Lauralba Bellardi ci ha lasciato. E’ con immenso dolore che diamo questa notizia a tutti gli amici de Il diario del lavoro. Chi l’ha conosciuta capisce l’immenso dolore che provo nello scrivere queste poche righe. Questa mattina mi è arrivata la notizia che in mattinata Lauralba non era più con noi. Non stava bene da tanto tempo, due anni e mezzo fa era stata colpita da un male terribile e l’operazione che aveva subito non era stata in grado di guarirla. Aveva continuato a lavorare, in Università e alla Commissione di Garanzia, ma poi non ce l’ha fatta e alla fine ha ceduto al male.
Lauralba insegnava diritto del lavoro all’Università di Bari, aveva il posto che tanti anni fa aveva Gino Giugni, il suo grande maestro, con il quale si era laureata e aveva continuato a lavorare negli anni. Ne era l’allieva prediletta, lui la portava sempre con sé. Io l’avevo conosciuta quando dirigevo Lavoro informazione, il quindicinale cartaceo fondato da Gino dal quale qualche anno più tardi è nato Il diario del lavoro. Lei scriveva per la rivista, ma soprattutto era sempre con noi. La rivista aveva sede nello studio di Gino, a Roma in via Livenza, e Lauralba era sempre lì, accanto al suo maestro. Quando Gino non era più ministro del Lavoro ed era stato incaricato di presiedere una Commissione per verificare come sarebbe stato opportuno modificare l’accordo interconfederale sulla contrattazione del 1993, la volle con sé e fu lei a redigere, sempre con Gino ovviamente, la relazione finale, piena di buon senso e di ottimi consigli che purtroppo non furono poi seguiti. Qualche anno più tardi, quando decidemmo di chiudere Lavoro informazione e di aprire Il diario del lavoro, un’esperienza tutta diversa, ma in pratica la prosecuzione ideale di quel lavoro iniziato da Gino, fu lei a esserci vicino nei primi passi del quotidiano. E qualche anno più tardi, quando avviammo l’altra nostra importante esperienza, l’Annuario del lavoro, fu sempre lei a esserci vicina, a scegliere le persone che avrebbero collaborato stabilmente a questo Annuario, perché fosse forte e autorevole come poi è diventato.
Una persona intelligente, molto intelligente, che non ha mai cercato i riflettori, anche quando avrebbe avuto tutti i numeri per brillare di luce propria. Era schiva, non voleva far torto a nessuno, non voleva farsi largo sgomitando come fanno in troppi. Era ferma nelle sue idee, che non ha mai cambiata. Una volta mi raccontò che la indicavano come una studiosa di sinistra, un po’ troppo di sinistra. Ma non è vero, mi diceva, io penso da sempre le stesse cose, solo che tutti gli altri sembrano essersi spostati a destra, così ci sono rimasta solo io a sinistra.
Una bella donna, affascinante, era un piacere stare con lei e adesso mi dispiace non averla frequentata di più. Da quando aveva lasciato Roma ed era tornata stabilmente a Bari le occasioni per incontrarci erano sempre poche e le giornate che passava a Roma erano troppo piene per trovare spesso l’occasione per un incontro. Ma ci sentivamo per telefono, io le chiedevo consigli su come Il diario doveva muoversi, su cosa conveniva fare, quali iniziative intraprendere. E il suo consiglio era sempre quello giusto, in grado di farci fare un passo in avanti. Faceva parte dei garanti de Il diario del lavoro, un organismo che avevamo costituito dopo che la morte quasi simultanea di Aris Accornero e Carlo Dell’Aringa che ci aveva costretto a rivoluzionare proprio l’indicazione dei direttori. Ci mancherà, molto, ci mancheranno la sua semplicità e la sua forza, due doti che non è facile trovare abbinate e che lei sapeva usare nel migliore dei modi. Il Diario del lavoro non la dimenticherà, mai.