È paura o speranza quella che Giorgia Meloni ha manifestato in questi ultimi giorni? Quando ha parlato di poteri non meglio identificati che vorrebbero farla cadere per poi dar vita all’ennesimo governo tecnico formato da personaggi importanti in Italia e all’estero e sostenuto dai partiti che hanno perso le elezioni? Siamo di nuovo alla teoria del complotto nazionale e internazionale che tante volte è stato agitato come spauracchio da Silvio Berlusconi all’epoca dei governi da lui guidati. I famosi o famigerati poteri forti, che pure esistono, ma che difficilmente possono riuscire a rovesciare un governo a meno che questo non faccia di tutto per farsi rovesciare. Come fece appunto Berlusconi tra il 2008 e il 2011, tra le cosiddette feste eleganti e l’economia che precipitava con lo spread che saliva a livelli siderali.
In quell’occasione l’allora presidente Giorgio Napolitano chiamò Mario Monti per sostituire il premier, rifiutandosi di seguire la strada più naturale e democratica, ovvero le elezioni anticipate, che avrebbe probabilmente vinto il centrosinistra guidato da Pier Luigi Bersani. Niente da fare, il governo tecnico rimase in carica per due anni e mezzo, giusto il tempo per varare manovre economiche durissime, ma apprezzate dall’Europa ma non dagli italiani. Quando poi si arrivò al voto, il Pd di Bersani arrivò primo ma senza ottenere la maggioranza dei seggi, e a nulla valsero i tentativi di intesa con i Cinquestelle che avevano ottenuto un ottimo risultato nelle urne. E meno male che quando qualcuno chiese a Napolitano cosa ne pensasse del boom dei grillini, lui rispose sarcastico che l’unico boom che conosceva era quello dell’economia risalente ai primi anni sessanta. Dimostrando così un fantastico fiuto politico…
Seguì il governo diretto da Enrico Letta, non tecnico ma di unità nazionale (o quasi, la Lega restò fuori mentre Meloni partecipò). Dopo Letta, arrivò Renzi a palazzo Chigi, anche lui senza aver vinto le elezioni. E dopo ecco Paolo Gentiloni, ovviamente senza il voto popolare. E quando finalmente gli italiani furono chiamati alle urne, il Pd si fermò al 18 per cento mentre i Cinquestelle superarono il 32.
Vabbè, storia vecchia si dirà, che tuttavia è utile anche per parlare del presente. Per dire cioè che quella della premier è più speranza che paura. Mentre chi dovrebbe avere paura, anzi proprio terrore di un governo tecnico è il centrosinistra, a cominciare dal Pd di Elly Schlein. Che rischierebbe di uscire dalle successive elezioni con le ossa fratturate (ossa che già oggi non sono molto solide), mentre la destra stravincerebbe anche grazie a una campagna elettorale che farebbe strillando contro “i soliti noti”, come li ha chiamati proprio Meloni, invocando la volontà popolare gettata nel cestino dei rifiuti con una manovra di Palazzo.
Ma forse – anzi probabilmente – nulla di tutto questo succederà, l’attuale governo continuerà a stare in piedi almeno fino alle elezioni europee del prossimo giugno: ed è a quel punto, in base al voto, che si apriranno i giochi. Perché se i partiti di governo andranno male e quelli di opposizione bene, allora ci sarebbe sul serio la possibilità di cambiare tutto. A una condizione: che si vada immediatamente alle elezioni politiche anticipate, le uniche che possono decidere chi può governare l’Italia. Perché per il centrosinistra, peggio del governo Meloni c’è solo l’ennesimo governo tecnico.
Riccardo Barenghi