Il 2024 sarà un anno di rinnovi, con il welfare aziendale sempre di più strumento centrale nell’azione di sindacati e imprese. Secondo una mappatura di Percorsi di Secondo Welfare, sulla base dei dati del sistema UNIEMENS del Cnel, al 1° dicembre 2023 sono 19 i contratti collettivi, a settembre 2021 erano 10, firmati da Cgil, Cisl e Uil, che presentano il welfare contrattato. I metalmeccanici la fanno da padroni, con oltre 61mila aziende e quasi 1,6 milioni di lavoratori interessati. Anche se è il contratto delle assicurazioni rappresentate da Ania a destinare le risorse maggiori, con una cifra che si aggira tra i 700 e 1.000 euro.
Se dunque si registra una progressiva diffusione del welfare aziendale, il Sesto Rapporto sul secondo welfare, presentato all’inizio di dicembre, mette in risalto la persistenza di alcune distorsioni. Tre di queste riguardano la sua collocazione, concentrata prevalentemente nelle imprese di medie-grandi dimensioni, nel nord Italia e specificatamente in alcuni settori, come l’industria e la manifattura rispetto all’edilizia o all’agricoltura. Ce ne poi un’altra legata all’uso delle risorse, come segnala l’Osservatorio Welfare di Edenred, destinate in maggior misura al welfare ricreativo più che a quello “nobile”, dai risvolti sociali. In aggiunta, il 25% del tesoretto del welfare non viene speso dai lavoratori per difficoltà nelle procedure di rimborso o per non riuscire a trovare piattaforme e servizi per i propri bisogni.
Altro capitolo riguarda la legislazione. Tra il 2020 e il 2023 i vari governi hanno alzato l’importo di deducibilità dei fringe benefit. Siamo così passati da 258 euro del 2020 ai 516 del 2021, fino ai 600 e poi ai 3mila euro, per i dipendenti con figli a carico, del 2022. Soglia confermata anche per l’anno appena passato.
Anche su questo punto il Sesto rapporto richiama alcuni fattori di rischio. La velocità e la temporaneità che caratterizzano la legislazione sui fringe benefit può mettere le imprese nella condizione di non riuscire a tenere il passo. Ma la principale accusa è quella di alterare la natura originaria del welfare aziendale, che da strumento sociale, si pensi alla sanità, la previdenza e l’educazione, diviene strumento commerciale. In altre parole le aziende potrebbero essere tentate di elargire i fringe benefit sottoforma di buoni carburanti, un pratica molto più veloce, invece di costruire piani di welfare. Inoltre questi strumenti, con “pochi” vincoli di spesa, potrebbero essere equiparati a forme di retribuzione, ma fiscalmente agevolate. Resta poi il fatto che il welfare e i fringe benefit hanno una natura contrattuale diversa. I secondi possono essere elargiti unilateralmente dall’azienda, indipendentemente dall’esistenza di contratti di secondo livello, e ad personam. Dunque lo scenario che si potrebbe prefigurare vedrebbe una possibile disparità di trattamento tra i lavoratori e uno svuotamento del ruolo dei sindacati.
Parlare oggi di welfare contrattuale non vuol dire fare unicamente riferimento all’erogazioni di prestazioni e servizi ormai consolidati ma, sotto questo cappello, rientrano anche tutti i vari interventi in materie di flessibilità. Questi, ovviamente, non portano benefici fiscali alle imprese, ma migliorano le condizioni dei propri addetti, con un più felice bilanciamento tra vita e lavoro.
Lo smart working, dopo il boom della pandemia i gli oltre 6,5 milioni di lavoratori coinvolti nel 2020, si è ristretto, con un dimezzamento degli addetti da remoto secondo per il 2022, ma sta diventando sempre più strutturale in molte realtà. L’altra sfida è quella della settimana corta che sta prendendo piene anche in Italia, con gli accordi in Intesa San Paolo, Luxottica e Lamborghini.
Così, oltre alle criticità, sono molte le nuove frontiere offerte dal welfare contrattuale, tra cui anche la sostenibilità, che le aziende ricercano sempre di più per rimanere competitive sul mercato, attrarre i talenti e migliorare l’immagine.
Forme di flessibilità posso avere impatti benefici per l’ambiente, con una riduzione degli spostamenti casa-lavoro. Così come puntare sull’anima nobile del welfare accresce i risvolti sociali, con interventi sulla sanità, la previdenza, l’istruzione, la famiglia e l’assistenza. Interventi che potrebbero avere un maggior riscontro incentivando il welfare territoriale. Questo può creare un sistema con meno squilibri, senza imprese e lavoratori di serie A e quelli di serie B, e aumentare i rapporti che imprese e sindacati potrebbero stringere con altri stakeholder.
Tommaso Nutarelli