Raffaella Vitulano
Di circa 1822 imprese che cadrebbero nel campo di applicazione della direttiva sui comitati aziendali europei solo 670 hanno un Cae. Meno della metà (il 37%) delle multinazionali interessate, dunque, possono contare su un comitato aziendale europeo. Il dato tuttavia – riportato da Claudio Stanzani, presidente di Sindnova, in un dossier all’ Assemblea nazionale dei delegati Cisl nei Cae – si associa anche ad una crescita costante dal ’94, anno della direttiva comunitaria, segnata da un picco nel ’95-’96, biennio caratterizzato dai primi accordi volontari. L’Italia é in una posizione di prima linea rispetto ad altri paesi: membri in rappresentanza di lavoratori italiani sono presenti in oltre 350 comitati aziendali europei, e ben 30 sono i Cae a casa madre italiana costituiti sulla base dell’accordo interconfederale del ’96 o del decreto di recepimento di quest’anno. Le multinazionali, insomma, non dispiacciono ai lavoratori italiani, che riuscirebbero anche a consolidare una discreta presenza all’interno dei Cae, se non fosse per diversi problemi, messi ieri al centro del confronto. E mentre occhi a mandorla asiatici – ha rimarcato il segretario confederale Pier Paolo Baretta – osservano con interesse i Cae, e quelli statunitensi li snobbano come legacci ingombranti, lo scenario odierno si complica sempre più.
Il segretario generale della Cisl, Savino Pezzotta , che ha chiuso l’Assemblea, ha ricordato che il sistema di relazioni industriali oggi deve confrontarsi con delocalizzazioni e internazionalizzazioni dei mercati che ne rendono indispensabile il ripensamento del suo modello.
E riecco il glocal : le relazioni industriali, così, si trovano comprese (e compresse) tra lo spazio della contrattazione decentrata (localismo) e la dimensione internazionale dei cicli produttivi (globalizzazione). “La democrazia economica non è elargizione” tuona Pezzotta, e dunque sarà ora che gli imprenditori mettano una buona volta in pratica una direttiva spesso trascurata, forse anche per scarsa conoscenza dei contenuto.
E questo pone nuove riflessioni su temi, come quelli ricordati da Baretta, del ruolo effettivo negoziale e contrattuale dei Cae in rapporto al sindacato (“dibattito ineludibile”) e sul modello di rappresentanza.
Gli strumenti giuridici offerti dall’Europa ai lavoratori e ai loro rappresentanti, del resto, oggi non mancano. E sono essenzialmente tre, in tema di partecipazione: la direttiva sui Cae; quella sull’informazione e consultazione dei lavoratori; quella sullo Statuto di società europea. Certo, metterli in pratica nella vita di tutti i giorni (v. box a lato) non è assolutamente facile. Ma si spera che più incontri come quelli di ieri serviranno a mettere sempre più in evidenza i punti critici e a confrontare e coordinare il lavoro di delegati Cae e sindacalisti delle varie federazioni di categoria. Il loro lavoro è delicato e complesso, e forse per questo numerosi accordi Cae attendono di essere rinegoziati.
In attesa della imminente revisione della direttiva (su cui si farà il punto sindacale in una Conferenza Ces in Danimarca a novembre) ci si interroga se sia necessario rivedere la soglia di applicazione di un Cae (da 1.000 a 500 dipendenti). Ma questo apre ad una doverosa verifica di capacità gestionale ed organizzativa, e rischia forse di aprire troppo- è stato sottolineato – ad un “aziendalismo” europeo creatore di Cae negoziati senza alcuna influenza sindacale. Eppure oggi, il sostegno e la formazione ai Cae da parte delle Federazioni sindacali europee, è notevole: si va dal 25% dei metalmeccanici e dei sindacati dei servizi, al 20% dei chimici-tessili, al 9% dei sindacati agroalimentari.
E laddove i Cae cominciano a diventare una doverosa necessità, come nei paesi dell’Est europeo, altre difficoltà all’orizzonte: il timore di legittimare delocalizzazioni non condivise fa sì che solo tra il 10 e il 30% delle multinazionali con filiali in un Paese candidato abbiano un rappresentante di questi Paesi nel Cae. Molto da migliorare nel rapporto con le imprese, dunque, ma anche un’attenta e sincera analisi da parte dei lavoratori potrà aiutare uno strumento prezioso come i comitati aziendali europei. Dubbi e speranze nei numerosissimi interventi all’Assemblea. Interventi appassionati, sinceri, liberi da pregiudizi e a ruota libera: segno di un’attenzione seria ad uno strumento comunitario che potrebbe aiutare eccome nella gestione di crisi derivanti da delocalizzazioni. Una multinazionale decide di spostarsi in un paese a minor costi di produzione? Sse va bene farà una consultazione coi dipendenti, se va maluccio si limiterà ad informarli, se va malissimo li ignorerà del tutto. Ma potrà farlo impunemente? Fausta Guarriello , giurista, ricorda le possibili sanzioni – previste da un recente provvedimento – emanabili dal Direttore generale per le condizioni di lavoro, presso l’omonimo ministero, in caso di fallimento di conciliazione amministrativa. E’ già qualcosa. Molti gli altri problemi sollevati negli interventi: quelli linguistici, ovviamente, basilari. Ma anche altri: i rapporti con le altre sigle italiane; l’esiguo numero di riunioni Cae (in genere uno l’anno); lo scarso spazio di confronto con le aziende; le quote femminili; la labile distinzione tra informazione e consultazione; la difficile esigibilità dei diritti; i nuovi spazi di contrattazione; i rapporti con i Segretariati europei (categorie).

























