Tommaso Nutarelli – Il Diario del Lavoro https://www.ildiariodellavoro.it Quotidiano online del lavoro e delle relazioni industriali Mon, 25 Mar 2024 14:40:03 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.4.3 https://www.ildiariodellavoro.it/wp-content/uploads/2024/02/fonditore.svg Tommaso Nutarelli – Il Diario del Lavoro https://www.ildiariodellavoro.it 32 32 Terziario, Prampolini: il nuovo contratto per rilanciare i consumi e dare stabilità al settore. Ma gli scenari per il futuro non sono rosei https://www.ildiariodellavoro.it/terziario-prampolini-il-nuovo-contratto-per-rilanciare-i-consumi-e-dare-stabilita-al-settore-ma-gli-scenari-per-il-futuro-non-sono-rosei/ Mon, 25 Mar 2024 12:58:30 +0000 https://www.ildiariodellavoro.it/?p=184717 “L’iter contrattuale si è dovuto confrontare con i profondi impatti economici e sociali dell’emergenza pandemica, dei conflitti geopolitici e del ritorno dell’inflazione. Dopo lo sciopero abbiamo ripreso il confronto con il sindacato, con tavoli tecnici e politici, per eliminare tutti quegli elementi di ostacolo al buon esito della trattativa. Ovviamente abbiamo dovuto rinunciare a delle cose, e lo stesso ha fatto il sindacato. Ma abbiamo raggiunto un risultato per me molto positivo. Inoltre il contratto interesse quasi tre milioni di lavoratori, e il suo rinnovo può fare da apripista e limitare la proliferazione di accordi in dumping ”. È questo il commento di Donatella Prampolini, vicepresidente di Confcommercio e presidente della Commissione sindacale dell’associazione, in merito al rinnovo del contratto del terziario.

Prampolini qual è l’elemento distintivo del rinnovo?

La cifra distintiva del contratto è la sua durata. Infatti sarà valido fino al 31 marzo 2027. Abbiamo voluto dare un segnale di stabilità al settore, per metterlo nelle condizioni di affrontare al meglio i cambiamenti che sta vivendo, offrendo alle imprese uno sguardo lungo per fa sì che possano programmare le proprie scelte, anche in termini economici. Inoltre diamo risposte importanti anche sul fronte economico, perché se vogliamo far ripartire i consumi dobbiamo prima mettere soldi in tasca ai lavoratori.

Come?

Il documento prevede un aumento a regime di 240 euro al quarto livello, comprensivi di quanto già riconosciuto con il Protocollo straordinario del dicembre 2022 e, in aggiunta, una “Una Tantum” a completamento del periodo di carenza contrattuale, di 350 euro, suddivisa in due tranche di uguale importo a luglio 2024 e luglio 2025.

Quali sono gli altri contenuti?

Abbiamo lavorato sull’inquadramento, facendo un po’ di pulizia e introducendo nuove figure, soprattutto nel terziario avanzato, legate all’ICT. Inoltre ci siamo concentrati sulla formazione, per la competitività delle imprese e per l’occupabilità dei lavoratori, con l’obiettivo di trovare, entro fine anno, una soluzione che consenta alle parti di avviare percorsi formativi anche nella contrattazione di secondo livello. Abbiamo poi rivisto le causali, per i part time e gli stagionali, per disinnescare eventuali situazioni di contezioso, e innalzata l’indennità per le clausole elastiche. Mentre sul capitolo welfare e sociale, abbiamo aumentato la disponibilità ai fondi, che potranno ampliare i nomenclatori, e arricchito le prestazioni per la sanità integrativa, e posto attenzione anche al tema della parità di genere e al contrasto della violenza contro le donne.

Per il futuro, quali sono gli scenari per il settore?

Non sono tra i più positivi. Ci sono elementi di crisi e instabilità, anche sovranazionali, che possono incidere negativamente. L’importante è far ripartire i consumi. Nel 2022 e nel 2023 il calo di prodotti venduti era stato compensato, in termini di fatturati, da un’inflazione alta. Ora che questa fortunatamente è scesa, dobbiamo sostenere il potere di acquisto delle famiglie.

Gli interventi del governo di soddisfano?

Fino ad ora l’esecutivo ha puntato molto sulla leva fiscale. È questo è positivo. Bisogna proseguire per questa strada. Per un settore come il nostro che vive di consumi interni il cuneo fiscale è il principale ostacolo per la ripresa, e quindi deve essere ridotto.

Tommaso Nutarelli

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Le tre sorelle litigiose, perché avere un sindacato diviso non fa bene https://www.ildiariodellavoro.it/le-tre-sorelle-litigiose-perche-avere-un-sindacato-diviso-non-fa-bene/ Fri, 22 Mar 2024 14:50:36 +0000 https://www.ildiariodellavoro.it/?p=184675 Durante l’assemblea dei rappresentanti e dei delegati per la sicurezza di Cgil e Uil a Firenze si è consumato l’ultimo episodio della rottura già in atto con la Cisl. Una frattura da tempo in atto, il cui inizio si può far risalire allo sciopero di Landini e Bombardieri contro il governo Draghi, che ha visto un crescendo, con scioperi e mobilitazioni separate, da quando è entrato in carica il governo Meloni. L’ultimo round si gioca su un tema non di poco conto, quello sulla salute e la sicurezza, con Landini che si dice dispiaciuto dell’infatuazione della Cisl per un governo che non dà risposte in merito, e Sbarra che lo definisce vittima di un colpo di sole, ribadendo l’autonomia, l’attenzione un atteggiamento anti demagogico della sua confederazione davanti a una materia così importante. Anche dopo il tragico crollo del cantiere di Firenze non c’era stata una risposta compatta da parte del mondo sindacale.

Una divisione che non fa bene al sindacato e al mondo del lavoro. L’ordine sparso con il quale si muovono Cgil e Uil da un lato e Cisl dall’altro non fa che alimentare il disinteresse della politica verso i corpi intermedi. Una spirale non positiva, soprattutto con una certa parte del mondo politico. E quindi non ci si deve tanto meravigliare se questo governo, dai tavoli con il ministero del Lavoro alla composizione del Cnel, dia spazio ad associazioni poco rappresentative, o che i gli incontri con l’esecutivo siano definiti una farsa, soprattutto da Cgil e Uil, perché convocati quando le decisioni sono già prese. Con le tre principali sigle impegnate in un’inutile zuffa, la politica, specie quella espressa da questo governo, poco incline al dialogo, ha gioco facile nel delegittimare il ruolo e l’azione del sindacato.

Eppure un sindacato unito non potrebbe far altro che bene. Le sfide che attendono il mondo del lavoro sono tante e complesse. Siamo in piena attuazione del Pnrr e le transizioni green e tecnologica sono ormai delle realtà. Tutto questo non potrà che non avere delle ripercussioni sul tessuto produttivo. Si perderanno posti di lavoro, perché ormai superati e non più necessari, e nuovi vedranno la luce. Un cambio epocale da governare attraverso la formazione, per aggiornare le competenze dei lavoratori, e con strumenti di accompagnamento alla pensione per quelle fasce di lavoratori non più formabili. Certo a tutto questo sta già pensando la contrattazione che si fa al livello delle categorie, con accordi e rinnovi molto avanzati. Ma va ricordato che non tutti i settori hanno la stessa forza.

Per questo avere un sindacato confederale unito può solo che giovare. Le transizioni e i cambi di paradigma che stiamo vivendo necessitano di politiche lungimiranti, che non guardino solo alla prossima scadenza elettorale. Un sindacato confederale compatto può avere la forza per esigere un posto al tavolo, per dire la sua quando i giochi non sono ancora conclusi. Anche perché un sindacato confederale forte può veramente indicare, insieme alla politica, la strada da seguire per il mondo del lavoro, e sempre con la politica gestire il declino demografico del paese, che si tradurrà in meno lavoratori, meno competenze e messa in crisi della tenuta dello stato sociale.

Non sappiamo come andrà a finire, ma non sembrano esserci segnali per una imminente riappacificazione. La Cisl sta ribadendo con forza la sua autonomia da qualsiasi condizionamento e la volontà di sedersi attorno a un tavolo con chiunque. Cgil e Uil, invece, non arretrano dalla loro azione sindacale e politica, non insensibile, al colore del governo. Ma anche qui non sappiamo quanto durerà questo matrimonio. Il sindacato di Landini ha annunciato l’avvio di una stagione referendaria su vari temi, dalle riforme costituzionali al mondo del lavoro. La Uil la seguirà?

Tommaso Nutarelli

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Cgil, il Rapporto sulla contrattazione sociale territoriale: welfare e fisco i temi top, mentre crescono le diseguaglianze geografiche https://www.ildiariodellavoro.it/cgil-il-rapporto-sulla-contrattazione-sociale-territoriale-welfare-e-fisco-i-temi-top-mentre-crescono-le-diseguaglianze-geografiche/ Wed, 20 Mar 2024 15:56:37 +0000 https://www.ildiariodellavoro.it/?p=184577 Welfare e politiche fiscali i temi più contrattati, crescita del livello sovra comunale per il confronto tra istituzioni e sindacati e altissima disparità regionale. Sono solo alcuni degli elementi fotografati dal XIV° Rapporto sulla contrattazione sociale, realizzato da Cgil, Spi e Fondazione Di Vittorio, presentato oggi nella sede nazionale della confederazione. Il 2022, periodo di riferimento del rapporto, è un anno di transizione, stretto tra l’uscita dalla pandemia e nuove sfide e complessità, dalla transizione verde e tecnologica all’attuazione del Pnrr. In questo scenario la contrattazione sociale territoriale ha svolto una funzione integrativa rispetto alle misure varate sul piano nazionale.

Al livello quantitativo il 2022 registra una contrazione, rispetto al 2021, del 20% dei documenti raccolti e analizzati: sono infatti 782, tra accordi, piattaforme e verbali, rispetto ai 951 dell’anno precedente. Da segnalare anche una tendenza nella modificazione del piano contrattuale. Se quello comunale rappresenta ancora lo zoccolo duro (81%),  cresce, fino al 16,6%, quello sovra comunale. Di pari passo cambiano anche le tematiche: con i comuni ci si concentra sulle linee di bilancio, mentre nel livello successivo l’azione sindacale tocca il welfare, legalità, appalti, politiche di genere.

Non solo il livello di confronto, ma a mutare è anche l’incidenza deli attori coinvolti. Nel sindacato, dopo la pandemia, cresce il peso dell’azione confederale nel territorio, con una percentuale del 78,6%. Mentre tra le categorie il primato rimane saldamente in mano ai pensionati, arrivando quasi all’80%.

Venendo ai contenuti oggetto della contrattazione sociale, welfare e fisco si aggiudicano l’oro e l’argento, presenti nel 77 e nel 71% degli accordi, seguite dalle politiche del lavoro, con il 60%. Bisogna sottolineare come i punti toccati dalla contrattazione sociale territoriale non vadano poi a confluire in accordi vincolanti per le parti. In altre parole alla base di questa tipologia di contrattazione c’è una natura di stampo volontaristica: infatti il sindacato non è esplicitamente investito dai suoi iscritti a dover svolgere quest’opera. Così la leva che muove il sindacato è quella di pensare la propria azione oltre il perimetro dei diritti dei lavoratori, per trasformarsi in un sindacato dei diritti dei cittadini. Tornando ai contenuti, va ravvisato un leggero calo degli accordi per le politiche abitative, con il 12%, mentre scendono maggiormente le misure per l’integrazione, che passano dal 26% del 2019 all’11% del 2022.  Mantengono, invece,  un buon livello le azioni di contrasto della violenza su donne, minori e anziani, intorno al 20% degli accordi.

Tra i beneficiari, il 50-60% degli accordi è rivolto ad anziani, lotta alla povertà e sostegno ai lavoratori. Le imprese sono presenti nel 40% dei patti. Agli ultimi posti dei beneficiari della contrattazione sociale ci sono gli immigrati e inoccupati, con misure presenti solo nel 19 e nel 12% degli accordi.  Ulteriore dato è la profonda disparità territoriale della contrattazione sociale: la parte del leone la fa sempre il nord, con il 70% dei documenti studiati nel rapporto, seguito da centro, con il 20%, e sud, fanalino di coda, con il 10%.

Per la segretaria confederale della Cgil Daniela Barbaresi, che ha aperto la presentazione, siamo di fronte ad “uno scenario complesso e pieno di incertezze, con grandi ripercussioni economiche e sociali, in cui sono cresciute le diseguaglianze tra persone e territori, si inaspriscono fragilità e disagio, in un quadro di precarietà del lavoro, salari e pensioni erosi dall’inflazione, povertà crescente, dinamiche demografiche preoccupanti e sottofinanziamento del sistema di welfare pubblico, indebolito da anni di tagli a risorse e personale. Un contesto in cui è ancora più importante il nostro impegno nella contrattazione, perché contrattazione significa gestire un percorso democratico che deve partire da un’analisi dei bisogni concreti delle persone e del territorio per trasformarli in rivendicazioni, piattaforme e intese, con un monitoraggio e una verifica dei risultati, coinvolgendo, in ogni fase, coloro che rappresentiamo”.

In chiusura dei lavori il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, ha detto come il rapporto spinge a pensare a un nuovo modello di territorio, “non più chiuso sulla propria identità e sulle sue tradizioni, dove la risposta non è l’autonomia differenziata. Nei territori assistiamo a tante istanze e bisogni – ha detto il numero uno della confederazione – dalla sanità, alla scuola fino all’istruzione, e il sindacato deve sapersi confrontare con questa pluralità e complessità. E in un momento nel quale cresce la domanda di servizi perché aumentano i bisogni, il governo taglia la spesa sociale.”

“Serve – ha concluso Landini – una sinergia tra la contrattazione nazionale, territoriale e aziendale, in un momento nel quale assistiamo a una delegittimazione del confronto con il sindacato a tutti i livelli istituzionali”.

 

 

 

 

Tommaso Nutarelli

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Cgil, il Rapporto sulla contrattazione sociale territoriale: welfare e fisco i temi top, mentre crescono le diseguaglianze geografiche - Il Diario del Lavoro nonadult
Capone (Ugl), per la partecipazione i tempi sono maturi, ma servono nuove relazioni industriali senza più la lotta tra capitale e lavoro https://www.ildiariodellavoro.it/capone-ugl-per-la-partecipazione-i-tempi-sono-maturi-ma-servono-nuove-relazioni-industriali-senza-piu-la-lotta-tra-capitale-e-lavoro/ Thu, 14 Mar 2024 17:58:41 +0000 https://www.ildiariodellavoro.it/?p=184421 È dalla sede nazionale dell’Ugl, in via Nomentana a Roma, che lo scorso 4 marzo è partito il tour Lavoro è partecipAzione”, con il quale il sindacato guidato da Paolo Capone ha voluto portare nei territori il tema della partecipazione per dare attuazione all’articolo 46 della Costituzione. Il tour, che toccherà tutte le regioni italiane, si concluderà a Milano il prossimo 25 marzo in occasione del 74 esimo anniversario della fondazione dell’Ugl.

Segretario che risposta avete avuto dai territori?

Una risposta molto positiva. Il nostro intento è quello di coinvolgere i lavoratori su un tema che è in attesa di una legge dal 1948.

Secondo lei il momento è quello giusto?

Si tratta di una proposta che rappresenta un elemento costitutivo della storia e dei valori dell’UGL. Oggi c’è un’attenzione significativa alla partecipazione dei lavoratori, non solo da parte del Governo ma anche da altre forze politiche. Ci sono stati passaggi importanti, come l’audizione alla Camera dei Deputati sul ddl partecipazione. L’Ugl ha presentato in Commissione Finanze alla Camera una sua proposta sulla partecipazione sottoforma di “articolato”. Riteniamo che per accompagnare i processi di profonda trasformazione del mondo del lavoro, infatti, sia fondamentale coinvolgere, in questa crescita e sviluppo, gli stessi lavoratori. Siamo convinti che ci siano tutti gli elementi per arrivare a una legge in materia.

È un tema sul qual anche la Cisl si è spesa molto attraverso una proposta di legge di iniziativa popolare. Può essere un elemento di unione del mondo sindacale?

L’iniziativa della Cisl è certamente positiva. Credo che serva un cambio di paradigma culturale profondo. Alla base delle nostre battaglie c’è una visione strategica volta a superare l’ideologia della lotta di classe per arrivare alla collaborazione tra capitale e lavoro in linea con il dettato costituzionale. L’Ugl auspica di avviare, attraverso il tour, un dibattito sulla partecipazione coinvolgendo lavoratori, imprese, sindacati e istituzioni. Nel prossimo futuro ci attendono nuove scommesse da raggiungere e l’Ugl sarà sempre in prima fila accanto ai lavoratori.

Serve dunque anche un nuovo modello di relazioni industriali?

Credo che sia un passaggio quasi obbligatorio che non può prescindere da una piena attuazione della partecipazione. Quando un lavoratore non è sfruttato, ma anzi è pianamente coinvolto in quelle che possono essere le scelte aziendali o gli utili c’è, prima di tutto, un incremento di produttività. Inoltre, la partecipazione può giovare anche sulla retribuzione, ovviamente quella accessoria. La partecipazione porta vantaggi all’intero sistema Paese.

Per la UGL come deve declinarsi la partecipazione?

Ci sono diversi modi, a seconda della tipologia e della grandezza dell’impresa. Per quanto riguarda le partecipate, sia nazionali sia locali, nei consigli di amministrazione si potrebbe eleggere un rappresentante dei lavoratori. Per le imprese con oltre 100 addetti, non coperte dalla contrattazione di secondo livello, si potrebbe prevedere la distribuzione degli utili ai lavoratori nella misura del 15% del mol, margine operativo lordo. Sempre in queste realtà, in assenza di specifici statuti di partecipazione, proponiamo la nascita di un comitato di gestione. È un organismo diverso dalle Rsu, eletto direttamente dei lavoratori e dotato di competenze in materia di informazione e consultazione, ad esempio sugli assetti organizzativi, amministrativi e contabili, sul modello di governance, sulle scelte di gestione o per il governo delle crisi.

E per le aziende più piccole, che costituiscono il grosso del nostro tessuto produttivo?

Vista la dimensione ridotta si può dire che già ci sia un certo grado di partecipazione, anche non codificato. La nostra idea è quella di una forma attenuata di partecipazione, da realizzare attraverso l’attivazione di organismi misti di consultazione su salute e sicurezza, pari opportunità, non discriminazione, addestramento, formazione e sostenibilità.

Sulla sicurezza, vista triste statistica di tre morti al giorno, come può incidere la partecipazione?

Può incidere molto. Gli incidenti sul lavoro non sono mai figli di una fatalità. L’Italia ha un apparato legislativo di tutto rispetto, ma quello che manca è un’attuazione delle norme. Per questo vanno da un lato rafforzati gli organismi e gli enti preposti ai controlli, dall’altro occorre investire sulla formazione e sull’addestramento a partire dalle scuole.

Altro aspetto che sta emergendo con forza è quello della riduzione dell’orario di lavoro. Qui come può agire la partecipazione?

Direi che senza di questa non si può parlare di riduzione d’orario. Tuttavia, dobbiamo stare attenti che questo non rimanga solo uno slogan. Bisogna prima analizzare bene il nostro sistema produttivo e capire che stiamo vivendo una fase di forte concorrenza. Ridurre l’orario di lavoro solo per riesumare il vecchio motto lavorare meno per lavorare tutti non ci porta da nessuna parte.

Tommaso Nutarelli

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Faraoni (Fistel-Cisl), lo scorporo di Tim e la fusione Vodafone-Fastweb aspetti inevitabili della crisi delle tlc. Dalla politica troppa disattenzione verso il settore https://www.ildiariodellavoro.it/faraoni-fistel-cisl-lo-scorporo-di-tim-e-la-fusione-vodafone-fastweb-aspetti-inevitabili-della-crisi-delle-tlc-dalla-politica-troppa-disattenzione-verso-il-settore/ Mon, 11 Mar 2024 18:33:07 +0000 https://www.ildiariodellavoro.it/?p=184295 Il grande risiko delle tlc è in moto. Da un lato lo scorporo di Tim, il piano industriale e l’agitazione sui mercati, dall’altro la trattativa tra Fastweb e Vodafone. In tutto questo una politica per anni troppo disattenta a un settore strategico per la trasformazione digitale del paese. Facciamo il punto con il segretario generale della Fistel-Cisl, Alessandro Faraoni.

Segretario la partita di Tim si sta giocando su più tavoli. Che cosa può dirci?

La situazione di Tim si sta sviluppando su due direttrici: la trattativa con il governo per lo scorporo tra la rete e i servizi e le garanzie occupazionali, e quella con l’azienda per il piano industriale.

Sulla prima a che punto siamo?

Come Cisl abbiamo sempre manifestato i nostri dubbi su un’azienda non verticalmente integrata, ma preso atto ci siamo messi a disposizione per dialogare con il governo ed azienda nel concertare e trovare soluzioni. Vale la pena ricordare che la privatizzazione ha portato questa azienda ad oggi ad avere un debito immenso e i politici che oggi si lamentano dell’operazione di scorporo sono gli stessi che si sono girati dall’altra parte nel passato e va detto che al momento questa operazione era la meno peggio. L’azienda non vive un momento facile. Ha accumulato un debito di 26 miliardi e se non si chiamasse Tim avrebbe già presentato i libri contabili al giudice. Quindi i 22 miliardi messi sul tavolo da KKR sono un boccata d’ossigeno. Quello che è successo in borsa lo imputo molto a manovre speculative che mirano a far saltare l’operazione. A memoria ricordo che ogni qualvolta abbiamo cambiato ad, in 3 anni ne abbiamo sostituiti 5, i risultati sono stati sempre peggiorativi e se qualcuno pensa che per motivi personali sia utile far saltare anche l’attuale amministratore delegato si assumerà la responsabilità della definitiva caduta di Tim.

C’è poi il nuovo piano presentato dal gruppo.

Il governo non ha rifinanziato il contratto di espansione, quindi stiamo discutendo per l’applicazione di una solidarietà difensiva. La compressione dei costi che l’azienda vorrebbe mettere in campo riguarda il premio di risultato, e tutta una serie di istituti legati al welfare. La Fistel sta puntando verso un eventuale percorso di solidarietà allargata, perché finché non ci sarà il closing, presumibilmente tra giugno e luglio, si deve arrivare allo stesso accordo per chi opera nella rete e chi nei servizi. C’è sicuramente un tema di tutela occupazionale e su questo abbiamo scritto all’esecutivo.

Temete ripercussioni anche per l’indotto?

Ci sono timori per la tenuta di molti call center che ricevono le commesse da Tim. Se il gruppo va verso una riduzione dei costi, potrebbe decidere di internalizzare alcune commesse, con ricadute per l’indotto. Inoltre i call center vivono una situazione di forte compressione dei costi e di dumping contrattuale. Anche nelle gare con committenti pubblici si segue la logica del massimo ribasso. E questo è possibile in quelle realtà dove magari non si applica il contratto delle tlc, ma quello multiservizi o della Cisal.

Dunque che cosa chiedete?

Dalle istituzioni un maggior controllo quando ci sono le gare. L’applicazione del contratto delle telecomunicazioni e sostenere quei call center realmente strutturati. Assistiamo alla proliferazione di molte realtà, che vivono grazie alle prime commesse ma poi non hanno futuro. Queste abbassano la qualità dell’intero sistema. In quest’ottica, visto che il mondo dei servizi avrà un’importanza crescente, anche i soldi del Pnrr devono essere investiti dove c’è terreno fertile.

I sindacati si stanno muovendo in modo compatto sul fronte Tim?

Cerchiamo di portare avanti un percorso comune, anche se ci sono idee e sensibilità diverse che emergono, per esempio rispetto alla opportunità  di trattare con l’azienda oltre che col governo. Per la Cisl l’obiettivo principale rimane quello di contrattare e non fare politica. Finché un’azienda è disponibile al dialogo noi siamo sempre pronti a sederci intorno a un tavolo, senza nessuna limitazione ideologica. Ragionamenti diversi devono essere fatti quando manca questa disponibilità. Tim è stata molto chiara nel dirci che andrà avanti anche senza un accordo con i sindacati. E lasciare campo a un’azienda di disporre liberamente di premio di risultato o welfare, vorrebbe dire non aver fatto bene il proprio mestiere.

C’è poi la fusione tra Vodafone e Fastweb.

La possibile fusione rappresenta quella tendenza che caratterizzerà il prossimo futuro delle tlc: il consolidamento. Vodafone è un gruppo saldo sul mobile, mentre Fastweb lo è sulla fibra. Insieme attirano il 35% del mercato italiano e possono presentarsi come un vero competitor nei confronti di Tim.

Quindi si tratta di una fusione inevitabile?

Vodafone vuole lasciare il mercato italiano per concentrarsi su quello inglese e tedesco. Inoltre la trasformazione digitale, l’ingresso dell’intelligenza artificiale richiedono competenze forse ancora non sempre rintracciabili sul mercato, ma che un gruppo solido può plasmare al suo interno.

Non ha paura che questa fusione provochi dei contraccolpi per i lavoratori?

Certamente. Il percorso che le ho descritto ha dei benefici da un punto di vista concorrenziale e di sistema, ma come sindacalista sono preoccupato. In Vodafone lavorano all’incirca 5mila e 500 persone, in Fastweb 3mila e 200. Sono numeri molto distanti da quelli di Tim, ma chiaramente alcune figure professionali potrebbero sovrapporsi. Per questo è importante che il sindacato accompagni questa fusione.

Perché Vodafone non è più interessata al nostro mercato?

In Italia c’è una fortissima concorrenza, che ha generato un corsa alla riduzione dei costi, mentre gli investimenti sono stati sempre alti. Questo ha comportato una perdita di 14 miliardi per gli operatori negli ultimi 12 anni. È solo una delle debolezze delle nostre tlc.

Quali sono le altre?

Con la troppa concorrenza si moltiplicano gli operatori, quando invece si dovrebbe andare verso una loro riduzione come negli altri paesi. Inoltre i gruppi che hanno investito nelle frequenze del 5g non sono stati sufficientemente supportati in termini di risorse e di infrastrutture dalla politica. E quando queste erano presenti sono state affidati a società estere. Così come si dovrebbe pretendere che colossi del calibro di Google o Amazon, che sfruttano le tlc, facciano anch’essi la loro parte.

C’è attenzione da parte della politica nei confronti del settore?

Direi molto poca, e da parte di ogni schieramento. C’è ancora l’idea che le tlc siano il settore con le galline dalle uovo d’oro, dove arricchirsi, ma non è più così. C’è molta poca coerenza, sintomo che le affermazioni fatte hanno un valore puramente elettorale, ma nulla di più. I partiti che oggi si indignano per lo scorporo di Tim erano gli stessi che qualche hanno fa la sostenevano perché così voleva l’Europa.

E il governo come si sta muovendo?

Siamo ancora al livello di palliativi, ma dei piccoli passi in avanti sono stati fatti. Sempre su Tim la decisione di applicare la Golden Power sulla rete è una decisione giusta. Così come l’innalzamento dei limiti elettromagnetici permetterà agli operatori una maggiore copertura, senza dover installare nuove celle e quindi non dovendo mettere in campo ulteriore risorse.

Tommaso Nutarelli

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Enel, Testa risponde all’articolo de La Verità: “la Flaei-Cisl non farà mai scioperi politici. Dal quotidiano raccontate falsità e inesattezze” https://www.ildiariodellavoro.it/enel-testa-risponde-allarticolo-de-la-verita-la-flaei-cisl-non-fara-mai-scioperi-politici-dal-quotidiano-raccontate-falsita-e-inesattezze/ Thu, 07 Mar 2024 14:04:16 +0000 https://www.ildiariodellavoro.it/?p=184213 “La Flaei-Cisl non farà mai scioperi politici”. È una replica secca e dura quella di Amedeo Testa, segretario degli elettrici della Cisl, all’articolo pubblicato oggi su La Verità, in merito allo sciopero che i sindacati di categoria hanno promosso per domani contro Enel.

Segretario cosa contesta all’articolo?

Prima di tutto la natura dello sciopero. Non è politico, come dice La Verità, ma squisitamente sindacale. La Flaei non fa scioperi sul colore del governo o sull’orientamento del management, ma sui temi. Peraltro quel giornale non sa che nel 2020 abbiamo fatto sciopero per gli stessi argomenti. Ma quella volta Enel decise di fare un passo indietro.

Ci sono altre imprecisioni?

Nonostante la testata del giornale faccia riferimento alla verità, l’articolo riporta molte falsità e inesattezze. Il pezzo dice che i sindacati non hanno mai proferito parola sull’elevato debito dell’azienda. Questo è palesemente falso. Noi lo abbiamo sempre denunciato. Così come abbiamo manifestato sempre il nostro dissenso verso la volontà  di spostare l’azienda troppo sulle attività all’estero. Se al sindacato fosse stata data la possibilità di una maggiore partecipazione alle scelte, il disaccordo lo avremmo fatto sentire anche con più forza. Così come non è ben contestualizzato il passaggio nel quale si dice che il sindacato ha espresso apprezzamento per il percorso dell’azienda. Questo è vero ma sono dichiarazioni che risalgono al 2017-2018. Praticamente la preistoria. L’intento della Flaei Cisl è quello di accompagnare lavoratori e imprese, verso un saldo positivo per entrambi. Non abbiamo nessun preconcetto politico nei confronti del management. Ma va detto che quello attuale sta prendendo una strada che non condividiamo. Stanno snaturando anche lo Statuto della persona, un capolavoro che avevamo fatto insieme.

Avete anche comprato una pagina sul Corriere della Sera per presentare le ragioni dello sciopero. Quanto vi è costata?

Molto. È una pagina cha abbiamo comprato grazie allo sforzo delle lavoratrici e dei lavoratori e che voglio ringraziare.

Venendo ai temi, perché avete deciso di scioperare domani?

L’azienda sta esternalizzando molte attività legate alla sicurezza, creando quindi problemi seri su questo versante. E poi non può neanche farlo perché Enel agisce in virtù di una concessione e quelle attività devono essere fatte all’interno: è dumping contrattuale. Poi c’è la questione legata allo smart working. Su questo punto l’azienda sta penalizzando la conciliazione tra lavoro e vita privata di molte lavoratrici e lavoratori, rimangiandosi anche l’accordo fatto sul lavoro agile, che non era assolutamente legato all’emergenza pandemica come riporta La Verità. Vogliono poi cambiare l’orario degli operativi, da giornaliero a semi turni, con forti ripercussioni sulla qualità della vita. C’è poi la questione delle assunzioni. Il gruppo ne ha annunciate 1000 per i prossimi tre anni, ma in realtà si tratta solo di ricollocamenti interni, che peraltro non saranno neanche efficaci e che in parte avrebbero già dovuto fare. In pratica parlando di 1000 immissioni, stanno dicendo zero assunzioni. Senza l’ingresso di nuove leve Enel non sarà in grado di rispettare le tappe del Pnrr. Lo metto nero su bianco. Mentre tutti fanno a gara per accaparrarsi talenti, Enel li allontana, cosa che sta già avvenendo. Con dolore dico che Enel sta diventando una azienda antimoderna.  Insomma, non c’è nessun piano per lo sviluppo del paese, nessun piano industriale e nessuna strategia.

Questo potrebbe avere ripercussioni anche sul servizio al cliente?

Al momento no, perché il sindacato elettrico ha un grandissimo senso di responsabilità, ma per il futuro è uno scenario molto concreto.

Tommaso Nutarelli

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Industria alimentare, Rota (Fai-Cisl): l’unità è l’elemento distintivo di questo contratto https://www.ildiariodellavoro.it/industria-alimentare-rota-fai-cisl-lunita-e-lelemento-distintivo-di-questo-contratto/ Fri, 01 Mar 2024 17:46:05 +0000 https://www.ildiariodellavoro.it/?p=184103 “L’unità è l’elemento distintivo di questo rinnovo”. È questa la prima impressione del segretario generale della Fai, il sindacato degli agricoli della Cisl, Onofrio Rota, dopo la firma del contratto dell’industria alimentare.

Un’unità raggiunta a fatica, che ha reso molto più complesse le trattative.

“Esattamente. Nel 2021, dopo la firma del precedente contratto, Federalimentare si era divisa in 14 sigle, con le quali abbiamo avuto un’interlocuzione frammentata e debole. Con la firma di questo contratto, sindacati e aziende, si sono mossi all’unisono, come i componenti di un’orchestra, pur con le diversità. Il felice esito della trattativa conferma anche le solide relazioni che abbiamo con Cgil e Uil, e la capacità di trovare una sintesi tra le nostre sensibilità.

Sul fronte salariale cosa cambia per i lavoratori?

“Il contratto si porta a casa un bel risultato, grazie a un aumento a regime di 280 euro, dei quali 170 esigibili nei primi 14 mesi, e un recupero del potere di acquisto anche dei quattro anni precedenti. Nel contratto, infatti, non c’è solo il Tem, il trattamento economico minimo, ma anche lo Iar, l’incremento aggiuntivo di retribuzione, che va a mitigare gli effetti dell’inflazione.

Il welfare come viene migliorato?

“C’è un rafforzamento della sanità e della previdenza integrativa e anche degli strumenti a sostegno della genitorialità. Inoltre, grazie all’Ebs, l’Ente bilaterale di settore, operativo dallo scorso anno, puntiamo a erogare formazione aggiuntiva sulla sicurezza, a dare un sostegno al reddito alle donne vittima di violenza, aiutare sul piano economico i lavoratori in difficoltà e a stringere la collaborazione con gli Its per il ricambio generazionale, alle luce delle innovazioni tecnologiche e delle nuove competenze richieste”.

Un rinnovo che contrasta anche la precarietà.

“Assolutamente sì. Il nostro intento è quello di dare priorità a dei percorsi di stabilizzazione delle carriere, che portino a un trasformazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, limitando il ricorso alla somministrazione”.

Nelle ultime settimane è andata in scena la protesta dei trattori, in tutta Europa. Qual è la posizione del sindacato?

“Prima di tutto una condanna di tutte le violenze. A Bruxelles c’è stato un clima veramente pesante. Le istituzioni non vanno attaccate. Ricordiamoci che l’Europa destina 300 miliardi, un terzo del suo bilancio, all’agricoltura. Ci sono poi alcuni segnali di malessere che devono essere ascoltati”.

Quali?

“Il rapporto tra la grande distribuzione e il produttore è iniquo. L’agricoltore rischia quasi di rimetterci a vendere i propri prodotti a prezzi troppo bassi. Gli stessi prodotti che sugli scaffali dei supermercati hanno visto lievitare il proprio costo, facendo storcere il naso al consumatore”.

Secondo lei la politica europea e italiana come ha gestito la protesta?

“Fare un passo indietro su alcune misure sarebbe errato. Il Farm to Fork indica la via green che l’agricoltura deve seguire. I cambiamenti climatici sono ormai una realtà. E con questi l’agricoltura deve confrontarsi, rimanendo un importante presidio per il territori. Ma non si può pensare di mollare la presa con i pesticidi, perché a rimetterci sarebbe non solo l’ambiente ma anche la salute dei consumatori. Così come non si può tornare indietro sulla clausola sociale per le aziende che ricevono fondi europei. Abbiamo scritto una lettera al ministri Lollobrigida e alla ministra Calderone, e sul merito abbiamo ricevuto delle rassicurazioni. Se si toglie la clausola ci rimettono i lavoratori e i loro diritti”.

Venendo all’Italia?

“Il nostro paese è stato un po’ trascinato nella protesta da altri, dove le rivendicazioni sono più forti. C’è sicuramente un tentativo di cavalcare la situazione anche in vista delle elezioni europee. Quello che la politica deve fare è trovare soluzioni per rendere l’agricoltura più redditizia, traghettarla nel 4.0, intervenire per mitigare gli effetti dovuti al nanismo delle nostre aziende o alla debolezza delle filiera. Insomma non servono misure spot”.

Tommaso Nutarelli

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Elettrodomestico, Nobis (Fim-Cisl): serve una politica industriale per rilanciare il settore e attrarre nuove produzioni https://www.ildiariodellavoro.it/elettrodomestico-nobis-fim-cisl-serve-una-politica-industriale-per-rilanciare-il-settore-e-attrarre-nuove-produzioni/ Fri, 23 Feb 2024 08:39:35 +0000 https://www.ildiariodellavoro.it/?p=183835  

“La politica ha ancora interesse ad avere un comparto dell’elettrodomestico in Italia?” È questa la domanda che il segretario nazionale della Fim-Cisl, Massimiliano Nobis, si pone dopo il tavolo con il governo sul comparto dell’elettrodomestico. Un tavolo che Nobis definisce positivo, ma dal quale dovranno poi seguire azioni concrete. Serve, afferma, una politica industriale di settore, per rilanciarlo e attrarre nuove produzioni.

 

Nobis come valuta il tavolo con il governo? 

“C’è stato un primo incontro che riteniamo positivo, al quale hanno partecipato le controparti, e regioni, come Marche e Friuli, dove è concentrata una buona fetta della produzione. Per noi della Fim-Cisl aprire un tavolo di confronto è un elemento importante, perché ci dà la possibilità di portare le nostre idee. Abbiamo riscontrato la volontà del ministro Urso nel dare il via a un gruppo di lavoro per monitorare l’andamento del settore, e soprattutto a mettere in piedi una politica industriale, che abbraccia più settori, che ha come orizzonte temporale il 2030. Bisogna vedere se da queste buone intenzioni nasceranno poi delle azioni concrete”. 

Quella del 2030 non rischia di essere una data troppo lontana?

 

“Il punto è capire come ci si arriva. Se si rimane solo sugli spot e gli slogan non si va da nessuna parte. Il governo ha parlato di incentivi, soprattutto sul versante del consumatore, per rilanciare un mercato che è molto altalenante. Sono misure emergenziali, che possono andar bene sul primo momento. Ma poi bisogna passare a interventi strutturali, a una vera politica industriale per il settore”.

 

Su quali basi dovrebbe svilupparsi? 

“Prima di tutto dalla componentistica. Il settore fa un largo uso di chip, che servono per fare le schede, e componenti in acciaio. Dobbiamo capire se in Italia è ancora possibile avere produzioni di questo tipo oppure dobbiamo dipendere totalmente dall’estero. Questo comporta un aumento dei costi e un’esposizioni agli intoppi della logistica. Il caso della nave incagliata nel canale di Suez è emblematico. Assistiamo anche a fenomeni di fuga all’estero, come nel caso della TE Connectivity  di Collegno, che è un fornitore sia di Whirlpool che di Electrolux e che ha deciso di licenziare 225 dipendenti dello stabilimento piemontese.”

 

Venendo all’acciaio, vi preoccupa la situazione dell’ex Ilva? 

“Preoccupa per l’intera manifattura italiana e direi anche europea. L’acciaio è un elemento indispensabile per moltissimi settori”.

 

Lei ha parlato di un mercato molto flessibile, che incide negativamente. 

“Assolutamente sì. Non si producono più 30 milioni di elettrodomestici come all’inizio degli anni Duemila. Oggi siamo a 10 milioni. Su questo pesa anche l’andamento demografico, con nuclei familiari sempre più ristretti, che magari non hanno bisogno della lavastoviglie. Questo ha ripercussioni negative anche sulla tenuta occupazionale, ma non è il solo elemento”.

 

Gli altri quali sono? 

“C’è sicuramente l’automazione, che è un processo necessario ma che ridurrà inevitabilmente i posti di lavoro. Per questo il sindacato, con il supporto di una politica industriale seria, deve governare questa fase, attraverso la riqualificazione professionale e politiche attive vere per percorsi di ricollocazione occupazionale. Bisogna poi ripesare anche alcuni strumenti, come gli ammortizzatori sociali”.

 

In che modo? 

“Rendendoli più flessibili e allungandoli nei tempi. C’è anche il contratto di espansione, che può essere un valido aiuto, anche se è un po’troppo rigido nelle entrate e nelle uscite e non può andare bene per tutte le realtà”.

 

Voi avete anche chiesto l’applicazione della Golden Power. Perché?

“Prima di tutto è stato il Consiglio dei ministri dello scorso 1°maggio a usarla su Whirlpool, perché andavano anche tutelati dei dati contenuti nelle schede. Quindi siccome non devono esserci figli e figliastri, lo strumento va esteso a tutto il settore. È un modo per tutelare l’occupazione e i marchi storici”.

 

Un altro punto del vostro documento sono politiche e investimenti capaci di riportare produzioni in Italia ed evitare che fuggano. Come declinarli? 

“Pensare che il motivo di appeal sia solo quello di una detassazione, come proposto dal governo, è un po’ poco. Noi abbiamo un tessuto produttivo molto ricco, che offre opportunità, grazie anche all’indotto, di sviluppare la produzione. Ma quello che serve è una politica di settore e anche di paese che guardi al lungo periodo. Che faccia capire a chi vorrebbe venire nel nostro paese che c’è terreno fertile”. 

 

Venendo ai due più grandi player, Electrolux e Whirlpool, quel è il loro stato di salute? 

“Nonostante i molti accordi aziendali fatti in Electrolux e gli investimenti di produzione, l’azienda ha annunciato 374 esuberi. E il timore è che sia una storia destinata a ripetersi. Questo è un segnale di come, anche se c’è volontà da parte dell’azienda a investire, servono politiche di supporto. Whirlpool, invece, è ancora una grande incognita e motivo di timore per i lavoratori. A breve si formerà una newco, con il 75% in mano ai turchi di Arcelik. Ma non conosciamo ancora il loro piano industriale e se vorranno investire in prodotti di alta gamma o meno”. 

Tommaso Nutarelli

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Giannella (Leonardo), miglioramento ed armonizzazione dei trattamenti economici, rafforzamento del welfare, sperimentazione della riduzione oraria. Questi i punti qualificanti del contratto integrativo https://www.ildiariodellavoro.it/giannella-leonardo-miglioramento-ed-armonizzazione-dei-trattamenti-economici-rafforzamento-del-welfare-sperimentazione-della-riduzione-oraria-questi-i-punti-qualificanti-del-contratto-integrativ/ Thu, 22 Feb 2024 16:29:05 +0000 https://www.ildiariodellavoro.it/?p=183819 Miglioramento ed armonizzazione dei trattamenti economici, rafforzamento del welfare, sperimentazione della riduzione oraria. Sono questi i principali elementi del contratto integrativo di Leonardo, sottoscritto lo scorso 20 dicembre, presentati, in questa intervista al Diario del lavoro, da Gaetano Giannella, Head of Industrial Relations & Welfare del gruppo. Il tema della diminuzione delle ore lavorate è anche uno dei punti della piattaforma presentata da Fim, Fiom e Uilm per il rinnovo del contratto dei meccanici. Ma, asserisce Giannella, è difficile immaginare che possa diventare un elemento cogente del nuovo contratto collettivo. La soluzione più appropriata, spiega, è affidare la rimodulazione oraria alla contrattazione aziendale e non imporla dall’alto. E sulle grandi sfide della transizione tecnologica e green e sull’uso dell’intelligenza artificiale afferma: “è nel Dna di Leonardo guardare al futuro”.

Giannella il tema della riduzione dell’orario è uno dei pilastri del vostro contratto integrativo. Come è stata pensata?

“Abbiamo pensato ad uno strumento flessibile, da modulare a seconda delle esigenze specifiche delle diverse aree di business che costituiscono il gruppo Leonardo. È ancora un cantiere aperto, perché se nel Contratto Integrativo abbiamo definito quelle che sono le linee guida e i principi operativi di carattere generale, ora, insieme con i sindacati, andremo a definire l’applicazione concreta dello strumento, per poi individuare le aree pilota in cui avviare di fatto queste sperimentazioni. Ovviamente la riduzione dell’orario non può essere slegata dalla produttività. È importante raggiungere prima determinati target su questo fronte, in una fase  che possiamo definire di accumulo, per poi passare a una fase di rilascio in cui si possa effettivamente realizzare la riduzione oraria. Nel contratto abbiamo definito una possibile riduzione che potrà arrivare fino a 12 ore al mese. Si tratta di un tetto estremamente flessibile che ogni area pilota potrà modulare in base alle proprie esigenze, ai piani produttivi e al raggiungimento dei target di produttività definiti. Le ore di riduzione saranno finanziate in misura paritetica, metà dall’azienda e metà dai lavoratori con istituti individuali”.

Con questo strumento puntate anche un nuovo equilibrio all’interno della popolazione lavorativa?

“Certamente, perché non vogliamo  che si crei un divario tra quei lavoratori che sono remotizzabili e quelli che non lo sono. La riduzione oraria riguarderà chi lavora in produzione e quindi proprio quei lavoratori che svolgono mansioni non remotizzabili, perché una delle finalità di questa sperimentazione è anche quella di individuare soluzioni organizzative che possano andare incontro a chi non può beneficiare di strumenti di flessibilità organizzativa per conciliare lavoro e vita privata, come lo smart working, ormai diventato un elemento strutturale nella dimensione organizzativa del gruppo, come confermato anche dal nuovo Integrativo”.

Anche nella piattaforma, presentata dai sindacati, per il rinnovo del contratto dei meccanici quella della riduzione oraria è un asse portante del documento. La richiesta è di 35 ore settimanali. Secondo lei i tempi sono maturi per un’applicazione generalizzata di questo strumento?

“Guardi, in questo momento faccio fatica ad immaginare che la riduzione oraria possa diventare un elemento cogente del nuovo contratto dei metalmeccanici”.

Perché?

“Perché credo che il contratto possa semmai dare una spinta in questo senso, essere da stimolo alle imprese, ma non deve imporre dall’alto un salto organizzativo così importante. Serve un’applicazione elastica della riduzione dell’orario di lavoro, che sia in linea con le caratteristiche di ogni singola realtà industriale. Una flessibilità “imposta” si tramuterebbe inevitabilmente in una forma di rigidità che non serve alle imprese. Il rischio è quello di prescrivere un cambiamento ad aziende che non sono pronte sul piano organizzativo o della produttività”.

Altro punto centrale dell’integrativo è il rafforzamento del vostro modello di welfare. In che modo vi siete mossi?

“Leonardo ha già da tempo un sistema di welfare ben consolidato che però con il Contratto Integrativo abbiamo voluto arricchire, agendo su tre leve. La prima è quella dell’assistenza sanitaria integrativa: oltre a garantire per tutti i dipendenti l’accesso alle prestazioni offerte dal Piano Integrativo MS2 di mètaSalute, il fondo sanitario di settore, abbiamo ulteriormente rafforzato le coperture sanitarie attraverso nuove polizze integrative per tutti i dipendenti: il tutto con costi ad esclusivo carico dell’Azienda. Sul fronte della previdenza complementare abbiamo innalzato di mezzo punto percentuale il contributo aziendale, passando dal 2% previsto del contratto al 2,5%. Il terzo elemento riguarda le nuove forme di tutela che Leonardo offrirà ai dipendenti in caso di morte o invalidità permanente da malattia. Questo pacchetto di misure andrà a beneficio di tutti i lavoratori in modo uniforme. Poi abbiamo agito anche sullo smart working e su altre forme di flessibilità, quali i permessi, in modo da ritagliarli su bisogni più specifici e mirati della persona, con particolare attenzione alle esigenze legate alla genitorialità e alla fragilità nonché alle esigenze di cura”.

L’integrativo guarda anche ai giovani e ai neo assunti. In che modo Leonardo sta affrontando la ricerca sempre più difficile sul mercato del lavoro delle competenze?

“Anche il nostro gruppo vive le stesse difficoltà delle altre aziende, tra competenze che non si trovano e un turn over messo in crisi dal crollo demografico. A differenza del passato, il nome di un’azienda, il brand, oggi non è più sufficiente per trovare e trattenere i migliori talenti. Oggi bisogna essere attrattivi verso i giovani, comprendere i loro bisogni, che non sono omogenei, ma variano da persona a persona, e poi riuscire anche a trattenerli. E in quest’ottica il Contratto Integrativo Leonardo contribuisce ad offrire strumenti di sostegno, non solo per la vita professionale ma soprattutto per la vita privata, assolutamente validi”.

Sul piano economico quali sono le novità dell’accordo?

“Il primo aspetto che l’integrativo porta avanti è l’armonizzazione sotto il profilo economico. La One Company è stata creata nel 2016 ma sono ancora presenti trattamenti differenziati, soprattutto sul fronte del premio di risultato, che entro la vigenza del nuovo Contratto porteremo ad uniformare a livello di Gruppo. Ad ogni modo nel contratto è previsto un aumento degli importi teorici del premio di risultato di 1.400 euro per il periodo 2024-2026.nonché un incremento del superminimo collettivo in misura del 50% rispetto agli attuali valori entro il 2026. Ci siamo mossi anche per far sì che i benefici economici del Contratto Integrativo Aziendale si realizzino secondo tempistiche complementari rispetto a quelle derivanti dal contratto collettivo nazionale. Visto che per lo scorso anno e per quello in corso il contratto dei metalmeccanici, in base all’Ipca, ha previsto dei significativi incrementi retributivi, abbiamo disegnato, d’intesa con i sindacati, una curva di graduale crescita dei trattamenti economici aziendali nell’arco di vigenza del contratto, tale da non creare sovrapposizioni con gli effetti della contrattazione di primo livello”.

Un accordo frutto di relazioni industriali molto partecipative.

“Assolutamente sì. In Leonardo il confronto con i sindacati negli ultimi anni è sempre stato costruttivo e proficuo. La trattativa si è sviluppata nell’arco di otto mesi. Un tempo non eccessivamente lungo visti i molti temi sul tavolo e che tuttavia le parti negoziali sono riuscite a rendere assolutamente proficuo per l’Azienda e per i lavoratori, considerati gli importanti risultati ottenuti con il rinnovo”.

Il settore metalmeccanico, e quindi anche Leonardo, si trovano a vivere i mutamenti della transizione verde e digitale e dell’intelligenza artificiale. Come state affrontando questi cambi epocali?

“È nel nostro Dna confrontarci con sfide così importanti. Leonardo è riconosciuto come uno dei primi gruppi al mondo quando si parla di transizione tecnologica, digitale e sostenibile. Questa nostra propensione al futuro è oggi testimoniata anche dall’attuale amministratore delegato del gruppo, Roberto Cingolani, che è stato il fondatore e per anni il direttore scientifico dell’Istituto Italiano di Tecnologia. Anche il nuovo Piano industriale che sarà presentato a breve, guarderà avanti, alle nuove opportunità della space economy o alla cyber security by design con una continua spinta che viene dalla digitalizzazione che il Gruppo ha già abbracciato in modo totale e proficuo. Non si tratta più di capire se un intero settore o un’azienda siano pronti o meno a questi salti di paradigma, perché ormai sono presenti, stanno accadendo e vanno governati. Nella piattaforma del CCNL i sindacati propongono la riduzione oraria anche come leva attraverso cui ammortizzare i costi sociali delle transizioni tecnologiche e digitali e dell’intelligenza artificiale in particolare che, secondo loro, causerà una riduzione dei posti di lavoro. Noi pensiamo, invece, che ne comporterà un cambiamento con molti effetti positivi in termini di incremento delle competenze e di qualità del lavoro”.

Tommaso Nutarelli

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Rossi (Cgil Toscana), la tragedia del cantiere di Firenze è figlia di un clima politico e culturale che svilisce il lavoro https://www.ildiariodellavoro.it/rossi-cgil-toscana-la-tragedia-del-cantiere-di-firenze-e-figlia-di-un-clima-politico-e-culturale-che-svilisce-il-lavoro/ Tue, 20 Feb 2024 08:54:16 +0000 https://www.ildiariodellavoro.it/?p=176559 “Quello che sappiamo è che nel cantiere crollato probabilmente operavano 61 aziende, in appalto e sub appalto. È chiaro che davanti a queste situazioni è molto difficile determinare il passaggio delle consegne o se qualcuno non ha portato a termine il proprio lavoro. E in tutto questo la sicurezza viene meno. Io non so quale sia stato il motivo del cedimento ma è chiaro che c’è un clima culturale e politico che non valorizza il lavoro, come previsto dalla Costituzione, ma anzi lo svilisce”. Non usa giri di parole il segretario generale della Cgil Toscana, Rossano Rossi, quando parla del crollo del cantiere in via dei Mariti a Firenze, nel quale sono morti cinque operai. “Le indagini – prosegue – sono molto complesse, tanto che sono state affidate a due magistrati. È molto probabile che nel cantiere ci fossero sacche di lavoro irregolare e c’è l’ipotesi, che non posso né confermare né smentire, che ci fossero lavoratori con contratti che non hanno nulla a che fare con l’edilizia. E qui il problema non è tanto economico quanto di formazione”.

Segretario qual è oggi il sentimento prevalente?

“Ora è il momento del cordoglio e della rabbia. Mercoledì ci sarà lo sciopero con i segretari Landini e Bombardieri, ma poi si dovrà agire. Basta dire che queste morti sono bianche perché non c’è un responsabile o si da la colpa all’errore umano. La terribile media di tre decessi al giorno non è figlia del destino avverso, ma di un sistema che comprime diritti e tutele che poi causano queste tragedie. La cosa più importante è la prevenzione e la formazione ma, purtroppo, serve anche la repressione. Per questo credo che vada introdotto il reato di omicidio colposo per morti sul lavoro”.

La ministra del Lavoro ha parlato di un pacchetto di norme sulla sicurezza che il governo avrebbe già pronto.

“Le parole della ministra sono un po’ fuori tempo massimo, e soprattutto vengono da un esponente di un governo che ha liberalizzato appalti e sub appalti con il miraggio di sveltire il lavoro. Ma invece di accelerarlo lo ha reso ancor più precario. Quando si comprimono le regole ci rimettono sempre gli ultimi ingranaggi della macchina, che sono i lavoratori, che molto spesso non tornano dalle loro famiglie”.

Lei prima parlava di un clima culturale e politico che non tutela il lavoro.

“Purtroppo è un clima che c’è. Oggi siamo davanti a un mondo del lavoro parcellizzato e destrutturato. La precarietà, i bassi salari ci dicono che le persone sono costrette ad accettare qualunque situazione per poter mettere qualcosa in tasca, e nella maggior parte dei casi sono povere pur lavorando. Servirebbero più controlli e ispettori che non ci sono. Pensi che, in media, ogni azienda ha un controllo ogni 15 anni, e che in una su quattro vengono riscontrate delle irregolarità. In Toscana ci sono 300 ispettori per 350mila aziende”.

Quindi dopo la strage di Brandizzo, che aveva sollevato commozione e sdegno, mi sta dicendo che poco è mutato?

“Purtroppo è così”.

Cambiando totalmente argomento, l’Irpet, l’Istituto regionale per programmazione economica della Toscana, ha descritto un’economia in frenata per la regione, anche se il Pil, allo 0,7% si colloca sopra la media nazionale dello 0,6%. Lei come legge la situazione?

 “Credo che l’Irpet sia stato fin troppo indulgente con le sue statistiche. Purtroppo anche la nostra regione vive una situazione di crescita debole come tutto il paese. In particolare subisce un modello di sviluppo, che punta su una via bassa, sull’assenza di politiche industriali e di investimenti pubblici, che sono la cifra distintiva di questo governo. Dobbiamo uscire dall’idea che la Toscana possa vivere unicamente di turismo, commercio e export. La regione ha una lunga tradizione manifatturiere che oggi è in profonda difficoltà”.

Sono circa una ventina i tavoli di crisi in regione e oltre 4mila e 600 lavoratori a rischio.

“Guardi non c’è provincia che non abbia una sua vertenza. La ex Gkn a Firenze, le acciaierie a Piombino, la Sanac di Massa, la Venitur di Scarlino o la Whirlpool a Siena, solo per citarne alcune. Come detto la nostra regione non può pensare di fare a meno della sua tradizione manifatturiera per guardare al futuro”.

Ma il governo sbandire gli ottimi numeri sull’occupazione.

“Anche qui i dati andrebbero letti con attenzione, partendo, ad esempio, dal numero di ore lavorate. Inoltre si parla di un aumento di contratti a tempo indeterminato. Ora, anche i part time, volontari e no, possono essere a tempo indeterminato. Ma è molto difficile pensare di costruire un futuro quando si lavora venti ore a settimana o si guadagna cinque euro all’ora”.

Crede che il salario minimo sia la soluzione per il lavoro povero?

“Per la Cgil la via maestra per aumentare i salari è sempre stata la contrattazione. Ma visto che siamo un sindacato che vive il mondo e sta in mezzo alle persone, per chi prende cinque euro all’ora mettere un supporto legislativo che segna una soglia minima, che è pur sempre bassa, è un primo aiuto”.

Di recente avete avuto un incontro con la regione sulla sanità. Qual è il suo stato di salute?

“Il nostro sistema sanitario pubblico non se la sta passando molto bene. Questo governo, ma anche i precedenti, hanno operato tagli sistematici, che hanno rimpinguato le casse del privato. E questo si è fatto molto sentire per una regione come la Toscana dove la componente pubblica è molto forte, ed eroga non solo i Lea ma anche gli extra Lea. I tre miliardi messi dalla maggioranza sono insufficienti. Di questi, due e mezzo vanno per il rinnovo dei contratti, e non recuperano quanto eroso dall’inflazione. Alle regioni restano solo 500 milioni da dividere. Davanti a questi tagli i territori devono necessariamente mettere mano alle tasse. Il governatore Giani ha deciso di tassare alcuni scaglioni dell’Irpef per sopperire alla riduzione delle risorse. Avremmo preferito che si mettesse mano anche all’Irap, visto che l’Irpef è a carico di pensionati e lavoratori. Ma va detto chiaramente che il massimo responsabile della crisi della sanità è il governo”.

In primavera si voterà per diversi comuni toscani, tra cui Firenze dove la situazione di alleanze e liste non è per nulla lineare. Come Cgil che cosa vi aspettate?

“L’auspicio è che il centro sinistra vinca. E questo non solo per una semplice appartenenza, ma l’estrazione politica di chi ci governa, quando ci si siede ai tavoli, non è un fattore secondario. Molti definiscono l’attuale maggioranza fascista. Sicuramente lo è, ma io aggiungo che è anche classista. Favorisce una parte del paese che il sindacato non rappresenta ed è contro le fasce più deboli. L’abolizione del reddito di cittadinanza la trovo una decisione cattiva che ha rigettato nella povertà molte famiglie. Inoltre auspico che la sinistra, compresi anche i Cinque Stelle, possa trovare una compattezza contro questa destra che al momento non possiede”.

Tommaso Nutarelli

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Ganga (Cisl), coesione e solidarietà: ecco le chiavi per una giusta autonomia differenziata https://www.ildiariodellavoro.it/ganga-cisl-coesione-e-solidarieta-ecco-le-chiavi-per-una-giusta-autonomia-differenziata/ Fri, 02 Feb 2024 17:41:05 +0000 https://www.ildiariodellavoro.it/?p=175854 “La Cisl non ha mai avuto un atteggiamento pregiudiziale nei confronti dell’autonomia differenziata. Se attuata correttamente può apportare un miglioramento qualitativo e quantitativo dei servizi. Ma il loro trasferimento non può mai compromettere la coesione sociale e l’unità del Paese. Questo lo abbiamo affermato in un’audizione formale in Commissione Affari Costituzionali a maggio 2023”. È questa la visione della Cisl sulla riforma dell’autonomia differenziata espressa dal segretario confederale Ignazio Ganga. Una visione non “apocalittica”, a differenza di altre posizioni assai diffuse, ma improntata comunque a un principio di prudenza. E con diversi ‘’paletti’’.

Segretario, quali sono dal vostro punto di vista i criteri per realizzare una giusta autonomia differenziata?

La solidarietà, la cooperazione e la sussidiarietà di tutti i livelli costituzionali coinvolti. L’autonomia deve tradursi in maggiore responsabilità nella gestione delle risorse per determinare servizi più vicini ai territori ed essere un supporto per quelli in difficoltà. Bisogna evitare che da questa riforma nascano regionalismi forti, centralizzati, che diano poco spazio ai comuni o alle autonomie locali.

In merito al DDL Calderoli che posizione avete esattamente?

Il primo articolo del disegno di legge contiene un’impostazione di principio molto importante sulla quale la Cisl ha insistito molto: l’attuazione dell’autonomia è subordinata alla definizione ed al relativo finanziamento dei Lep, i Livelli essenziali di prestazioni. Abbiamo apprezzato che il Governo abbia ampliato i tempi per la loro definizione perché si tratta di un passaggio cruciale, che non può essere derubricato frettolosamente. Attraverso i Lep, da definire in base a fabbisogni e costi standard, si garantisce a ogni cittadino e in ogni parte del territorio nazionale l’accesso allo stesso servizio e alla stessa qualità. È nei Lep che si mantiene viva la coesione territoriale e sociale. Altro aspetto, non secondario, è come questi vanno stabiliti. Noi crediamo sia necessario far ricorso alla legge delega o a quella ordinaria, lasciando da parte il Dpcm. Questo approccio consente infatti maggiori spazi di confronto, sia nell’ambito parlamentare, sia con le parti sociali.

Quali altri elementi sono importanti per la Cisl?

Il parlamento deve essere centrale nel percorso di riforma. È per noi molto importante una “parlmentarizzazione” delle intese, nelle quali decidere poi quali competenze ogni regione vorrà richiedere. Un processo che inizialmente era pensato come un semplice confronto bilaterale tra la regione e gli Affari regionali o, al massimo, la Presidenza del Consiglio dei ministri.

La riforma può avere ripercussioni sulla scuola, il mondo del lavoro o la contrattazione?

Sull’istruzione la Cisl ha posto una particolare attenzione perché è un tema estremamente delicato. Secondo l’articolo 117 della Costituzione, alcuni aspetti dell’istruzione sono di competenza esclusiva dello stato, come le norme generali e l’organizzazione. Altre sono concorrenti con le regioni. Bisogna evitare che si vada verso un regionalismo eccessivamente spinto, che metta a repentaglio l’uniformità nazionale del sistema scolastico o l’universalità del contratto collettivo. Riguardo al mondo del lavoro, un’autonomia differenziata che preserva l’unità territoriale e sociale deve anche evitare disparità che possono acuire le differenze regionali, allargando il divario tra le più ricche e le più povere.

Ha senso parlare oggi di autonomia differenziata, visto che su molte materie c’è un trasferimento dai singoli stati a quello europeo, e alcune sono così strategiche, penso ad esempio all’energia, che non è pensabile avere 21 politiche energetiche diverse?

Guardi, credo su alcuni temi strategici non ci debba essere il rischio di una dispersiva parcellizzazione. Questo perché la stessa impostazione del Pnrr è fortemente centralizzata, soprattutto per alcune materie cruciali, compresa l’energia.

Alla fine, però, dove si trovano le risorse per attuare l’autonomia differenziata?

Questo è certamente punto complesso, che richiede approfondimento e anche competenze specifiche per essere affrontato. Ovviamente non si può ridurre tutto a slogan da campagna elettorale, e vede che nel dibattito c’è poca attenzione. Non possiamo pensare che lo Stato, visto anche il nostro elevato debito pubblico, possa farsi carico di tutto. E su questo punto il ministro Giorgetti è stato abbastanza chiaro.

Ma non c’è il rischio che uno Stato troppo indebolito sul piano fiscale non sia più in grado di garantire politiche economiche e sociali, o che Roma sia costretta a mettere continuamente mano al portafoglio per garantire i Lep in quelle regioni che arrancano con i propri gettiti fiscali?

 Proprio per questo i principi di coesione e solidarietà non devono venire mai meno: la perequazione tra le regioni non può mancare. Questa può garantire la sostenibilità economica della riforma ed evitare che ci siano disparità territoriali nell’erogazione dei Lep”.

Tommaso Nutarelli

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Cerco un centro di dignità permanente https://www.ildiariodellavoro.it/cerco-un-centro-di-dignita-permanente/ Thu, 01 Feb 2024 11:07:07 +0000 https://www.ildiariodellavoro.it/?p=175747 “Condizione di nobiltà morale in cui l’uomo è posto dal suo grado, dalle sue intrinseche qualità, dalla sua stessa natura di uomo, e insieme il rispetto che per tale condizione gli è dovuto e ch’egli deve a sé stesso”. È questa le definizione offerta dalla Treccani della parola dignità.

Per il ministro e vice premier Salvini Ilaria Salis non è degna di ricoprire il ruolo di insegnante per la sua fede politica e le azioni commesse nella sua militanza. Il riferimento è a un video del 2017 nel quale alcuni manifestanti devastano un gazebo della Lega. Tra gli imputati la stessa Salis, poi assolta.

Dovremmo chiederci se sono degne le parole di un ministro della Repubblica nel momento in cui lo stato è impegnato a far rispettare i diritti di una sua concittadina detenuta in condizioni disumane. O  se è degno un vice premier che usa un caso così delicato per monetizzare  il consenso politico e attaccare la sua forte alleata. È degno mettere in scena un processo politico contro chi non la pensa come te? “Prima gli italiani”. È questo uno degli slogan preferiti dalla Lega. Ma verrebbe da dire “prima alcuni italiani”.

Era degno Salvini quando paragonava Laura Boldrini a un bambola gonfiabile? È degno un vice premier sotto processo per sequestro di persona? Il ministro si è chiesto se è degno di indossare la divisa un carabiniere che afferma che Mattarella non è il suo presidente perché non lo ha votato, dimostrando anche evidente lacune in educazione civica? Il segretario del Carroccio ritiene degno del ruolo che ricopre un generale che afferma che i gay sono contro natura? È degno il presidente del Senato quando afferma che anche in Italia i detenuti vengono condotti con manette e guinzaglio, quando, giustamente, neanche il peggior mafioso o capo cosca ha mai subito un trattamento simile? È degno e attendibile un rappresentante delle istituzioni che fa fermare i treni a proprio piacimento e dice di non aver visto le immagini di Ilaria Salis in manette? È degna una premier che paragona le tasse che servono per finanziare scuola, sanità e welfare a pizzo di stato? È degno chi le evade, danneggiando così la collettività e limitando i diritti, come quello alle cure, degli altri?

Insomma se Salvini è la spia per misurare il livello di dignità presente, forse è bene non fidarsi troppo.

Tommaso Nutarelli

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