di Giorgio Santini – Segretario Confederale Cisl
Il dibattito promosso dal Diario del Lavoro sul modello di sindacato necessario oggi in Italia è particolarmente opportuno. Perché in questo momento risulta ancor più evidente che nel recente passato che il sindacato confederale non può più rimanere bloccato cullandosi nelle proprie certezze, mentre nell’economia, nel mercato del lavoro, nella società tutto è in vorticoso movimento con conseguenze negative per quanto riguarda la possibilità di mantenere rappresentanza e tutela dei lavoratori.
Un esperto studioso del sindacalismo italiano, Guido Baglioni ha scritto su questi temi un bel saggio dal significativo titolo “L’accerchiamento”.
Da tempo, la CISL si misura con la sfida di una effettiva capacità di innovazione sulla base di una progettualità sociale che sappia interpretare le nuove necessità del mondo del lavoro ed ha sempre cercato che questo percorso di innovazione fosse frutto di una sintesi condivisa da parte delle tre Confederazioni CGIL, CISL, UIL per evidenti motivi di rappresentatività e maggiore capacità di incidenza sulla realtà.
La sintesi tra le tre confederazioni aveva prodotto alcuni risultati significativi nel recente passato; nel 2007 un importante accordo con il Governo sul Welfare, successivamente la piattaforma del 2008 per la riforma della contrattazione. Poi da luglio 2008 nulla più è stato come prima e con una progressione impressionante in tutti i settori e su tutte le questioni la sintesi non è stata più possibile, per il sistematico rifiuto della Cgil a sottoscrivere accordi o contratti.
La CISL ha scelto di andare avanti, di non accettare passivamente una condizione che avrebbe portato il Sindacato italiano ad una sostanziale paralisi e ad una progressiva emarginazione dalle relazioni contrattuali, sociali, istituzionali.
Il progetto della CISL è ispirato da una concretezza pragmatica, collocata però all’interno di un sistema di valori (un tempo veniva chiamata ideologia) necessario per avere sempre chiara la direzione di marcia, ad esempio, in questo momento di svolta rappresentato da una pesante crisi economica internazionale, per certi aspetti epocale.
Dalla crisi si può uscire tornando allo “ status quo ante, oppure superando in avanti le tante distorsioni e le clamorose ingiustizie che l’hanno determinata
La CISL ritiene che per uscire dalla crisi occorra operare per ri-costruire una società che riscopra e valorizzi l’economia reale e il valore fondamentale del lavoro, la sua centralità sociale, che sappia promuovere la partecipazione e la democrazia economica per dare qualità e competitività al sistema economico nazionale ed europeo, che riconfermi un Welfare universale fondato sulla giustizia sociale, ma innervato da una sussidiarietà dinamica fra istituzioni e corpi intermedi, che promuova l’eguaglianza delle opportunità e la società attiva basata sull’impegno e l’intraprendenza di ogni persona.
Leggendo i contributi di Pirani e Rocchi sembrerebbe che il pragmatismo escluda l’ideologia o viceversa. Non è così. Il punto d’incontro tra i valori e il pragmatismo è dato dal fatto che il cambiamento avviene in tempo reale ed è compito preciso del Sindacato sintonizzarsi sui tempi dei processi sociali ed economici in atto, trovando “qui ed ora” le risposte sociali possibili ai tanti problemi che gravano sui lavoratori.
Per questo la CISL continua a ritenere necessario misurarsi senza pregiudiziali con il Governo, in autonomia, con la necessità di far avanzare interventi riguardanti le priorità sociali ed economiche, dalle risorse per gli ammortizzatori sociali, al sostegno alle attività economiche, alla necessità di stimolare lo sviluppo con politiche anticicliche, al sostegno dei redditi e delle pensioni più basse e dei carichi familiari.
Ma il terreno sul quale la CISL ritiene necessaria e maggiormente praticabile l’innovazione sindacale è quello degli assetti della contrattazione collettiva e delle relazioni tra le parti sociali.
Il recente accordo-quadro del 22 gennaio e i successivi accordi interconfederali nei singoli comparti, a partire da quello del 15 aprile con Confindustria, rappresentano il primo passo di un nuovo modello sindacale negoziale e partecipativo.
E’ significativo (ed anche un pò sconcertante ) che esso rappresenti il primo rilevante accordo interconfederale da più di 10 anni!
E’ un accordo che può essere condiviso, come hanno fatto la stragrande maggioranza delle rappresentanze datoriali e sindacali oppure no, come ha fatto la CGIL, ma andrebbe evitato di motivare il dissenso con argomenti poco attinenti al merito sindacale dell’accordo stesso, quasi si volesse costruirsi un alibi per non affrontare le necessarie scelte.
L’accordo rappresenta una positiva “quadratura del cerchio” tra l’esigenza di salvaguardare il CCNL, come cornice generale nel settore in chiave solidaristica e l’urgenza di aprire spazi i più ampi possibili alla contrattazione decentrata nei luoghi di lavoro e nel territorio proprio laddove in questi anni si sono verificati i cambiamenti più forti.
Al di là delle obiezioni di merito che la CGIL solleva, a nostro avviso senza fondamento e che saranno fugate dalle trattative contrattuali nei diversi settori, guardiamo alla sostanza delle questioni.
Ai lavoratori italiani serve o non serve che l’ormai imminente stagione dei rinnovi contrattuali porti a contratti rinnovati in modo più certo e tempestivo, con un recupero salariale più vicino all’inflazione effettiva rispetto al passato? Con il nuovo accordo questo è realizzabile ed è tanto più significativo nel pieno di una crisi economica, che altrove nel mondo sta vedendo frequentemente accordi di riduzione dei salari dei lavoratori.
Ai lavoratori italiani serve o no che il sindacato estenda la contrattazione decentrata in tutti i luoghi di lavoro o nel territorio, per poter redistribuire anche ai lavoratori quella produttività che essi contribuiscono in larga parte a realizzare e che questi incrementi salariali siano detassati e decontribuiti? L’accordo va in questa direzione.
Serve o non serve ai lavoratori un sindacato che sappia costruire per via contrattuale un sistema di bilateralità con le associazioni datoriali che rafforzi il welfare, in termini integrativi, su questioni fondamentali quali la previdenza complementare, la tutela nel mercato del lavoro e nella formazione continua, l’assistenza sanitaria, la sicurezza sul lavoro? Perché questo dovrebbe spaventare, se esistono esperienze storiche efficaci di bilateralità gestite dai tre sindacati, con grandi vantaggi per il mondo del lavoro?
La Cisl si muoverà su questi obiettivi e in questo senso è importante il reciproco riconoscimento tra le organizzazioni sindacali e datoriali, sostanziato con la firma degli accordi.
In questo modo si passa da un modello di relazioni non regolato e affidato sostanzialmente ai rapporti di forza (o quel che ne resta) in chiave antagonistica, ad un insieme di regole condivise che daranno alle relazioni una caratteristica negoziale di tipo partecipativo che, senza escludere la conflittualità, impegna le parti in via prioritaria a trovare le soluzioni migliori per entrambe.
Un sindacato in grado di realizzare questi risultati, non solo sarebbe molto utile ai lavoratori e alle lavoratrici, in particolar modo a coloro che oggi sono fuori dal perimetro della tutela e della rappresentanza (giovani, temporanei, piccole aziende, immigrati), ma risulterebbe anche molto più forte e credibile nei rapporti con gli interlocutori economici ed istituzionali.
Potrebbe, credo con buone chances, affrontare altre questioni di grandissima attualità:
– un accordo interconfederale per certificare la rappresentanza sindacale, generalizzare le elezioni dei rappresentanti sindacali in tutti i luoghi di lavoro e definire le regole della democrazia sindacale rappresentativa e aperta, in via confermativa, a tutti i lavoratori.
– un accordo per la riforma degli ammortizzatori sociali del dopo-emergenza nella direzione della flexicurity e dello Statuto dei lavori, per estendere le tutele a tutte le tipologie lavorative.
– Una legislazione che favorisca la partecipazione dei lavoratori nelle imprese, con qualche opportuna sperimentazione già nell’attualità.
Cosa impedisce oggi alle tre Confederazioni di assumere questo progetto e gestirlo insieme anche nelle inevitabili gradualità?
Per la Cisl si potrebbe fare benissimo insieme.
Andare avanti su questi obiettivi e con questi intendimenti rappresenterebbe la costruzione di una prospettiva più forte del sindacalismo confederale , della quale domani tutti potrebbero essere grati, perché come diceva Federico Caffè: “Riformista è chi preferisce il poco al tutto, il realizzabile all’utopico, il gradualismo delle trasformazioni ad una sempre rinviata trasformazione radicale del sistema.”