C’era una volta un re… Anzi, no, questa non va bene.
Riproviamo: c’era una volta un reame con tanti re che si davano il cambio, chi regnava quattro anni, chi due, chi pochi mesi. Ognuno di loro aveva la sua corte, ma come tutte le corti che si rispettino ognuna faceva i suoi giochi di potere: chi per destituire il monarca e prendere il suo posto, chi per guadagnare un po’ di potere in più, chi per cambiare completamente cavallo e passare armi e bagagli dall’altra parte della barricata.
Eh sì, perché di barricate ce n’erano almeno due, contornate da tante piccola barricatine, che una volta stavano di qua e un ‘altra volta di là, e più spesso stavano in mezzo ma pronte a vendersi al miglior offerente. Politico, naturalmente: non stiamo parlando di soldi, seppure i soldi non mancavano. Tutt’altro.
Comunque le due grandi barricate si sono combattute per molti anni, e una volta vinceva la prima, l’altra la seconda, a volte pareggiavano ed erano quindi costrette a governare insieme il reame, nominando un re travicello che stava in piedi per miracolo e che infatti, dopo poco, finiva giù per terra.
Fino a quando una delle due vinse decisamente la partita, anche perché l’altra era uscita a pezzi dalle elezioni (era un reame costituzionale, infatti i sudditi avevano diritto di voto). E qui il regime che si era formato e consolidato negli ultimi trent’anni si sfalda. Se crolla una delle due parti, l’altalena, o l’alternanza, non esiste più, tutto pende da una parte mentre l’altra finisce per terra e si fa anche male.
Per chi non l’avesse ancora capito (ma spero siano pochissimi) stiamo parlando della politica dei nostri giorni, dove la parte che è caduta per terra sarebbe la sinistra, mentre quella che vola alto è la destra. E vola altissimo, anche a causa del fatto che i suoi avversari sembrano messi molto male: hanno pochissimi voti, che peraltro continuano a calare, non hanno più un leader e quelli che si sono candidati a esserlo non sembrano proprio all’altezza della situazione. Invece dall’altra parte, quella dei vincitori, tutto cammina. Certo, non mancano polemiche e malumori interni non mancano opinioni difformi, non mancano lotte di potere di basso livello, tuttavia loro possono governare cercando di superare via via gli ostacoli che si trovano davanti, e che spesso sono farina del loro stesso sacco. Ma il potere è qualcosa di troppo importante per buttarlo via dopo solo pochi mesi; dunque resteranno dove sono, cercando di andare d’accordo il più possibile per non rischiare di sprecare un’occasione storica (per loro).
Oltretutto, il loro capo è una capa, ovvero la prima donna Presidente del consiglio nella storia del nostro Paese. E anche questo fatto, pur suscitando invidie e gelosie tra i suoi alleati, non può essere liquidato troppo facilmente. Se, per dire, Salvini o Berlusconi, che hanno un terzo dei voti della Meloni, facessero cadere il governo, questa mossa non sarebbe vista – in Italia e nel mondo – come l’ennesima delle crisi che in Italia si sono sempre susseguite a ritmo vertiginoso, bensì come uno strappo non solo politico, ma anche e soprattutto sessista. Insomma, non sarebbe facile spiegare nelle cancellerie internazionali il perché Giorgia Meloni è stata cacciata dopo pochi mesi di governo e dopo aver raggiunto il 30 per cento dei consensi. Dunque, calma e gesso, al di là delle solite sterili scaramucce: per come la vedo io, al momento la Presidentessa del consiglio può stare tranquilla, nessuno le toglierà il posto e lei potrà continuare a dirigere il governo (quasi) tranquillamente. A meno che non faccia una grossa cazzata, certo: come per esempio mandare i nostri soldati in Ucraina con conseguente spargimento di sangue italiano.
Sennò, per chiudere come avevamo cominciato, il nostro Reame potrà continuare a esistere, solo che stavolta non ci sarà un Re a comandare ma una Regina; quanto cattiva, lo scopriremo presto. In una vecchia favola, la regina si chiamava Malefica…
Riccardo Barenghi