C’è un filo che, almeno dagli anni ‘80, mette insieme alcuni dei più influenti intellettuali politici del paese. E’ un filo che potremmo definire dell’ultrarealismo: il senso è l’insofferenza dell’intelligenza verso i principi o, più esattamente, la sensazione che la razionalità non può (e, quindi, non deve) coincidere sempre con la morale. Martelli, De Michelis, Giuliano Ferrara, Ernesto Galli della Loggia, i nomi sono questi. Per certi versi, una confraternita, per altri soltanto un comune abito mentale che, occasionalmente, attira anche commentatori come Paolo Mieli e Antonio Polito.
Gianni De Michelis e Claudio Martelli erano, probabilmente, i politici intellettualmente più brillanti della loro epoca, gli anni ‘80. Convinti che valesse la pena di tollerare le disinvolte manovre finanziarie del Psi di Craxi, se questo consentiva di rompere la soffocante egemonia degli opposti, Pci e Dc, sostenuti dai soldi russi e americani. Anche Ferrara ha accettato a lungo di far da trombettiere a Silvio Berlusconi, perché gli sembrava la leva per piegare, sconvolgere e, dunque, trasformare e rinnovare la sinistra. Galli della Loggia si è sempre limitato a scrivere, ma forse anche per questo, è quello in cui la presunzione dell’intellettuale di interpretare e gestire la realtà è più evidente.
In anni lontani, nel pieno della polemica sull’ora di religione nelle scuole, Galli della Loggia ritenne di intervenire per ridimensionare la portata dello scontro. L’idea che la posta in discussione fosse l’appalto di un tempio civico dello Stato, come la scuola, alla gestione indipendente di una Chiesa (solo quella cattolica, peraltro) gli sembrava un vuoto esercizio di laicismo, che, soprattutto, rischiava di mettere in pericolo il fruttuoso dialogo fra Dc e Psi. Ne valeva la pena? In fondo, nei fatti, diceva Galli della Loggia, l’ora di religione non ha mai fatto male a nessuno. E, con una strizzatina d’occhio al gesuitismo nazionale, aggiungeva: dai, è una splendida opportunità per ripassare i compiti delle ore seguenti. Svuotando, così, di ogni senso il dibattito sulla neutralità religiosa dell’educazione pubblica o sull’importanza dell’educazione religiosa. L’obiettivo – il dialogo politico – era più importante dei principi in ballo. Il risultato conta più del modo in cui ci si arriva.
Oggi, il tema è tragico e non consente strizzatine d’occhio. Ma, intervenendo sulla battaglia di Gaza, Galli della Loggia, sul Corriere, si muove su una pista intellettuale analoga. Israele ha diritto di difendersi, dice Galli della Loggia: “A volte evitare la perdita della libertà, sottrarsi ad una vita in schiavitù, alla prospettiva di veder sterminato il proprio popolo e la propria cultura è possibile sono affrontando il pericolo di morire e il rischio di uccidere”. “Anche civili innocenti – precisa Galli della Loggia – , anche donne, vecchi e bambini”. La disperazione giustifica anche “i mezzi più discutibili”.
Pare sfuggire a Galli della Loggia che le stesse parole possono essere applicate, senza troppe forzature, anche ad Hamas e, in generale, ai palestinesi. A questo porta la tragica tirannia del risultato. Se, per essere realisti, bisogna dire che il risultato è l’unica cosa che conta, bisognerà anche ammettere che ognuna delle parti in causa ha una sua percezione della disperazione e, insieme, un risultato a cui punta e che, quindi, sentirebbe giustificata ogni atrocità.
Al contrario, la legge morale, proprio perché indipendente dagli interessi e dagli obiettivi delle parti in causa, punta ad impedirle (ad ognuna delle parti in causa): il diritto di difendersi non può travolgere ogni senso di umanità, pena mettersi sullo stesso piano morale degli invasori. Anche questo, si potrebbe dire a Galli della Loggia, è un risultato. E, in particolare, quello che più conta per i valori della democrazia. Dove il percorso è spesso più importante della destinazione: le destinazioni variano, il percorso te lo porti dentro.
Maurizio Ricci