe degli amministrativisti, a coniare la definizione di “proposta stravagante” di un “accentratore non decisionista” per il suo ideatore; in molti vedono nella struttura la fondazione del futuro partito di un Conte, atteso che di un partito egli  è privo e che, come sappiamo, ha con i 5 stelle un rapporto finora non strutturato.

Il dilemma è ora capire cosa farà Matteo Renzi di cui diamo per certo che non farà mancare i suoi voti all’approvazione della finanziaria, ma di cui ignoriamo le future intenzioni. Il personaggio è noto e ancora più nota è la sua frase dello “stai sereno” ad Enrico Letta che significava, con l’accordo, è bene ricordarlo, di tutta la segreteria del partito che poteva togliere il disturbo e cedere il posto: naturalmente a lui.

Conte da parte sua ha già detto che lui le valigie le ha già pronte e che in caso di crisi, bontà sua, tornerà ai suoi interessi, in primis quello di girare l’Italia per conoscere meglio il paese.

L’atmosfera è dunque quella del duello tra i due contendenti con possibili e imprevedibili colpi di scena che come tali, potrebbero arrivare in limine mortis. Rimane il paese, i suoi enormi problemi e ancora di più l’intervento di Draghi, il vero convitato di pietra, che ha messo in guardia dal cattivo utilizzo dei 209 miliardi messi a disposizione dell’Europa; per Draghi infatti il debito italiano è sostenibile solo se il paese riuscirà a crescere e per questo è indispensabile che i progetti creino valore aggiunto e non semplice redistribuzione di risorse a fondo perduto, come finora inevitabilmente avvenuto.

Un intervento molto apprezzato che ripropone la sua figura come possibile premier anche perché se Conte ravvede la necessità che nella gestione del ricovery fund ci debba essere una struttura tecnica, per manifesta incapacità della nostra PA, non si capisce perché a capo dell’esecutivo al posto di un avvocato, anche se di valore come lui, non mettere un personaggio di competenze economico-finanziarie indiscutibili come l’ex Direttore della BCE, a cui dobbiamo la salvezza dell’euro e della nostra economia.

Nessuno sa come quale sarà la fine della vicenda: l’esito del duello è imprevedibile e ormai, come Sergio Leone ci ha insegnato, riguarda solo ed esclusivamente due personaggi: il presidente Conte e il Senatorie Renzi, avendo gli altri alleati di governo, 5 stelle, PD e l’assente Articolo1 , deciso di andare avanti anche se con qualche tiepido distinguo da parte del partito di Zingaretti.

E’’ impossibile avanzare prognostici su quella che è la sfida del secolo; come vada-vada tuttavia nulla sarà come prima e di sicuro la rispettabilità del paese avrà segnato un altro punto di caduta.

Roberto Polillo

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La lontananza della politica dal Parlamento e dalle piazze https://www.ildiariodellavoro.it/la-lontananza-della-politica-dal-parlamento-e-dalle-piazze/ Tue, 01 Dec 2020 23:00:00 +0000 https://www.ildiariodellavoro.it/la-lontananza-della-politica-dal-parlamento-e-dalle-piazze/ Tra i paradossi che la pandemia sta palesando c’è anche un’inedita torsione dello spazio del “politico”; con una doppia traslocazione del discorso pubblico dal Parlamento, sede naturale di discussione e approvazione delle leggi, alla conferenza Stato-regioni e dalla sezione di partito, sede tradizionale di proselitismo e fidelizzazione, alla piazza virtuale dei salotti televisivi.

Sul primo aspetto, oggi, interviene autorevolmente Sabino Cassese sul Corriere della Sera che, nel commentare l’evidente anarchia esistente nei rapporti istituzionali, ne attribuisce la responsabilità a scelte sbagliate da parte dell’esecutivo.

“Perché tanta babele nelle nostre istituzioni? All’origine, si è imboccata la strada sbagliata. La Costituzione riserva la profilassi internazionale esclusivamente allo Stato. Nonostante che il virus non rispetti i confini regionali, si è preferito, invece, riconoscere competenze concorrenti a Stato e regioni”.

Ricordiamo, ad addendum, che le competenze statali in tema di profilassi internazionali sono stabilite sia dalla legge 833/1978 di istituzione del servizio sanitario nazionale e sia dall’articolo 117 del novellato titolo V della costituzione che all’articolo 120 prevede anche i poteri sostitutivi dello stato in caso di inadempienze delle regioni.

La scelta dell’esecutivo di impoverire il parlamento, comprimendone gli spazi di discussione, è in parte insito nello stato di emergenza, più volte reiterato, con quello che ne consegue in termini di emanazione di DPCM che, per loro definizione, sono atti non soggetti ad approvazione da parte del Parlamento. La discussione in sede parlamentare tuttavia sta subendo un ridimensionamento anche verso altri provvedimenti, come legge di bilancio, che dovrebbero essere ampiamente discussi nei due rami del parlamento e che invece si dovranno accontentare del vaglio di una sola delle due camere. Anche in questo caso qualcuno potrebbe obiettare che l’emergenza del paese (non soltanto sanitaria ma anche e di pari misura economico-finanziaria) obbliga al varo di provvedimenti che, dovendosi adeguare al rapido mutare delle condizioni del paese, rendono impossibile una discussione approfondita in sede parlamentare.

Sabino Cassese nell’articolo citato non sembra credere a questa narrazione e punta il dito su una precisa strategia dell’esecutivo tesa a neutralizzare l’opposizione.

“Come è noto, il Parlamento dovrebbe essere il luogo del dialogo-conflitto tra governo e opposizioni. Ma, in una situazione nella quale le regioni sono per tre quarti nelle mani dall’opposizione, il governo preferisce dialogare e confliggere con le regioni, sia perché queste sono a loro volta divise, sia perché riesce ad ottenere un altro beneficio, quello di mettere su un binario morto il leader dell’opposizione. Il governo centrale così ottiene un vantaggio (perché dialoga direttamente con i presidenti regionali, tra cui vi sono i potenziali concorrenti del leader dell’opposizione), ma con un costo molto alto per le istituzioni, perché svuota il Parlamento (la dialettica maggioranza-opposizioni non si svolge né a Montecitorio né a Palazzo Madama) e mescola la dialettica istituzionale Stato-regioni con quella politica maggioranza-opposizioni”.

Per quanto riguarda il secondo aspetto è altrettanto evidente come i talk show televisivi abbiano progressivamente occupato il posto lasciato vuoto sia dal parlamento e sia dai luoghi fisici di articolazione dei partiti. I talk show infatti si sono trasformati in luoghi di discussione o meglio di scontro politico in cui al cittadino viene riservato il ruolo, poco educativo, di spettatore passivo e in cui il conduttore di turno, rinuncia spesso alla sua terzietà, mostrando più o meno chiaramente le sue preferenze politiche; ed infatti i talk show coprono oggi l’intero arco costituzionale esistendone di destra, di sinistra e di centro con tanto di invitati, virologi compresi, di cui sono altrettanto palesi inclinazioni politiche. E a dimostrazione di questo alcuni di loro si sono già riconvertiti in politici di professione e altri sono vezzeggiati e sollecitati a compiere il salto nell’iperuranio della politica guerreggiata.

l ruolo dei media televisivi è diventato  talmente centrale che al rito dell’interrogatorio da parte del giornalista non si sottrae nessun politico nella consapevolezza che quello spazio è ormai l’unica occasione per rendere visibile il proprio pensiero e avere contatto con quel popolo dimentico delle piazze; emblematica in tal senso la scelta del Ministro Di Maio, appartenente a un movimento che all’esordio aveva posizioni di totale  chiusura verso il mezzo televisivo, di recarsi in TV prima di intervenire agli Stati generali del suo partito, anticipando in quasi mezz’ora quanto avrebbe poi avrebbe succintamente esposto nella sede congressuale nei 5 minuti a sua disposizione. Uno “sgarbo” verso i propri militanti che in altri tempi non sarebbe stato tollerato e che invece non ha sollevato alcuna obiezione, essendo ormai chiaro che è la televisione il luogo esclusivo dell’agire politico.

Dello stesso segno le lunghe narrazioni in TV del presidente Conte, noiose e paternalistiche, a cui fanno da contraltare le sparute e concise comparse della Presidente Merkel e Macron in cui vengono illustrati esclusivamente i provvedimenti che sono stati assunti e che, nel caso della Germania, verranno rispettati anche dai diversi Lander.

E qui si ritorna alla mancanza di una sana dialettica con l’opposizione di cui parlava Sabino Cassese; anche in questo caso è la scorciatoia la via maestra. Si vuole coinvolgere l’opposizione nell’assunzione di responsabilità della drammatica situazione del paese e si comincia con il favorire Berlusconi con l’emendamento salva Mediaset dall’ OPA ostile di Vivendi. E in cambio, come previsto, un pugno di mosche perché, una volta incassata la norma, il Cavaliere cambia registro e si rifiuta di votare la riforma del MES per non scontrarsi con Salvini e nonostante l’opposizione di parte del suo partito.

La politica è dunque latitante dal Parlamento e dalle piazze e questo non è un bene per il paese che mostra ostilità crescente verso il teatrino che ogni giorno e ad ogni ora si rende visibile accendendo il televisore. Un’anomalia che va rimossa nel più breve tempo possibile onde evitare che la frattura tra popolo e istituzioni diventi ancora più profonda.

Roberto Polillo

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