Sono le crisi economiche che ingrassano l’estrema destra. Ma non tutte le crisi sono uguali. Quella del 2008 è stata una bomba vitaminica per i movimenti populisti e radicali: ne hanno tratto guadagni vistosi, in termini di voti, il Front National in Francia, Alba Dorata in Grecia, 5Stelle e Lega in Italia, l’Ukip inglese alfiere della Brexit, l’Afd in Germania, i True Finns in Finlandia. Sistemi politici storicamente consolidati sono stati stravolti o, comunque, fortemente scossi. Quali sono le leve? Le ondate di immigrazione? O le difficoltà dell’economia?
Due diverse ricerche condotte dall’Ifo, un autorevole istituto tedesco, (“Immigration and Electoral Support for the Far-Left and the Far Right” e “Going to Extremes”) giungono ad una conclusione non scontata. Sia che l’innesco sia dato dall’immigrazione, sia che l’elemento cruciale sia la crisi economica, a subire l’impatto della rivolta degli elettori non sono solo le forze di governo, ma anche la sinistra. Compresa l’estrema sinistra. Tanto le rivolte anti-immigrati, quanto la rabbia per la crisi premiano sistematicamente ed esclusivamente l’estrema destra, non la sinistra. L’Ifo, ad esempio, studiando l’esempio francese, valuta che per ogni aumento dell’1 per cento degli immigrati ci sia stato un aumento del voto per Marine Le Pen almeno di 0,4 punti che, però, può arrivare oltre il 2 per cento se si considerano i collegi in cui l’aumento degli immigrati è stato più repentino. Ma nazionalismo e xenofobia sono spesso la risposta al disagio economico e se si considera specificamente questo, gli effetti sugli elettori sono assai più ampi, profondi, duraturi.
Anziché la sola Francia, questa seconda ricerca ha esaminato i maggiori paesi occidentali, studiandone 800 esiti elettorali, fra il 1870 e il 2014. Risultato? Le conseguenze di una crisi portano, mediamente, nei cinque anni successivi, ad un aumento del 30 per cento dei voti per l’estrema destra rispetto ai suffragi pre-crisi. L’estrema sinistra, che pure potrebbe rivendicare un suo primato nella rivolta popolare, viene sistematicamente scavalcata. La Grande Recessione del 2008 ne è l’immagine più chiara: nel 2014, i partiti populisti europei avevano triplicato, dal 5 al 15 per cento, la propria quota di voti, rispetto a dieci anni prima.
Attenzione, però, perché non tutte le crisi economiche scatenano questo fenomeno. Le recessioni scaturite da disastri macroeconomici, come negli anni ’70 per le impennate del prezzo del petrolio, negli anni ’80 e ’90 per implosioni valutarie, come il fallimento dello Sme, o anche da guerre o catastrofi naturali non hanno questi effetti sconvolgenti sul sistema politico. Anzi, spesso rafforzano i partiti di governo. La crisi che tracima nella politica è specificamente la crisi finanziaria. Anzi la crisi che esplode nelle banche. Sono queste il brodo di coltura dell’estrema destra: i risparmi che si volatilizzano o che anche solo rischiano di farlo, le improvvise difficoltà di far fronte ai debiti, la rabbia per i salvataggi, con i soldi dei contribuenti, delle banche sono tutta acqua per il mulino della destra.
E’ il film del 2008-2015, come degli anni ’30. Le crisi finanziarie globali, che mettono in ginocchio le economie, perché strangolano il credito e non solo perché la congiuntura volge al brutto, sono, in effetti abbastanza rare. Non, però, se si va a guardare a livello nazionale. Lo studio dell’Ifo esamina crisi bancarie geograficamente limitate, come quella scandinava degli anni ’90, e registra gli stessi fenomeni (vedi il boom dei Democratici Svedesi o del Partito Danese del Progresso). Dunque, sono le caratteristiche specifiche della crisi e, in particolare, il fatto che si origini e si sviluppi nel sistema bancario a determinarne l’impatto politico. Del resto, anche sul piano strettamente economico, le crisi finanziarie tendono ad essere più profonde e prolungate delle normali recessioni. Prolungate, quanto? Mediamente, dieci anni, sostengono Carmen Reinhardt e Kenneth Rogoff, che hanno studiato la loro storia. E i ricercatori dell’Ifo che ne hanno studiato gli effetti politici fissano il timer allo stesso punto: dopo dieci anni, il sistema politico rifluisce lontano dall’estrema destra, che torna allo standard elettorale pre-crisi. Vedremo.
Maurizio Ricci