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Home - Approfondimenti - Analisi - Il nuovo contratto nazionale

Il nuovo contratto nazionale

31 Maggio 2004
in Analisi

di Enrico Fabbri – ricercatore Ires Toscana

Il 24 aprile è stato firmato il contratto nazionale del settore tessile abbigliamento e moda. Si tratta di un’intesa che coinvolge circa 650.000 lavoratori di imprese afferenti a Confindustria. Il 4 maggio a Confindustria si è aggiunta anche la sigla di Confapi – Uniontessile, che rappresenta piccole e medie imprese che danno lavoro a circa 80.000 addetti.

L’accordo è stato raggiunto senza ricorso ad alcuna forma di lotta da parte dei lavoratori: sono prevalse, infatti, le logiche concertative su quelle conflittuali. D’altronde, dalle pagine dell’accordo emerge più volte – in forma esplicita o implicita – il ricorso agli strumenti e alle dinamiche concertative per sciogliere i nodi del rilancio delle politiche industriali di settore, dello sviluppo socialmente ed eticamente sostenibile, della lotta alla contraffazione, alla frode e all’evasione, ma anche alle diverse forme di lavoro irregolare (a tale proposito si vedano i protocolli allegati al contratto).


Le caratteristiche che contraddistinguono l’accordo sono sostanzialmente due:


– la continuità dei contenuti del contratto precedente;


– la definizione puntuale di tutti quegli elementi che la legge 30/2003 (delega al governo in materia di occupazione e mercato del lavoro) e le fonti normative ad essa subordinate (primo tra tutti il decreto legislativo 276/2003) affidano alla contrattazione collettiva, al fine di ridurre – come affermano numerose fonti sindacali – la precarietà che connota molti dei nuovi istituti contrattuali introdotti dal Governo.


A tale proposito appare significativo che il nuovo Ccnl del settore tessile abbigliamento e moda escluda dalla regolamentazione gli strumenti più precari previsti dall’attuale legislazione: i contratti a chiamata ed intermittenti, nonché quelli a somministrazione a tempo indeterminato.


La continuità tra il Ccnl del 2000 e quello del 2003 è presente in larga parte degli articoli del nuovo accordo, tuttavia, i punti di maggior coerenza tra i due riguardano:


–                      La nascita  di un osservatorio strategico bilaterale (art.22): nel contratto nazionale del 2000 si faceva riferimento all’istituzione di un sistema informativo che attraverso “la pratica della consultazione, comunicazione e condivisione” tra i diversi attori coinvolti nell’arena delle relazioni industriali doveva condurre a convergenze nell’analisi dei problemi e nell’individuazione delle possibili soluzioni. Il sistema informativo in questione, veniva articolato su più livelli: nazionale, regionale, territoriale, locale (distretti industriali), aziendale ed – infine – il livello costituito dalle imprese a dimensione europea. Il nuovo accordo mantiene in piedi la suddivisione per livelli suddetta creando, in aggiunta, un Osservatorio nazionale di categoria. I compiti di tale struttura consistono: a) nell’analisi e nella diffusione della conoscenza del settore tessile, abbigliamento e moda mediante la produzione di rapporti periodici o singole analisi su particolari argomenti; b) nella concertazione di iniziative (tra le parti sociali) a favore della difesa e sviluppo del settore.


–                      L’istituzione di un organismo bilaterale sulla formazione (art.24): nel vecchio contratto nazionale si parla, genericamente dell’Organismo Bilaterale Nazionale chiamato a gestire il progetto pilota nazionale per la formazione degli apprendisti nell’industria tessile – abbigliamento. Nell’accordo siglato il 24 aprile l’Obn acquisisce una maggiore istituzionalizzazione: la sua denominazione diviene “Organismo bilaterale nazionale del settore tessile abbigliamento moda” (Obn – Tam) ed – al contempo – trova una puntuale definizione delle proprie attribuzioni (legate all’analisi e alla definizione delle figure professionali necessarie al funzionamento e allo sviluppo del settore nonché alla promozione delle connesse attività di formazione) e dell’assetto funzionale (attraverso una specifica delle responsabilità del Comitato d’indirizzo).


Gli elementi di originalità rispetto al vecchio contratto sono, invece, costituiti dalle questioni inerenti gli strumenti contrattuali finalizzati ad assicurare al sistema produttivo di settore la flessibilità di cui necessita.


Tale concetto compare nella duplice veste di flessibilità funzionale (il nuovo contratto definisce misure in grado di favorire l’acquisizione da parte dei lavoratori di nuove competenze e capacità, in modo da sostenere i processi di mobilità verticale, ma anche orizzontale nel mercato del lavoro) e flessibilità dell’orario di lavoro (in modo da favorire la riduzione dei costi e l’aumento di produttività da parte delle imprese). Nel nuovo contratto, infatti, i temi connessi alla flessibilità funzionale si annidano nelle questioni riguardante la formazione professionale (art. 24 e art. 32), l’apprendistato professionalizzante (art. 32) ma anche i contratti di inserimento e quelli di job sharing (art. 42).


Per quanto concerne, invece, l’orario di lavoro, il nuovo contratto conferma le 40 ore settimanali, distribuite normalmente nei primi 5 giorni la settimana, ammettendo, tuttavia, l’individuazione di adeguate e specifiche articolazioni dell’orario lavorativo a sostegno di soluzioni organizzative, in grado di migliorare il posizionamento competitivo delle imprese. Per tale ragione l’accordo fa esplicito riferimento ad altre distribuzioni d’orario nell’ambito della settimana o anche su cicli di più settimane. In particolare, sono ammesse articolazioni plurisettimanali e multiperiodali dell’orario contrattuale, che possono essere costituite anche da periodi caratterizzati da orario differente. In tali casi, l’orario lavorativo ordinario viene computato sulla base di una media calcolata su un periodo non superiore ai 12 mesi.


Queste ultime tipologie d’articolazione dell’orario dovranno essere concordate dalle parti a livello aziendale.


La flessibilità dell’orario di lavoro trova nel nuovo Ccnl un ampio sostegno attraverso una serie di strumenti tra i quali spiccano:


–                      il contratto a tempo determinato (art. 30),


–                      il contratto part-time (art. 41).


Nell’articolo 30 del vecchio Ccnl, consacrato alle forme contrattuali a tempo determinato, emerge un’affermazione che nel nuovo viene ulteriormente rafforzata (rispetto all’intesa del 2000)  attraverso la citazione di fonti europee. Nell’accordo siglato il 24 aprile si dice, infatti:


“le parti si richiamano all’accordo quadro europeo UNICE-CEEP-CES del 18 marzo 1999 in cui si prevede che i contratti a tempo indeterminato sono e continueranno a essere la forma comune dei rapporti di lavoro tra datori di lavoro e lavoratori”.


L’intento di tali dichiarazioni è quello di sottolineare “l’accessorietà” e la “secondarietà” delle diverse forme contrattuali – specialmente di quelle introdotte dalla legge 30/2003 – rispetto a quella a tempo indeterminato.


Il ricorso ai contratti a tempo determinato – rispetto a quanto stabilito dal precedente contratto nazionale – è reso possibile in una più ampia casistica: si afferma infatti che “l’assunzione del lavoratore con contratto a termine avviene a fronte di ragioni di carattere tecnico, organizzativo, produttivo o sostitutivo”. Nella sostanza, si tratta di un amplissimo ventaglio di circostanze, in grado di coprire gran parte delle prestazioni lavorative presenti in azienda.


Come nel Ccnl del 2000, il nuovo accordo prevede un tetto al numero di lavoratori inquadrati secondo tale tipologia contrattuale: si tratta dell’8% della media – calcolata nell’arco di 12 mesi (non più 6, come recitava il Ccnl del 2000) – dei lavoratori occupati dall’impresa utilizzatrice, con contratto di lavoro a tempo indeterminato.


Riguardo al part-time (art. 41) le novità più significative concernono gli sforzi orientati ad una sua regolamentazione. Si tratta di una serie di elementi sintetizzabili come segue:


– Garanzia dell’accettazione – da parte delle aziende – delle richieste di part-time con un limite dell’8% calcolato in base al personale a tempo indeterminato in forza all’azienda (in caso di oggettivi ostacoli, di carattere organizzativo, alle richieste di lavoro a tempo parziale, le parti sono chiamate ad elaborare idonee soluzioni  alternative).


– Obbligo delle imprese ad accogliere le richieste di part-time provenienti dai lavoratori motivate da gravi  e comprovati problemi di salute del richiedente, oppure dalla necessità di assistenza del coniuge o dei parenti di primo grado, ovvero per favorire la frequenza di corsi di formazione inerenti le attività aziendali, ove ciò non osti all’infungibilità delle mansioni svolte.


– Possibilità di superare il suddetto limite dell’8% nel caso in cui la richiesta provenga da lavoratori affetti da patologie oncologiche o colpiti dagli effetti invalidanti di terapie salva-vita (accertati dalle preposte commissioni mediche delle ASL).


– Diritto alla non sottoscrizione o sospensione delle cosiddette clausole elastiche (accordi scritti tra lavoratore ed azienda che consentono la variabilità della prestazione lavorativa anche attraverso la trasformazione del part-time orizzontale in verticale e viceversa, ovvero in un sistema misto) in caso di richiesta di orario a tempo parziale per gravi motivi di salute o di famiglia.


Accanto a tali strumenti – orientati ad assicurare la flessibilità dell’orario tutelando, al contempo, i diritti dei lavoratori – il nuovo contratto nazionale affronta anche il tema dei contratti d’inserimento (introdotti dal decreto legislativo n. 276/2003).


Come recita la normativa, il contratto di inserimento è finalizzato a realizzare, attraverso un progetto individuale di adattamento delle competenze professionali del lavoratore ad un determinato contesto lavorativo, l’inserimento o il reinserimento nel mercato del lavoro. I soggetti interessati da tale tipologia contrattuale sono diversi, tra cui spiccano i giovani di età compresa tra i diciotto e ventinove anni; i disoccupati di lunga durata (da ventinove a trentadue anni); i disoccupati con più di cinquant’anni di età; le donne residenti in aree geografiche caratterizzate da tassi di occupazione / disoccupazione critici; soggetti in cerca di lavoro che non abbiano lavorato per un periodo non inferiore ai due anni; soggetti affetti da gravi handicap fisici / mentali o psichici. Il contratto in questione deve essere formulato in forma scritta e deve contenere il progetto individuale, mediante il quale sarà garantito l’adeguamento delle competenze professionali attraverso la valorizzazione delle professionalità già acquisite. Il progetto – la cui durata complessiva non può essere inferiore ai nove mesi – deve contemplare anche dei percorsi formativi. A tale proposito il nuovo Ccnl stabilisce, come durata minima dei percorsi formativi, il limite delle 16 ore.


Le parti, inoltre, approfittando dei rimandi che il decreto legislativo 276/2003 fa alla contrattazione collettiva, definiscono nel dettaglio gli elementi che dovranno caratterizzare i contenuti dei contratti di inserimento (durata, orario di lavoro, inquadramento del lavoratore, etc.) nonché le caratteristiche del progetto individuale di inserimento / reinserimento che obbligatoriamente deve essere allegato al contratto medesimo. Infine, il nuovo Ccnl prevede anche la possibilità di estendere ai lavoratori titolari di contratti d’inserimento i premi di risultato: a tale proposito si rimanda alla contrattazione aziendale.


Per quanto concerne l’apprendistato, il contratto prevede una regolamentazione della materia transitoria, in attesa che la legge sull’apprendistato professionalizzante divenga esecutiva.


Degna di nota, risulta anche la nuova sezione del Ccnl dedicata al telelavoro, in cui tale modalità lavorativa viene definita e normata, con particolare riferimento ai diritti e doveri del lavoratore e dell’azienda. In particolare, si sottolinea la volontarietà reciproca delle parti (datore di lavoro e lavoratore) nella realizzazione di tale modalità lavorativa.


Il nuovo contratto nazionale opera anche sul fronte del rafforzamento dei diritti: le principali novità concernono la parificazione tra operaie ed impiegate, relativamente alla copertura retributiva inerente il periodo di astensione per maternità. Infatti, a partire dal gennaio 2005 le operaie, durante il periodo della maternità, passeranno dal 90% della propria retribuzione normale al percepimento del 100%.


Infine, le questioni salariali. Il nuovo contratto nazionale del settore tessile abbigliamento e moda dimostra una buona capacità di tutela del potere di acquisto dei lavoratori prevedendo incrementi salariali medi pari a 87 euro per il terzo livello super; 85 euro per il terzo livello; 81,50 euro per il secondo livello super ed – infine – 79 euro per il secondo livello. Tali aumenti contrattuali trovano applicazione mediante un sistema di scaglioni che vede l’acquisizione in busta paga del 40% dei suddetti aumenti a partire dal 1/4/04 del successivo 30% a partire dal 1/1/05 e del restante 30% dal 1/8/05.

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