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Home - La biblioteca del diario - Capitalismo di guerra. Perché viviamo già dentro un conflitto globale permanente (e come uscirne), di Alberto Saravalle e Carlo Stagnaro

Capitalismo di guerra. Perché viviamo già dentro un conflitto globale permanente (e come uscirne), di Alberto Saravalle e Carlo Stagnaro

di Nunzia Penelope
10 Ottobre 2025
in La biblioteca del diario
Capitalismo di guerra. Perché viviamo già dentro un conflitto globale permanente (e come uscirne), di Alberto Saravalle e Carlo Stagnaro

Quanto la guerra sia ormai nella quotidianità dell’occidente, e dunque dell’Europa e dell’Italia, il saggio Capitalismo di guerra. Perché viviamo già dentro un conflitto globale permanente (e come uscirne), firmato da Alberto Saravalle e Carlo Stagnaro per Fuoriscena, lo dichiara fin dall’incipit. ‘’La guerra la troviamo dove uno meno si aspetterebbe”, scrivono gli autori, portando un esempio apparentemente minimo ma raggelante: “Un contratto di acquisizione concluso tra due delle principali società italiane nella primavera del 2024, per esempio, contiene una clausola che consente il recesso se scoppia un conflitto che può coinvolgere l’Italia”. Il riferimento è all’art 5 del Trattato Nato: ‘’fino a poco tempo fa queste clausole, utilizzate nei paesi in cui sono frequenti scontri armati o guerre civili, sarebbero state impensabili nell’Ue. Evidentemente non è più cosi, perché di guerra si parla ormai dovunque, apertamente, e con una leggerezza che lascia sgomenti’’.

Sta di fatto che il “rischio guerra” oggi condiziona tutta la politica economica, non solo nei paesi direttamente impegnati in conflitti, come Russia e Ucraina dal febbraio 2022, ma anche quelli che un giorno potrebbero trovarvisi coinvolti. Di conseguenza, ‘’aumenta la pervasività dell’intervento pubblico’’ nell’indirizzare il commercio, le scelte industriali e soprattutto la spesa pubblica, che cresce di pari passo con l’impegno bellico. Come d’altra parte dimostra tutto il dibattito sulla necessità di aumentare la quota di Pil destinata al riarmo: difficile stabilire se la soglia del 5 per cento del PIL sia giusta o sbagliata, di sicuro c’è solo che per alcuni paesi è una spesa sostenibile e per altri invece decisamente no. Eppure, toccherà a tutti, con conseguenze negative su investimenti e welfare.

Ma non c’è solo l’aumento delle spese militari, impennatesi come non accadeva dalla seconda guerra mondiale: il passaggio da una economia ‘’normale’’ a quella ‘’di guerra” , spiegano gli autori, avviene anche attraverso minimi cambiamenti, ‘’piccole modifiche’’ che tuttavia, in prospettiva, “finiscono per innescare cambiamenti più profondi nel funzionamento e negli obbiettivi delle nostre società”. L’industria dell’aerospazio e della difesa e per esempio, a livello globale ha registrato un aumento degli utili dell’11%. Ma al ruolo del capitalismo rispetto agli eventi bellici va data un’accezione ben diversa da quella comunemente accreditata nel secolo scorso. Se oggi non esistono gruppi industriali come erano i Krupp nel 1914, talmente potenti da spingere il proprio paese verso la guerra, e’ anche vero che non c’è più bisogno di condizionare le scelte politiche per ottenere buoni affari: è più che bastante il clima di paura ormai diffuso a livello planetario, iniziato dopo l’aggressione russa all’Ucraina e che sta crescendo in maniera esponenziale giorno dopo giorno, incentivato dalle parole di fuoco pronunciate dai leader globali e dalla conseguente risonanza sui media.

Altre conseguenze diciamo cosi collaterali: lo stato di diritto, anche in economia, che cede il passo alle esigenze di sicurezza dei paesi, per esempio nel valutare investimenti, o nel forzare aziende a cessioni. Per non dire di tutto il comparto dell’energia, toccato come nessun altro dalle esigenze di sicurezza indotte dai conflitti, o del ‘’processo involutivo’’ subito dal commercio internazionale, stravolto dalla politica dei dazi, ma anche dalle sanzioni inflitte a questo o quel paese. ‘’Non ci sono più partner, ma solo alleati -chiosano gli autori- di cui peraltro diffidare, o nemici da combattere”.  Saravalle e Stagnaro descrivono tutti i fronti del conflitto globale: dalla corsa per il controllo delle nuove e preziose materie prime alla sovranità digitale fino alle guerre commerciali di cui i dazi decisi dall’amministrazione Trump sono il momento di maggiore ostilità. Gli anni della speranza in cui alle relazioni pacifiche contribuivano anche gli scambi economici sembrano ormai passati. E si rischia che di commercio si parli solo a proposito di armi. Ma se lo stereotipo del capitalista guerrafondaio modello Krupp appartiene al passato, gli interessi economici non sono meno determinanti, anzi, spesso sono addirittura più insidiosi di una volta. Con il riarmo c’è chi come USA, Francia e Germania pensa di arricchirsi vendendo aerei e carri armati, e chi invece s’impoverisce perché è costretto a comprare. E se le parole d’ordine, in economia, diventano ‘’sicurezza’’ e dunque ‘’sovranismo”, nell’illusione che ciascuno stato possa ‘’fare da sé”; se la strategia è ‘’mors tua, vita mea’’, ritenendo che l’unica scelta possibile sia tra il sovranismo e la guerra, il rischio, avvertono gli autori parafrasando Churchill, è che se sceglieremo il sovranismo, sempre di più avremo la guerra.

Nunzia Penelope

 

Titolo: Capitalismo di guerra. Perché viviamo già dentro un conflitto globale permanente (e come uscirne)

Autori: Alberto Saravalle e Carlo Stagnaro

Editore: Fuoriscena

Data di pubblicazione: marzo 2025

Pagine: 224 pagine

Prezzo: 17,50 euro

ISBN 9791222500546

Nunzia Penelope

Nunzia Penelope

Vicedirettrice de Il Diario del lavoro

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