Nella legge di bilancio non ci sono risposte per contrastare gli effetti dell’inflazione e l’intenzione del governo è quella di smantellare la contrattazione, mettere all’angolo il sindacato e riportare le lancette della storia indietro nel tempo. A dirlo è Sandro Colombi segretario generale della Uilpa Uil. Il settore pubblico, afferma, si sta svuotando, e i bassi salari non sono attrattivi per le nuove generazioni. Eppure durante la pandemia eravamo i volti della Repubblica. Un situazione che per Colombi richiede una seria azione di mobilitazione. Peccato non farla assieme alla Cisl, sostiene, ma il sindacato non può agire solo da tampone.
Colombi che futuro attende i lavoratori del pubblico impiego?
I dati forniti dall’Istat a luglio ci hanno detto che per recuperare il potere di acquisto dei salari, nei confronti dell’inflazione, il rinnovo contrattuale del pubblico impiego doveva partire da una percentuale che era del 16%. Dunque, il governo e la politica sapevano benissimo quale era la situazione. Non scordiamoci che dopo la pandemia gli operatori del pubblico erano definiti degli eroi, gli angeli della sanità, i volti della Repubblica. Oggi è tutto dimenticato.
Che risposte arrivano dalla manovra?
La legge di bilancio mette sul piatto 3 miliardi per il 2022-2024, più altri 2 per il 2025, che devono coprire tutto il pubblico impiego, ossia scuola, sanità, funzioni centrali, sicurezza. Con una platea così ampia, mi chiedo come sia possibile avviare una fase di contrattazione negoziale seria. Con queste risorse noi potremmo arrivare a un rinnovo del contratto che recupera solo il 4% di quanto mangiato dall’inflazione.
Eppure il governo ha messo sul piatto un anticipo per dicembre. Non siete soddisfatti?
Il decreto anticipi stralcia il 30% degli stanziamenti destinati al rinnovo. Denari che dovrebbero essere contrattati con il sindacato, e che invece si usano per dare degli anticipi rispetto alla rivalutazione dell’indennità di vacanza contrattuale, calcolata con un parametro del 6,7% che io non ho ancora capito chi l’ha stabilito e soprattutto se è un parametro adeguato. Bisogna poi togliere il miliardo dell’una tantum della legge di bilancio del 2023. Quindi, tra il dare e l’avere, al di là dell’anticipo sulle buste paga di dicembre, a gennaio i lavoratori pubblici si ritroveranno un segno meno del bonus del 2023, e grosso modo la stessa cifra stipendiale. Alla fine questi millantati aumenti che il ministro Zangrillo va decantando non sono che propaganda.
Un modo per sgonfiare le iniziative di protesta che state mettendo in campo?
Il governo sta provando a disinnescare l’azione sindacale, affermando di mettere qualcosa in più nelle tasche dei lavoratori a dicembre. Soprattutto si tratta di una mossa che come obiettivo ha lo smantellamento della contrattazione. Se la politica decide oggi di stralciare il 30%, perché domani non potrebbe arrivare al 60%?
Eppure la Cisl ha apprezzato questa cosa, e non parteciperà alla mobilitazione con voi e la Cgil.
E’ vero, noi siamo in una situazione nella quale una sigla confederale non partecipa alle iniziative di mobilitazione. Ma noi ci siamo sempre basati sui contenuti della piattaforma unitaria, sia con il governo Draghi che con quello Meloni. Ma quanti schiaffi deve prendere il sindacato prima di agire in maniera operativa? Ora siamo davanti a un disfacimento della contrattazione, a una volontà di riportare indietro le lancette della storia, quando era la politica a decidere gli aumenti da dare sulla base del consenso.
Si sta delineando una profonda differenza tra il vostro modo, e quello della Cgil, di intendere l’azione del sindacato rispetto alla Cisl.
E’ un peccato che le iniziative che abbiamo davanti non siano affrontate in maniera unitaria, perché i fatti ci dicono che quando agiamo insieme siamo più forti. Ma vista la situazione, Cgil e Uil hanno fatto bene a scendere in campo. Il sindacato non può svolgere solo una funzione di tampone, ma deve essere anche rivendicativo, sui contenuti e non per orientamento politico, quando si mette in crisi il sistema contrattuale e dei diritti.
Siamo davanti a un perimetro pubblico sempre più povero, senza ricambio generazionale e poco attrattivo per i nuovi. Da dove partire?
Durante la pandemia abbiamo visto gli effetti del depauperamento del pubblico impiego. Si riducono gli organici, ma aumentano i carichi di lavoro. Se non arriva un ricambio generazionale degno di questo nome, ci ritroveremo con delle strutture al collasso. Basti pensare che non sono state programmate assunzioni di infermieri, ma a quelli in servizio è stato detto di aumentare gli straordinari. Questo è l’ennesimo tentativo dell’esecutivo di procedere con le privatizzazioni, nella sanità e non solo, che di certo non fanno il bene dei cittadini. L’Italia non è più quella potenza economica che era anni fa, e si sta relegando a ruolo di Cenerentola in Europa. Per rendere attrattivo il pubblico impiego servono stipendi più ricchi.
Permangono, inoltre, ancora forti diversità con il privato.
E’ così. Noi non abbiamo la detassazione della tredicesima e del salario accessorio. Il Tfs ce lo dobbiamo andare a contrattare con le banche, continuiamo a pagare 15 giorni di malattia. Una recente sentenza del Tar del Lazio ha poi dichiarato illegittima e con odore di anticostituzionalità la differenza tra l’orario di reperibilità per la malattia tra il pubblico e il privato.
Ma in altri settori la contrattazione funziona e sta portando i suoi frutti. Che cosa non va nel pubblico?
In quei settori dove la contrattazione funziona, c’è una vera lotta all’inflazione. Nel pubblico questo non sta avvenendo, perché il governo vuole accentrare tutte le prerogative nelle sue mani, marginalizzando il sindacato. Invece da quando la contrattazione si è inserita nel pubblico le cose sono migliorate, ma la politica, pavidamente, ha sempre avuto paura delle nostre rivendicazioni.
Pnrr. A che punto siamo?
Per questo governo il Pnrr sembra essere più un fastidio che una grandissima opportunità. Ma per renderla reale servono assunzioni. Impegnare i pochi dipendenti pubblici sul Pnrr vorrebbe dire fermare la macchina pubblica. Con il governo Draghi l’allora ministro Brunetta aveva promesso nuovo personale, ma alla fine non si è concretizzato nulla, anche per i bassi stipendi offerti.
Che demeriti ha avuto il sindacato?
Il sindacato doveva alzare di più la voce quando hanno iniziato a depotenziare il sistema contrattuale. Penso all’organizzazione del lavoro che ci è stata strappata. Li dovevamo dire di no, e abbiamo iniziato a perdere i pezzi. Ma non ci possono portare via la contrattazione collettiva, altrimenti il paese si smantella.
Tommaso Nutarelli