“Per il 2024 il mondo dei trasporti sarà interessato da tre questioni principali: il rinnovo dei contratti, il tema del diritto di sciopero e la politica del settore. Quest’ultima si sta sviluppando su direttrici che non riteniamo giuste come le privatizzazioni, l’assenza di un’idea complessiva per il settore e la mancanza, che sta molto pesando, di risorse pubbliche. Non c’è nulla in Manovra per il Fondo nazionale dei trasporti, e molte promesse, come la proroga delle misure di sostegno al lavoro nei porti e l’incentivazione all’esodo dei portuali per il turn over generazionale, sono state disattese”. È questo il quadro descritto da Stefano Malorgio, segretario generale della Filt-Cgil, per l’anno appena iniziato. “Sul versante più strettamente sindacale – spiega il numero uno dei trasporti della Cgil – dovremo affrontare il 2024 con iniziative, anche conflittuali, nei confronti di politiche che non ci soddisfano, provando a costruire un fronte compatto sul piano sindacale a partire da Fit Cisl e Uiltrasporti ed anche, laddove possibile e se ci saranno convergenze, con le controparti per parlare a un governo che non vuole ascoltarci”. Benché al livello categoriale il valore dell’unità non è mai venuto meno, la rottura “sul piano confederale pesa e risulta incomprensibile, perché – sostiene Malorgio – le nostre rivendicazioni si sono sempre mosse sulla base delle piattaforme unitarie di Cgil, Cisl e Uil, che il governo ha puntualmente disatteso. Insomma l’unità, a tutti livelli, è un bene che ci rende più forti”.
Malorgio partiamo dalla partita dei rinnovi contrattuali. A che punto siamo e quali comparti interessano?
“I rinnovi aperti riguardano l’80% dei lavoratori che rappresentiamo, e toccano il trasporto pubblico locale, la logistica, i porti, i marittimi e le attività ferroviarie. Tranne quello della logistica, che scadrà a marzo, gli altri contratti sono scaduti il 31 dicembre. C’è una grande attenzione e partecipazione dei lavoratori. E questo è un fattore positivo. Noi abbiamo presentato con largo anticipo le nostre piattaforme e siamo ancora alle schermaglie iniziali in tutti i rinnovi. Ci sono degli elementi comuni nelle nostre richieste, che tengono assieme tutti i comparti, e riguardano un aumento del 18% del Tec, il trattamento economico complessivo, una nuova definizione degli orari di lavoro, per una migliore qualità della vita, il superamento delle diversità di genere e una crescente attenzione alla sicurezza sul lavoro”.
In quali condizioni si avvicinano le vostre controparti a questi rinnovi?
“Al di là del trasporto ferroviario, dove c’è di fatto una situazione di monopolio datoriale, in tutti gli altri settori le controparti sono divise, indebolite e alcune con poca rappresentatività. Tutto questo fa parte delle trasformazioni del nostro settore, che stanno mutando la geografica datoriale, dove, soprattutto nella logistica, nei porti e nei marittimi, le grandi aziende stanno conducendo il gioco”.
Venendo alle ferrovie, il governo ha paventato una possibile privatizzazione. È solo una suggestione o c’è qualcosa di più concreto?
“Non è una semplice suggestione, ma è un discorso già in parte avviato, del quale però non ne conosciamo i contenuti poiché ne siamo stati totalmente esclusivi. Un fatto nuovo per un’azienda che ha avuto sempre buoni rapporti con il sindacato. Da quello che ci è dato sapere potremmo trovarci davanti ad un modello come quello di Terna, sperimentato in maniera non positiva anche in altre realtà ferroviarie, dove i privati entrano nel sistema infrastrutturale. Se da un lato questo potrebbe comportare un alleggerimento per le casse dello stato, che dovrebbe invece remunerare il capitale privato investito, allo stesso tempo l’esperienza ci dice che, nel giro di qualche anno, il peso di questo onore per il pubblico diventerebbe sempre più insostenibile, spingendo ad un investimento solo sulle tratte più remunerative e abbandonando le altre. Una limitazione del diritto alla mobilità in un sistema che invece ne avrebbe tanto bisogno”.
Sempre a proposito di privatizzazioni, non c’è ancora il via libera dell’Ue all’operazione di ingresso di Lufthansa nel capitale di Ita Airways.
“È importante, a partire dal via libera dell’Ue, che si finalizzi l’operazione per consolidare lo sviluppo della compagnia. Ci aspettiamo anche un rilancio e la conferma della crescita della flotta, come annunciato, che consenta le assunzioni di nuovo personale per recuperare tutti i lavoratori in cassa integrazione di Alitalia e delle altre compagnie aeree. Inoltre rimane per noi centrale, nell’ambito di una forte alleanza internazionale come quella con Lufthansa, che una quota di maggioranza della compagnia rimanga allo Stato a garanzia dell’alto valore strategico di un asset importante per la connettività del Paese, la mobilità dei cittadini e la tutela occupazionale”.
Il 2023 si è chiuso con un incidente mortale nel porto di Bari e ha visto la strage di Brandizzo. Sono stati fatti passi in avanti?
“Qualcosa si è mosso e ci sono segnali positivi anche dalle controparti. Bisognerà vedere come tutto questo si tradurrà in fatti concreti. La sicurezza è un fattore trasversale, che va dal tema del rinnovamento delle infrastrutture a quello delle tariffe”.
Passando ai rapporti con il governo, e nello specifico con il ministro Salvini, quelli passati sono stati mesi burrascosi.
“A dir poco. Ma il punto centrale è che non abbiamo mai avuto un incontro con il ministro Salvini, e questa è una cosa mai accaduta. È vero ci sono stati tavoli con il viceministro Bignami sul trasporto aereo, con il sottosegretario Rixi per i porti e ovviamente non sono mancati i rapporti con l’apparato burocratico del ministero. Ma oltre a questo non c’è stato nulla. Eppure il dicastero guidato da Salvini avrebbe molte carte da giocare. C’è la riforma dei porti da completare, il tema della legalità e della sicurezza in un asset sempre più strategico come quello della logistica, senza dimenticare la crisi del Tpl, per la carenza di risorse, in una fase nella quale ci dovrebbe essere il passaggio alla mobilità green. Ma tutto questo è fermo”.
Un dialogo, se di dialogo si può parlare, lo avete avuto con il ministro Salvini soprattutto quando ha fatto uso della precettazione per i vostri scioperi.
“Più che un uso lo definirei un abuso, che ha non solo riguardato i sindacati confederali ma anche altre sigle e che sta mettendo a rischio il diritto di sciopero. E quando si tocca un settore nevralgico come quello dei trasporti, allora si minacciano anche tutti gli altri”.
Dove è stato l’abuso?
“In Italia, rispetto agli altri paesi, abbiamo una legislazione, molto stringente, che regolamenta lo sciopero nei servizi pubblici essenziali, ottemperando due diritti costituzionalmente riconosciuti: quello dei lavoratori e quello degli utenti. E c’è poi la precettazione, della quale il ministro Salvini ha fatto un uso smodato. Quello lo abbiamo visto in più occasioni, non solo per lo sciopero del 17 novembre, ma anche durante quelli estivi, adducendo motivazioni fantasiose. Prima l’eccessivo caldo, poi il danno al commercio per poche ore di sciopero o il fatto che l’elevata partecipazione dei lavoratori avrebbe accresciuto i disagi. Un comportamento che mette in discussione sia la legge 146, sia il diritto allo sciopero. Per questo ci siamo appellati al Tar e auspichiamo anche l’avvio di una discussione parlamentare per scongiurare questa pericolosa deriva”.
C’è poi l’inchiesta della magistratura sugli appalti in Anas. Qual è la sua opinione?
“Prima di tutto lasciamo fare ai magistrati i loro lavoro. Sicuramente il quadro che sta emergendo non è per nulla rassicurante. Se tutto questo dovesse essere confermato, ci sarebbe un forte danno di immagine e di credibilità nei confronti del ministero ma anche di Anas, che fa parte del gruppo Ferrovie dello Stato Italiane, ed è uno dei motori del Pnrr”.
Tommaso Nutarelli