di Mario Ricciardi – Docente di relazioni industriali all’Università di Bologna
L’ipotesi di accordo per il CCNL del comparto sanità valida per il quadriennio 2002-2005 è stata sottoscritta l’undici dicembre, (dopo che una pre-intesa era stata siglata il 25 novembre), a conclusione di una trattativa serrata, e per alcuni aspetti emblematica della non facile congiuntura che attraversano le relazioni sindacali, non solo del settore pubblico, nel nostro paese.
Di per sé, il contratto del comparto Sanità (che comprende il personale sanitario e tecnico-amministrativo, ma non i medici, che appartengono all’area della dirigenza) non sembrava presentare problemi di straordinaria portata. L’intiera tornata contrattuale di questo quadriennio nel pubblico impiego, del resto, avrebbe potuto e forse dovuto essere prevalentemente dedicata più che altro alla manutenzione delle vaste riforme introdotte per contratto nel quadriennio precedente su temi cruciali come l’inquadramento professionale, le relazioni sindacali, la flessibilità del lavoro. In una situazione normale, le parti avrebbero potuto limitarsi ad aggiornare le retribuzioni seguendo le regole del protocollo del 1993, verificare e correggere quegli aspetti normativi che avevano funzionato peggio, introdurre i cambiamenti resi necessari da alcune innovazioni legislative.
Se così non è stato, o è stato solo in parte, lo si deve ad una serie di fattori, in parte esterni, in parte interni al sistema delle relazioni sindacali, che hanno contribuito a rendere più complessa la situazione.
La prima questione che ha complicato la soluzione della trattativa è stata d’ordine economico-salariale. Da un lato occorre ricordare che il contratto, formalmente scaduto a fine 2001, è stato rinnovato solo nel dicembre 2003. Al di là della lunga “vacanza” contrattuale, peraltro in larga misura sdrammatizzata, nel pubblico impiego, dal decorrere degli effetti economici del contratto dal primo giorno del quadriennio, c’è il fatto che il rinnovo contrattuale ha coinciso con una fase di forte crescita dei prezzi al consumo, e di assoluta debolezza, per non dire di abbandono, di una politica dei redditi seriamente concertata. L’allargarsi della forbice tra l’inflazione programmata e quella effettivamente in corso ha indotto le organizzazioni sindacali ad accrescere le rivendicazioni salariali, considerando anche il rischio, verificatosi in altri settori, dello scatenarsi di conflitti non controllabili. A ciò si aggiunga che nel settore sanitario vi è, non da oggi, una notevole difficoltà a reperire nel mercato del lavoro alcune professionalità necessarie, e ciò determina ovviamente tensioni salariali maggiori che in altri comparti
Tali rivendicazioni si sono scontrate, peraltro, con la fase estremamente difficile che attraversa la finanza pubblica, nazionale e in particolare regionale. La trattativa si è sviluppata tardi, rispetto ai tempi fisiologici (l’atto d’indirizzo del comitato di settore è giunto all’Aran soltanto alla fine di luglio 2003, e i tempi della trattativa sono stati estremamente serrati) anche perchè fino alla preparazione della finanziaria per il 2004 non era affatto certo che le Regioni avrebbero potuto contare, per il contratto, su risorse analoghe a quelle disponibili per i comparti dello stato. Ma anche così, le rivendicazioni salariali hanno richiesto l’impiego di ulteriori risorse messe a disposizione dalle Regioni, risorse rintracciate, non bisogna dimenticarlo, dentro bilanci quasi sempre in profondo rosso.
Il secondo aspetto di difficoltà della trattativa è connesso con il decollo del federalismo (anche) contrattuale. E’ ben noto che l’entrata in vigore della riforma del titolo quinto della Costituzione ha risvegliato in molti protagonisti delle relazioni sindacali un’urgente voglia di federalismo. Il problema è che nessuno è davvero in grado di dire cosa davvero sia, questo federalismo, quali siano i suoi connotati e i suoi limiti. Se esso debba coincidere, ad esempio, con la fine precoce del contratto nazionale, o se,più opportunamente, sia utile iniziare a progettare un sistema contrattuale che, mantenendo gli elementi di unità e di solidarietà garantiti dal contratto nazionale, rafforzi la contrattazione decentrata. Su tutto questo è in corso, com’ è noto, un dibattito finora piuttosto inconcludente, perché il quadro istituzionale è ancora contraddittorio, e perché i vari soggetti sono incerti e divisi sul da farsi. Il federalismo più radicale che piace ad alcune regioni e ad una parte della maggioranza di governo di scontra peraltro non solo con le molte opinioni dissenzienti, ma anche contro una congiuntura economico finanziaria che determina, in realtà, assetti ultracentralizzati della finanza pubblica in funzione di controllo della spesa.
Fatto sta, comunque, che nel caso di specie le Regioni hanno voluto riconfermare il loro ruolo centrale nella contrattazione nel settore. Ciò è avvenuto, da un lato, attraverso lo stretto rapporto instaurato durante la trattativa tra il comitato di settore composto dalle Regioni e l’Aran, e dall’altro stabilendo per contratto un ruolo guida delle Regioni stesse rispetto alla contrattazione integrativa. Non si tratta dell’istituzione di un ulteriore livello contrattuale, ma della possibilità per le Regioni di inviare atti d’indirizzo alle proprie Asl per lo svolgimento della contrattazione integrativa su materie come l’istituto della produttività, o le variazioni dei fondi in caso di mutamenti degli organici.
Per il resto, la struttura contrattuale non è cambiata granchè rispetto al passato, ed è interessante notare che ciò è dovuto non tanto alla difesa delle proprie prerogative da parte dei negoziatori nazionali, quanto piuttosto ad una certa diffidenza che gli stessi sostenitori del federalismo contrattuale sembrano nutrire verso il concreto svolgimento delle relazioni sindacali decentrate, e sulla stessa propria capacità di resistere alle pressioni sindacali in sede locale. Ciò si traduce, paradossalmente, in una ricerca di vincoli da imporre alla contrattazione integrativa attraverso il CCNL,(per quanto riguarda ad esempio l’uso dei fondi), con una certa evidente contraddizione tra la teoria e la pratica.
Per quanto riguarda i contenuti, la nuova ipotesi di accordo presenta alcuni interessanti aspetti innovativi su diverse questioni, che toccano da vicino il funzionamento della sanità nel nostro paese.
Come si è detto, un efficiente funzionamento del sistema sanitario deve fare i conti con la difficoltà di reclutare personale infermieristico specializzato, e di impiegarlo con la flessibilità necessaria in un’ organizzazione del lavoro che, come è noto, non può mai avere momenti di sosta. Per questo, proprio sul personale infermieristico si concentra, non solo a partire da questo contratto, un’attenzione particolare. Nell’ipotesi di accordo ora sottoscritta si è aumentato l’importo delle indennità dovute per il lavoro festivo e notturno, e si sono create nuove indennità per compensare coloro che svolgono funzioni di particolare rilievo sociale , come gli addetti ai servizi delle tossicodipendenze, o coloro che svolgono attività di assistenza domiciliare. Si è inoltre aperta la possibilità, per le amministrazioni, di attivare procedure di progressione verticale (verso la categoria immediatamente superiore) per il personale infermieristico con funzioni di coordinamento (in pratica, le caposala) e per gli infermieri generici. Gli infermieri professionali erano già stati “promossi”, come è noto, nel precedente quadriennio contrattuale
Accanto a questi aspetti, che tendono a valorizzare il ruolo del personale, ve ne sono poi altri che tendono invece a soddisfare alcune esigenze delle aziende. L’articolo 21 dell’intesa affronta il tema della mobilità. Le aziende infatti svolgono spesso attività di formazione per i propri dipendenti, investendo rilevanti risorse. Per avere un “ritorno” certo, per di così, di tale investimento, si è stabilito che il personale che usufruisce di iniziative di formazione particolarmente qualificate non possa accedere alla mobilità volontaria per la durata di un biennio. Sempre in materia di mobilità, si è stabilito che “in caso di perdurante situazione di carenza di organico” anche il personale neo assunto non possa accedere alla mobilità prima di un biennio dall’assunzione. Tale ultima norma è soggetta a verifica delle parti al termine del quadriennio, e decadrà, in assenza di un ulteriore accordo, alla fine del 2006.
Altro tema d’interesse dell’amministrazione, perché tende a fronteggiare quella che sta diventando, soprattutto in alcune situazioni, una vera e propria emergenza, riguarda il part time. Qui il precedente contratto (7 aprile 1999) stabiliva che potesse accedere contemporaneamente al part time non più del venticinque per cento dell’organico aziendale. In numerosi casi, tuttavia, la massiccia richiesta di accesso al part time orizzontale da parte del personale infermieristico ha reso estremamente difficile la composizione dei turni e svuota l’istituto della pronta disponibilità. L’art 22 della nuova ipotesi di accordo stabilisce che la predetta percentuale del 25 per cento venga distribuita “tra i profili in contrattazione integrativa, tenuto conto, prioritariamente, delle esigenze di servizio e delle carenze organiche dei profili stessi” privilegiando il tempo parziale verticale, che consente di impiegare tale personale nei turni. Inoltre, si afferma la possibilità che il personale in part time orizzontale possa essere utilizzato per i turni di pronta disponibilità.
Sulle questioni che avevano costituito i pezzi forti dello scorso quadriennio contrattuale, occorre distinguere. Il sistema delle relazioni sindacali è stato praticamente confermato integralmente, eccezion fatta per la già ricordata aggiunta del coordinamento regionale. Si tratta di un fatto piuttosto rilevante, perché la conferma e il consolidamento delle relazioni sindacali inaugurate sul finire del decennio scorso poteva non apparire scontata, nel clima poco concertativo di questi ultimi anni. Le parti hanno invece scelto, correttamente, di seguire in tutti i principali contratti la strada tracciata dall’accordo governo sindacati del febbraio 2002. In questo quadro appare ancora più singolare l’eccezione rappresentata dal comparto della scuola, in una vicenda che abbiamo già commentato su queste colonne.
Correzioni abbastanza significative sono state invece apportate al sistema dell’inquadramento professionale. Innanzitutto sono state esplicitate e rese più chiare alcune regole di funzionamento rivolte ad evitare i più clamorosi difetti applicativi della trascorsa tornata di contratti decentrati. All’articolo 8 dell’intesa si sottolinea infatti la necessità che la contrattazione integrativa debba valorizzare principi come il rispetto delle percentuali di accesso dall’esterno, l’esclusione di automatismi generalizzati e basati solo sull’anzianità di servizio, il rispetto della provenienza del personale dal livello economico immediatamente inferiore. Per quanto riguarda i “ritocchi” al sistema di classificazione essi possono essere ridotti all’istituzione di un’ulteriore fascia retributiva nelle diverse qualifiche, e nell’istituzione di alcuni nuovi profili nella categoria C. Quanto ai passaggi di categoria si è già detto delle indicazioni del contratto circa il personale sanitario. A questo va aggiunto peraltro che il CCNL ha messo a disposizione risorse per consentire “processi di sviluppo professionale orizzontale e verticale nonché il riconoscimento di posizioni organizzative”. Nel complesso, insomma, in un contratto che mantiene un tasso di centralizzazione forse ancora troppo elevato (si veda ad esempio la differenziazione a livello nazionale dei fondi, che in altri contratti sono invece unificati) ha tuttavia trovato significative risorse per fornire alle amministrazioni ulteriori spazi di gestione del personale.
Un articolo del contratto riguarda la formazione obbligatoria, di cui viene confermata la duplice obbligatorietà (per le aziende di finanziarla/effettuarla, per i dipendenti di parteciparvi), prevedendo una penalizzazione di carriera per quei lavoratori che ingiustificatamente non ne usufruiscono. Altri capitoli riguardano le sanzioni disciplinari e il mobbing. Temi nuovi, sui quali le norme del contratto ripetono pressochè integralmente le clausole già introdotte nel contratto dei ministeri.
Si tratta, nel complesso, di un contratto per certi aspetti tradizionale, per altri innovativo. Particolarmente urgente appare nel settore, caratterizzato da una normativa quanto mai intricata e complessa, il lavoro di riordino che dovrà portare all’elaborazione di un testo unico delle norme contrattuali.
Al momento in cui scriviamo, l’ipotesi di accordo, approvata dal comitato di settore, è in attesa dell’approvazione del governo, e successivamente della certificazione della Corte dei Conti. Quando l’iter sarà concluso, si sarà raggiunta un’intesa cruciale in un settore delicatissimo e centrale del welfare, con un vasto consenso. Un fenomeno in controtendenza, guardando come vanno le cose oggigiorno.