Un investimento da 5 mld di euro per i prossimi quattro anni. È quanto Eni ha messo sul tavolo con il protocollo HSE dello scorso ottobre, per migliorare la salute e la sicurezza dei propri dipendenti e tutelare l’ambiente nel quale opera. Un percorso virtuoso supportato dalla costante applicazione di nuove tecnologie. Ne abbiamo parlato con Davide Calabrò, Executive Vice President Relazioni Industriali Eni.
Calabrò, quanto è importante la diffusione della cultura della sicurezza in Eni?
Il tema della salute e della sicurezza è un elemento centrale in ogni nostra attività di business, perché è il modo attraverso il quale tuteliamo l’incolumità di tutte le nostre persone. I temi relativi all’HSE non sono un qualcosa di statico e monolitico, ma rappresentano una realtà complessa, in continua evoluzione. Questa consapevolezza ci porta ad aggiornare costantemente la valutazione dei rischi, quando si realizzano nuovi insediamenti o si modificano quelli esistenti, quando si va a rivedere l’organizzazione del lavoro, o nel caso di eventi incidentali. Tutto questo viene fatto da Eni attraverso modelli di gestione dei rischi, che analizzano i pericoli e individuano le misure necessarie per evitarli o diminuirli.
Nel protocollo HSE ribadite più volte anche la centralità della formazione. In che modo può essere di supporto alla sicurezza nei luoghi di lavoro?
La cultura della sicurezza non può prescindere dalla formazione, come strumento fondamentale per consolidare e sviluppare ulteriormente la sensibilità dei lavoratori verso un tema così importante. A beneficio di questo, nel corso degli anni abbiamo sviluppato percorsi inerenti i temi HSE. Questo perché la formazione va a incidere sui comportamenti delle persone. Basti pensare che l’80% degli incidenti è causato dal fattore umano. Quello che possiamo fare è trarre delle lezioni da questi eventi, analizzare le cause, le dinamiche e mettere a punto un piano di intervento, da condividere poi, in modo capillare, nell’organizzazione, con interventi formativi e informativi. Faccio un esempio concreto: qualche anno fa le statistiche ci indicavano che la mano era l’arto più infortunato; a questo proposito abbiamo sviluppato una campagna capillare di prevenzione ed attenzione sull’utilizzo dei corretti dispositivi di protezione per le mani, riducendo del 50% gli infortuni agli arti superiori. Siamo anche consapevoli che la formazione non debba essere fatta una tantum, ma è un processo che va costantemente alimentato, giorno per giorno, come se fosse un sistema vitale.
Quali sono i risultati ottenuti con questa politica della sicurezza?
Abbiamo ottenuto una diminuzione dell’88% degli infortuni negli ultimi 10 anni. E nel 2016 è proseguito il trend di miglioramento, sia per i dipendenti che per i contrattisti. In particolare, per la forza lavoro globale, nel 2016 si è registrata una diminuzione degli infortuni del 21% rispetto al 2015. Ma il vero e unico obiettivo resta quello di arrivare allo “zero” per la voce infortuni.
Eni investe già molto in HSE, ma pensate che possa aumentare ulteriormente, in prospettiva, tenendo conto che i temi dell’ambiente e della salute sono sempre più cruciali?
Il piano quadriennale di Eni prevede un impegno di spesa per HSE di oltre 5 mld di euro. Di questi, circa il 30% è stato destinato alla sicurezza e alla prevenzione degli incidenti, riservando gli interventi al mantenimento delle migliori tecnologie di sicurezza e asset integrity disponibili e il restante 70% destinati alla tutela dell’ambiente. Questo secondo un piano di investimenti e seguendo alcuni driver principali.
Nei territori dove opera, Eni sta puntando molto sullo sviluppo delle energie rinnovabili, in linea con le National Determined Contribution, previsto dagli accordi della COP21, e con l’Agenda 2030. L’avvio di un percorso che punta alla sostenibilità, grazie alla riduzione del carbon footprint e delle emissioni di gas serra, attraverso un miglioramento dell’efficienza energica di tutte le nostre operazioni. Sviluppare un’economia circolare, grazie al riutilizzo di materie e energia nei processi produttivi. E infine implementare programmi di R&D per lo sviluppo di tecnologie a basso costo per la produzione di energia da fonti rinnovabili integrandole con tecnologie di storage energetico.
Come potrà cambiare le cose la nuova tecnologia di internet of things che Eni sta sviluppando ai fini della sicurezza?
La tecnologia è una delle leve sulle quali puntiamo per migliorarci. Negli ultimi anni abbiamo apportato importanti cambiamenti infrastrutturali. Come detto, il fattore umano ha un peso considerevole nella casistica degli incidenti. La tecnologia aiuta il lavoratore in maniera proattiva, fornendo in tempo reale una maggiore conoscenza e consapevolezza di tutte quelle situazioni di pericolo che si possono verificare, evidenziando anche i comportamenti non adatti ai fini della sicurezza. Tutto questo è possibile grazie ad un’analisi preventiva di ciò che accade intorno all’operatore, tramite l’utilizzo di wearable technologies collegate ad una control room centrale. Con la tecnologia IOT, vorremmo rafforzare l’integrazione tra il lavoratore e i dispositivi che usa, per garantire la massima sicurezza in tutte le fasi del lavoro. Nello specifico, attraverso sensori indossabili, si potrà segnalare all’operatore se tutti i DPI sono stati indossati nel modo corretto. Con lo smart badge, si potrà avvertire un lavoratore quando non si trova in un posizione ottimale per la proprio incolumità o, nel caso di situazioni di emergenza, capire se l’operatore si trova nel punto di raccolta prestabilito. Inoltre, potranno essere sviluppate ulteriori applicazioni sempre nell’ottica di dotare il lavoratore di ausili attivi per la sua salvaguardia e prevenzione.
Su che base sono stati scelti i siti nei quali avviare la sperimentazione prevista dal protocollo?
Stiamo parlando di un percorso molto complesso perché coinvolge tutto il nostro personale, e richiede un approccio e dei comportamenti del tutto nuovi rispetto al tema della sicurezza. Questa complessità richiede l’applicazione step by step delle misure presenti nel Protocollo. Questo si riflette anche nella scelta dei siti, in base anche alla diversità industriale degli stessi, nei quali stiamo testando la funzionalità e l’affidabilità dei dispositivi oggi esistenti. L’esito delle sperimentazioni permetterà di progettare efficacemente i sistemi di smart safety, promuovendone una ampia applicazione. Il primo passo era quello di testare questa nuova tecnologia in contesti relativamente semplici. In questa ottica, alcune aree della Centrale elettrica Enipower di Ferrera Erbognone sono state considerate le più idonee. Il secondo step riguardava la sperimentazione in tre realtà tipiche di Eni: in una parte della raffineria di Sannazzaro, nello stabilimento petrolchimico di Brindisi e in un Centro Oli, quello di Viggiano, funzionale all’attività di estrazione degli idrocarburi. Dunque tre realtà industriali diverse, con una complessità crescente, che ci permetteranno di testare in modo puntuale alcune delle tecnologie che stanno emergendo in questo momento. Tutto il processo di verifica e analisi vedrà il coinvolgimento delle Rsu dei siti interessati, degli Rlsa e delle strutture sindacali territoriali attraverso fasi di confronto, di approfondimento e condivisione degli esiti. I risultati di questa prima fase sperimentale verranno inoltre approfonditi con le strutture sindacali nazionali nella giornata della Sicurezza, Salute e Ambiente, appositamente costituita con il Protocollo HSE.
Quanto contano le buone relazioni industriali con i sindacati per ottenere risultati concreti nella prevenzione e la tutela della salute?
Sono fondamentali per sviluppare il comune convincimento di mantenere l’obiettivo di zero infortuni, che per tutti è la misura della corretta gestione delle attività. Come abbiamo scritto nella premessa del Protocollo, con il sindacato abbiamo sempre condiviso che la salute, la sicurezza e il rispetto dell’ambiente rappresentano beni primari irrinunciabili per lo sviluppo delle attività produttive e lavorative, e abbiamo voluto ribadire la condivisione di questa mission nel documento. Grazie ad un moderno ed efficace sistema di relazioni industriali siamo riusciti a definire, attuare e diffondere una cultura della prevenzione dei rischi nei luoghi di lavoro, che può realizzarsi solo grazie a un coinvolgimento di tutte le parti.
Tommaso Nutarelli