Biglieri, cosa chiedete in concreto?
Sono le iniziative che proponiamo da quattro mesi, che abbiamo già rappresentato in più di una riunione al sindacato. Abbiamo bisogno di forme di flessibilità nel rapporto di lavoro, quindi non all’entrata o all’uscita, ma nel rapporto di lavoro. Chiediamo la possibilità di adattare gli orari alle esigenze delle commesse, la possibilità di fare straordinari senza negoziazioni chilometriche e a costi compatibili. Questi argomenti sono ampiamente noti ai sindacati. Quando il sindacato dice di non conoscere le nostre proposte, mente sapendo di mentire.
Quello che chiedete non può essere discusso all’interno del secondo livello contrattuale?
Per noi non è sufficiente, perché quello che oggi avviene nelle aziende ha due caratteristiche fondamentali che riteniamo negative e che non colgono l’obiettivo di abbassare il costo dei prodotti e, cioè: una negoziazione lunga, perché bisogna sempre contrattare degli accordi, e a costi aggiuntivi. Queste sono le cose che non possiamo sostenere. Non le negoziazioni lunghe, perché si perdono le opportunità, non i costi aggiuntivi.
I tempi lunghi possono essere legati anche al fatto che la contrattazione aziendale è poco utilizzata?
La contrattazione di secondo livello riguarda il salario variabile. Se decidiamo di aggiungere la flessibilità, si pone il problema della presenza del sindacato nelle aziende. Se il sindacato non è presente, come facciamo a rendere esecutive le cose che stabiliamo? Dove il sindacato c’è, la contrattazione è lunga, dove il sindacato non c’è dobbiamo avere una norma a cui appellarci, altrimenti le cose diventano inesigibili.
Di fronte allo stallo della trattativa per il contratto proponete di allargare il panorama dei temi trattati. Ma non è solo il rinnovo biennale?
E allora si applicano le regole del ’93. Se si sostiene continuamente che questo è un rinnovo del biennio economico e, quindi, non si può allargare lo scenario, la conseguenza è che il contratto si rinnova con le regole del ’93, quindi i soldi sono quelli.
Ha notato sfumature diverse nella reazione dei sindacati alla sua proposta?
Certamente sì, le organizzazioni sindacali hanno atteggiamenti diversi. A me pare di poter dire, ad oggi, che ci sia all’interno del sindacato qualcuno che appare più disponibile a discutere. Però appare soltanto, perché nei fatti non c’è una organizzazione sindacale che dice apertamente: accetto o rifiuto di discuterne. Sono atteggiamenti, ma gli atteggiamenti devono essere tradotti in comportamenti reali. Questi comportamenti reali non li abbiamo ancora registrati in nessuna organizzazione sindacale.
Qual è il rischio che si corre? Di non fare il contratto o di firmarne un terzo separato?
C’è il rischio di non fare il contratto, non vedo la possibilità di firmare un altro accordo separato. L’unico rischio vero è il non contratto, che è la peggiore iattura che possa capitare all’interno delle relazioni industriali.
Le aziende potrebbero decidere di dare aumenti in modo unilaterale?
Sì, è il rischio legato al non contratto. Una delle conseguenze del non contratto è che le imprese decidano di muoversi in maniera unilaterale. Se le aziende partono per conto loro, nel bene o nel male, prima di riprendere le fila del contratto ce ne vuole.
La ripresa tra le confederazioni del dibattito sul modello contrattuale, potrebbe darvi una mano?
Certamente potrebbe aiutare. Solo che le confederazioni sindacali otto mesi fa ci hanno spiegato che questo contratto lo avremmo rinnovato con le regole vecchie, poi le categorie vengono a chiedere un cambio di regole. Questo è il punto, la contraddizione tra il comportamento delle confederazioni e quello dei sindacati di categoria. Dove però, oggi, le confederazioni sostengono le categorie. Sarebbe il caso di sciogliere la contraddizione.

























