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Home - Approfondimenti - Interviste - Pirani (Uiltec): Smi-Confindustria vuole svilire diritti e salari, a dicembre di nuovo in piazza

Pirani (Uiltec): Smi-Confindustria vuole svilire diritti e salari, a dicembre di nuovo in piazza

di Elettra Raffaela Melucci
24 Novembre 2016
in Interviste
Pirani (Uiltec): Smi-Confindustria vuole svilire diritti e salari, a dicembre di nuovo in piazza

Le trattative per il rinnovo del contratto tessile/abbigliamento, scaduto il 31 marzo 2016, sono ferme e i lavoratori delle imprese aderenti a Sistema Moda Italia tornano a scioperare, dopo oltre 20 anni, contro le posizioni oltranziste degli industriali. Il diario del lavoro ha intervistato il Segretario generale della Uiltec, Paolo Pirani.

Quali sono le ragioni del blocco della trattativa per il rinnovo del contratto?
Smi-Confindustria insiste su posizioni che sembrano tutte volte alla riduzione di diritti e salari. Partendo dal fattore salariale occorre innanzitutto sottolineare l’intenzione di SMI di proporre una verifica dell’inflazione ex post, ovvero al termine di ogni anni, invece di anticiparla come accade oggi. E per noi questa è già una richiesta inaccettabile perché nega la contrattazione. Ma un contratto nazionale non è mai solo frutto dell’inflazione: parliamo di normative, orari, flessibilità, competitività. L’atteggiamento dell’associazione datoriale sembra tutto incentrato a comprimere diritti e il ruolo delle OOSS con modifiche peggiorative all’istituto della malattia, riduzione delle ferie, modifica peggiorativa della legge 104, straordinario obbligatorio.

Quali sono le proposte messe sul tavolo da Sistema Moda Italia?
Innanzitutto le imprese partono dalla restituzione dei 72 euro del precedente rinnovo, che risultano dallo scostamento tra inflazione programmata e quella effettiva. Di fatto non intendono riconoscere alcun incremento salariale nel prossimo triennio: la somma non viene restituita, ma le imprese vogliono fare ‘pari e patta’ con l’indice dei prezzi al consumo stimato nei prossimi tre anni.

Sotto l’aspetto normativo le aziende intendono intervenire sugli istituti contrattuali della malattia e delle ferie, mettere mano sulla 104 che regola i permessi retribuiti e il tutto in un settore in cui il 90% dei lavoratori sono donne e con salari tra i più bassi d’Italia: circa di mille euro al mese. Senza contare che in 5 anni sono andati persi 100mila posti di lavoro mentre il fatturato delle aziende è passato da 52 miliardi a 54.

In che modo Smi vorrebbe ridefinire il modello contrattuale anche rispetto al calcolo del salario?
La richiesta delle imprese è quella di modificare il modello di individuazione ed erogazione degli incrementi salariali passando dalla previsione degli aumenti all’inizio del triennio in base alle attese sull’inflazione ad una valutazione ex post che, alla fine di ogni anno, stabilisce l’entità degli aumenti in base all’andamento effettivo dei prezzi. Un nuovo modello contrattuale che definisce ex post i minimi e che non dà, all’atto della sottoscrizione, nessuna certezza sugli aumenti e che svilisce la natura negoziale dell’aumento salariale del contratto nazionale di lavoro. Senza contare che noi nel tessile dobbiamo ancora iniziare tutto il percorso: non si è arrivati neanche a parlare di cifre. Quindi il problema sembra di tipo ideologico e non di merito, oltre al fatto che appare del tutto evidente che non vi sia autonomia negoziale.

Quali i punti che il sindacato ritiene prioritari per il rinnovo?
Innanzitutto ci auguriamo che esista autonomia negoziale: ogni categoria ha una propria dinamica contrattuale e non esistono modelli da applicare. Il modello unico non andava bene nella Russia

Sovietica, figuriamoci se può andare bene nell’Italia del 2016. Ogni settore ha le sue dinamiche e specificità, la strada che sembra volere intraprendere Smi-Confindustria non porta da nessuna parte e, dopo che la due giorni di scioperi territoriali di otto ore con presidi (18 e 21 novembre 2016) non ha prodotto i risultati sperati di riapertura della trattativa e sollecitazione della controparte di ripensare l’atteggiamento oltranzista, appare ormai necessario mettere in campo ulteriori forme di lotta: il 21 dicembre saremo in piazza per una manifestazione nazionale e assemblea a Milano. Per noi è del tutto dirimente il fattore salariale, quindi le modalità di calcolo e di erogazione degli aumenti; non è pensabile che venga meno il fattore del salario contrattato, almeno non in questo settore. La piattaforma sindacale sotto questo aspetto chiedeva un aumento di 100 euro; in sede di trattativa si sarebbe stati disposti a scendere di qualcosa ma tenendo bene a mente di dovere offrire aumenti dignitosi per tutti i dipendenti che nonostante i loro bassi salari hanno reso e mantenuto grande la moda italiana nel mondo, facendo aumentare il fatturato delle aziende anche in questi anni di crisi.

Quali sono le proposte in materia normativa?
Qui le aziende vogliono intervenire sugli istituti contrattuali della malattia e delle ferie, toccare la legge 104, tutti istituti delicati in un settore di lavoratrici donne. Noi nella nostra piattaforma avevamo puntato ad un miglioramento delle relazioni industriali con orientamento all’informazione e alla partecipazione, nonché alla responsabilità sociale dell’impresa. Inoltre avevamo puntato alla piena operatività dell’osservatorio nazionale. Sul profilo del welfare la richiesta era quella di incrementare il contributo aziendale per la previdenza complementare (Previmoda) e alla istituzione di un Fondo integrativo sanitario. Infatti questo è l’unico dei nostri settori a non averlo; sul tema di diritti individuali intendevamo portare a 10 giorni l’anno il congedo per malattia del figlio in età compresa tra i 3 e 13 anni.

Cosa cambia dalla previsione triennale del salario a quella annuale?
Noi vogliamo contrattare il salario e non registrarlo. È qui la grande differenza.


Elettra Raffaela Melucci

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Elettra Raffaela Melucci

Elettra Raffaela Melucci

Redattrice de Il diario del lavoro

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