Con la sentenza 4951 del 2019, la Cassazione è giunta a una conclusione esemplare, riaffermando un principio già contenuto nella sentenza 51/2015 della Corte Costituzionale. Partendo dal disposto contenuto nel DL 248/2007 in materia di retribuzione dei soci di cooperativa, la Cassazione conferma che i contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative non hanno efficacia erga omnes ma che solo i loro trattamenti economici minimi devo essere presi a riferimento ai fini della determinazione della retribuzione proporzionata e sufficiente ai fini dell’art 36 della Cost. Dunque, se i contratti collettivi stipulati da associazioni reputate non comparativamente rappresentative rispettano o addirittura migliorano tali trattamenti economici minimi, essi risultano perfettamente applicabili. Alla luce di questa sentenza va letto e interpretato anche l’art. 1 comma 1175 della L. 296/2006 laddove, ai fini della fruizione dei benefici contributivi, dispone il “rispetto” dei CCNL sottoscritti dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentativi. Dopo tale pronunciamento si ravviserebbe anche la necessità di procedere alla revisione della Circolare n.3/2018 dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro che pone come condizione per la fruizione dei benefici contributivi l’ “applicazione” dei Contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative piuttosto che il “rispetto” di tali contratti come disposto dallo stesso comma 1175 della L.296/2006.
In questo modo, la Cassazione ha interpretato puntualmente lo spirito della legge individuando nei cosiddetti contratti leader un riferimento utile ai fini dell’individuazione della retribuzione da applicare in presenza di una pluralità di contratti collettivi nello stesso settore, lasciando, al tempo stesso, integro il principio della pluralità sindacale sancita dalla Costituzione, poiché nulla vieta che Ccnl diversi che però adottino e rispettino il trattamento economico complessivo previsto da quelli comparativamente più rappresentativi possano risultare altrettanto applicabili.
L’associazione datoriale Cifa, presente su tutto il territorio italiano e forte soprattutto nei settori del terziario, del turismo, dell’alimentare e dell’agricoltura, ha accolto positivamente il pronunciamento della Cassazione con cui si pone fine a una lunga querelle interpretativa sul significato e sul valore del “comparativamente più rappresentativo”. Da oggi esso diventa criterio guida del trattamento economico complessivo e argine forte contro il dumping salariale. La Cassazione non sancisce, pertanto, l’applicabilità di un unico Ccnl per settore dando l’esclusività solo ad alcune sigle sindacali, cosa che se fosse avvenuta avrebbe avuto due gravi conseguenze: promuovere una logica ad excludendum e limitare la libera contrattazione tra le parti.
Per Andrea Cafà, presidente di Cifa, “tale sentenza conferma quanto sostenuto dal Centro Studi InContra e pienamente sposato dalla nostra associazione in tutti questi mesi, cioè che la fruizione dei benefici contributivi da parte delle aziende è da ritenersi condizionato al rispetto dei livelli retributivi dei CCNL leader e non alla loro integrale applicazione come chiarito dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro con la circolare 3/2018 che alla luce di questa sentenza può ritenersi smentita. Il dumping salariale è una piaga sociale e va fermamente combattuto, ma non diventi pretesto per mettere in discussione il pluralismo sindacale attraverso il ricorso al concetto di “comparativamente più rappresentativo” che può essere criterio di selezione dei CCNL, ma mai criterio di selezione delle sigle sindacali abilitate a operare. Da questo punto di vista abbiamo fatto una scelta chiara in questi anni, ponendoci come sostenitori del pluralismo sindacale e promotori di una contrattazione collettiva di qualità ma, soprattutto, di una bilateralità forte e capace di dare risposte concrete ad imprese e lavoratori”.
TN