“Nessuno perderà il lavoro” assicura il ministro del Tesoro, Gualtieri. “Nessuna azienda fallirà” garantisce il presidente francese, Macron. Sono dichiarazioni assai impegnative, nel momento in cui lo scenario dell’epidemia è sempre più cupo e l’orizzonte della quarantena di massa abbraccia un terreno sempre più vasto e si prolunga sempre più nel tempo.
Proiettando l’andamento dei contagi su un grafico logaritmico, l’Economist conclude che il caso italiano non è affatto anomalo: Spagna, Francia, Germania stanno seguendo una traiettoria allo stesso livello di costante incremento dei contagi, più o meno con una settimana di ritardo sull’Italia. L’intera Europa, dunque, si prepara a blindarsi dentro casa e a sprangare fabbriche e uffici non di assoluta necessità, come abbiamo appena fatto noi.
L’economia, allora, rischia di affondare. Seguire le previsioni dei diversi analisti vuol dire, infatti, trovarsi a scrutare nell’abisso: il 2 marzo, gli economisti di una grande banca d’investimento come Goldman Sachs prevedevano una contrazione del 3 per cento del Pil mondiale, nel secondo trimestre che sta per iniziare. Il 18 marzo hanno rivisto la previsione a meno 13 per cento, 10 punti in più. Un’ipotesi coerente con quello che, probabilmente, è avvenuto in Cina, dove fra gennaio e febbraio, l’economia si è ristretta del 10 per cento.
Se una economia dinamica come quella cinese ha avuto questo contraccolpo, cosa può avvenire nelle assai più torpide economie europee? All’ufficio studi Unicredit fanno un calcolo ancora un po’ a occhio, ma significativo. Hotel, trasporti, commercio valgono, tutti insieme, il 20 per cento del Pil. Se l’attività di questi settori crolla, in questo momento, del 50-80 per cento per un periodo di 4-6 settimane (per noi, praticamente fino a maggio) e, nello stesso periodo, il resto dell’economia perde il 25-50 per cento, ma tutto torna normale entro fine 2020, l’intera economia si restringe, nell’arco del 2020, del 5-10 per cento. Nell’alfabeto degli economisti è un andamento a V: crisi e rapido rimbalzo. Può andare un po’ peggio, con una ripresa che stenta a decollare fino all’anno prossimo. E’ l’andamento a U: il Pil 2020 si riduce del 10-15 per cento.
Un disastro? Magari, invece. V e U sono le lettere dell’ottimismo. Presuppongono che, nel giro di un paio di mesi, l’incubo dell’epidemia si sia dissolto. Non ci spera quasi più nessuno. Dietro la decisione di Boris Johnson di allinearsi dietro gli altri paesi europei nella strategia – più o meno lasca – della quarantena, c’è uno studio dell’Imperial College di Londra che calcolava in mezzo milione i britannici morti in assenza di drastici interventi di contenimento. Da tenere in piedi non per settimane, ma per mesi. E con una importante avvertenza. Finché non arrivano medicine o vaccini, nel momento in cui si alza lo scudo del contenimento, l’epidemia riparte. Superato un certo numero di ricoveri nelle unità di rianimazione, propone lo studio, bisogna ricominciare con la quarantena. E l’economia di conserva: invece che V o U, prepariamoci ad un angoscioso W.
Per smussare i picchi della W e impedire che parti vitali dell’economia scompaiano per sempre, rinviando per anni una ripresa, l’Europa ha messo in campo un armamentario mai visto prima. La Bce si prepara a pompare liquidità per una cifra superiore a 4 mila miliardi, quasi pari a un quarto del Pil dell’eurozona. Tremila miliardi di euro (ad un interesse sussidiato: di fatto la Bce dà un premio agli istituti che prendono questi soldi) andranno in prestito alle banche perché tengano aperte le linee di credito che consentono alle aziende di sopravvivere. Mille miliardi e più serviranno a rastrellare titoli di Stato sul mercato, impedendo l’esplosione degli spread. Poiché questi titoli verranno portati chissà quando all’incasso (da cinque anni, Francoforte rinnova sistematicamente, alla scadenza, tutti i titoli che compra nell’ambito del Quantitative easing) si tratta, nei fatti, di un finanziamento monetario del debito pubblico. Senza dirlo ad alta voce (la monetizzazione del debito è rigorosamente vietata dagli statuti della Bce) Francoforte sta facendo una cosa mai vista: stampa moneta.
Contemporaneamente, la Commissione di Bruxelles ha fatto saltare i vincoli di Maastricht e i governi europei stanno moltiplicando i programmi di stimolo fiscale e di garanzie alle imprese. La più timida, però, è, proprio l’Italia, la nazione oggi più colpita. Dove altri paesi mettono sul piatto centinaia di miliardi di euro, in Italia si fa fatica a contare le decine. Per ora, siamo arrivati a 25. Pesa l’incubo del debito pubblico. Ma, forse, è un’angoscia eccessiva.
Di fronte ad una caduta dell’economia, credibilmente almeno del 10 per cento, mettere in campo una ricetta di stimoli fiscali (meno tasse, più sussidi ecc.) che valga almeno il 5 per cento del Pil sembra realistico. Significa una manovra da 80 miliardi di euro da destinare specificamente alla rivitalizzazione dell’economia. Questi soldi, dunque, non assorbirebbero il 3 per cento di deficit, che ha già avuto il via libera di Bruxelles, e che verrebbe destinato, oltre che agli impegni già in corso, alle spese vive, sanitarie anzitutto, per combattere l’economia. Risultato? Un disavanzo pubblico all’8 per cento, 130 miliardi.
Troppo per il nostro mastodontico debito pubblico? Si tratterebbe, naturalmente, di uno sforamento temporaneo, parallelo all’epidemia. E, in termini assoluti, meno spaventoso di quanto possa sembrare. Su un debito pubblico di 2.400 miliardi, quei 130 miliardi sono un po’ più del 5 per cento. In rapporto al Pil, il debito italiano arriverebbe al 140 per cento. Una quota – lo dice l’ex capo economista dal Fmi, Olivier Blanchard – assolutamente sostenibile, in particolare con il sostegno della Bce. Anzi, nelle condizioni date, quasi prudente. L’unico paragone possibile con la situazione attuale, infatti, è una guerra.
Probabile che il governo italiano, prima di mettere in campo una manovra da 130 miliardi da finanziare in deficit, speri in un intervento europeo, come i prestiti del Mes, il Meccanismo europeo di solidarietà. Ma è cruciale, dicono gli economisti, che il governo distribuisca con efficacia lo stimolo fiscale. Rispetto a quanto annunciato da altri paesi, manca, infatti, fin ad ora, da parte del governo italiano, un impegno chiaro, esplicito, preciso, ad esempio in materia di garanzie bancarie, a sostegno delle piccole e medie imprese che, pure, rappresentano da noi una realtà anche più importante che nel resto d’Europa. Se iniziano i fallimenti delle imprese si può arrivare ad un crollo del Pil 2020 ben oltre il 15 per cento. E l’Italia si ricaverebbe, nell’alfabeto economico della ripresa, una lettera tutta sua: la L.
Maurizio Ricci