Non sono elezioni europee quelle per cui voteremo tra un mese, non voteremo per un’idea d’Europa piuttosto che un’altra, non saremo chiamati ad esprimerci su quale Unione vorremmo, se con 26 paesi o meno, se le decisioni andranno prese all’unanimità sennò non valgono oppure se si potrà procedere a maggioranza, se vogliamo un esercito europeo o se invece ognuno si tiene il suo, se intendiamo continuare a mandare soldi e armi all’Ucraina o se i nostri nuovi europarlamentari si impegneranno seriamente per convincere Putin e Zelensky ad aprire un vero negoziato per la pace, per non parlare della guerra tra Israele e Hamas…
No, non voteremo per tutti o qualcuno di questi problemi. Voteremo per decidere chi ha più consenso tra gli italiani, se questo o quel partito e soprattutto se è più popolare Giorgia Meloni o Elly Schlein, Roberto Vannacci o Antonio Tajani, Matteo Renzi o Carlo Calenda. Insomma, saranno elezioni per regolare i nostri conti interni e misurare i rapporti di forza tra i protagonisti della nostra classe dirigente (chiamiamola così). Sarà insomma una sorta di campionato di calcio, dove chi arriva primo vince lo scudetto.
Peccato, poteva essere un’occasione per allargare lo sguardo, per aprirsi a un panorama meno angusto del nostro piccolo e pure misero orticello politico. Ma non sarà così, sarà invece una lotta all’ultimo voto per poi regolare i conti tra i partiti e nei partiti. E dunque di questo tocca occuparci, ovviamente per fare qualche ipotesi in attesa del risultato, poi a giugno sapremo se queste ipotesi erano realistiche o meno.
Che succederà allora se Meloni, anzi Giorgia (così vuole essere chiamata e vergata sulla scheda elettorale) prenderà una valanga di preferenze? Succederà che i suoi due alleati saranno costretti a mettersi in riga e a non romperle più le scatole con pretese fuori luogo. E anche se il suo partito dovesse perdere qualcosa rispetto alle elezioni politiche del 2022, non importerebbe più di tanto: quel che conta ormai è la popolarità individuale, della serie “Io so’ Giorgia e voi non siete un cazzo…”
Accanto a lei si svolgerà una lotta cruenta tra Forza Italia e la Lega e nella stessa Lega. Se l’ex partito di Silvio Berlusconi dovesse superare quello di Salvini, per l’attuale leader leghista si aprirebbe una prospettiva non esattamente edificante. Nel senso che forse sarebbe costretto a dimettersi da segretario, tanto più se il suo “cavallo di razza”, ovvero quella sorta di fascista del generale Vannacci non dovesse avere successo nelle urne. I leghisti del nord, e non solo loro, non aspettano altro per aprire la resa dei conti e liberarsi dai un leader che ormai non amano più da tempo, ammesso che l’abbiano mai amato. Così come non amano per niente questo militare piovuto da non si sa dove sulle loro teste, capace di dire e fare cose in grado solo di creare un grande imbarazzo etico e politico, persino ai leghisti.
Dall’altra parte le cose non vanno meglio. Né per il fantomatico campo largo che non esiste più, qualora sia mai esistito, né per i singoli partiti. I Cinque stelle di Giuseppe Conte per esempio non hanno grandi prospettive elettorali, al massimo si attesteranno intorno al 15 per cento, quindi lontano dal Pd che invece vorrebbero superare per poi trattare da una posizione di forza. Lo stesso Pd, malgrado i sondaggi gli attribuiscano il 20 per cento o poco più, non gode di ottima salute. La scelta di Elly Schlein di candidarsi quasi ovunque non è piaciuta ai vari capi corrente – o capi bastone – del Partito, i quali peraltro non aspettano altro che un risultato negativo per liberarsi definitivamente di lei. In ogni caso solo un risultato clamoroso del Partito democratico, diciamo una percentuale che lo avvicinasse il più possibile ai Fratelli d’Italia, potrebbe calmare le acque e consentire alla leader di proseguire il suo lavoro fino a nuovo ordine. Gli altri se la giocano in piccolo, l’Alleanza tra Verdi e Sinistra vince solo se riesce a raggiungere il quorum e quindi ad eleggere Ilaria Salis, tirandola fuori da quella orrida galera ungherese: e questa sarebbe una buona ragione per votarla. Renzi, Bonino e Calenda, giocano in proprio e ognuno contro l’altro, diciamo quindi che sono totalmente irrilevanti ai fini di un discorso politico di prospettiva, soprattutto per il centrosinistra di cui evidentemente non fanno parte.
Parafrasando Mao tse Tung diciamo allora che “grande è la confusione sotto il cielo quindi la situazione non è eccellente…”.
Riccardo Barenghi