Non c’è niente da fare, non c’è pace nel mondo. In Ucraina ovviamente ma anche in molti altri paesi del nostro pianeta, dal Medio oriente all’Africa, fino a Taiwan passando per il Kosovo e altri.
Nel nostro piccolo, piccolissimo diciamo, la guerra – per fortuna senza armi da fuoco e quindi senza spargimento di sangue – è esplosa per l’ennesima volta nel Partito principale della sinistra, ovvero il Pd. A pochi mesi dall’elezione della nuova leader, Elly Schlein, una donna che non ha mai fatto parte dell’establishment del partito, una che avrà anche molti difetti, ma che sta (stava?) comunque cercando di rimettere in sesto una forza politica uscita malconcia dalle ultime e penultime prove elettorali, da chiunque fosse guidata in quel momento. Anche dalla stessa Schlein, lo si è visto con le elezioni comunali di pochi giorni fa: il Pd è riuscito a eleggere un sindaco solo a Vicenza, tutto il resto è finito nelle mani della destra. Che così non solo governa l’Italia dal centro politico del potere ma anche molti paesi e regioni. Che poi governi male, che i suoi protagonisti non facciano altro che litigare tra loro, vedi il caso di chi deve gestire i danni provocati dall’alluvione in Romagna e nelle Marche, oppure vedi lo scontro sul Pnrr e tanti altri piccoli o medi conflitti che si susseguono giorno dopo giorno, è sotto gli occhi di tutti. Ma in ogni caso loro stanno al potere e ci resteranno almeno fino alle elezioni europee dell’anno prossimo, e forse anche più in avanti.
Invece chi il potere non lo ha, appunto il Pd, non sa proprio come muoversi, non sa che fare e, soprattutto, non perde occasione per sparare contro la leader che dopo la sconfitta alle elezioni politiche del settembre scorso è riuscita a battere il governatore dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini, uno di quelli considerati molto potenti nel partito, e a conquistare la leadership. Certo, Schlein non è una abituata a trattare con le correnti interne, a dissanguarsi nelle mediazioni infinite, a promettere posti e questo o a quell’altro in cambio di promesse di fedeltà al capo. È una che segue la sua strada, a volte giusta e a volte sbagliata, ma che comunque è la sua. E forse è proprio questo suo modo di muoversi che non piace al magma correntizio che governa il Pd da anni. Tanto che molti dei cosiddetti maggiorenti, in particolare quelli che si sentono orfani di Matteo Renzi, hanno cominciato a spararle contro, qualsiasi fosse la decisione che la segretaria prendesse. Il loro obiettivo non è chiarissimo, difficile che possano pensare all’ennesimo cambio di leader dopo pochi mesi e a un anno dalle elezioni europee. Dunque, resta solo un’ipotesi in campo, quella che si chiama logoramento. Ovvero mettere ostacoli e ostacoletti tra le gambe della leader per cercare di ridurla alla ragione (la loro ragione) e poter così tornare alla guida del Pd seppure in maniera occulta e trasversale, come peraltro hanno sempre fatto. Ma se questa strategia ha un nome, esso è suicidio politico: proprio nel periodo in cui il Partito democratico avrebbe bisogno di tutta la forza che gli rimane (non molta, in verità, ma neanche poca) e di tutta l’unità possibile per combattere contro una destra forte e pure pericolosa, pericolosa per la vita civile dei cittadini, dalle multe a chi partecipa ai rave party alle torture su chi si ritrova in una qualche questura del Paese (vedi di quel che è successo a Verona), fino alle politiche anti gay e Lgbt, o contro le droghe leggere e via dicendo. Per non parlare di come vengono trattati i migranti che tentano di sbarcare e quelli che già sono sbarcati cercando una vita decente (senza peraltro ottenerla) nella nostra Italia. L’elenco potrebbe continuare, ma ci siamo capiti: ecco che allora è evidente quanto sarebbe utile un’opposizione politica forte e chiara e soprattutto unita, mentre assistiamo a lotte interne nel Pd e a diatribe poco comprensibili tra lo stesso Pd e il partito guidato da Giuseppe Conte.
Cosi non funziona oggi e non funzionerà domani, questa è la strada che porta direttamente a un’altra sconfitta, che potrebbe essere quella finale: appunto le elezioni europee. Se il Pd mancherà quell’appuntamento, ovvero se resterà aggrappato al suo misero 20 per cento, la destra di Meloni e Salvini resterà al potere per parecchio tempo. A meno che non si autodistruggano, cosa possibile ma improbabile. Essendo questa ipotesi la caratteristica principale della sinistra.
Riccardo Barenghi