Gli ultimi dati sul mercato del lavoro privato, quelli salariali del 2018 e 2019 e lo stato dell`occupazione nel 2020, restituiscono una fotografia che contribuisce a sfatare il mito della cittadella dei “garantiti” contro la sterminata marea dei “non garantiti”. Una lettura delle statistiche sulle diverse tipologie lavorative che tiene insieme non solo gli aspetti retributivi, ma anche le tutele sociali, evidenzia come la gran parte dei lavoratori non è nella “zona verde” che produce le migliori condizioni possibili sia retributive che sociali. Si tratta di circa 10 milioni di lavoratori ancora senza vaccino contro la povertà, rileva un`analisi elaborata da Nidil-Cgil.
Se infatti una buona parte del lavoro dipendente a tempo indeterminato full time, circa 6,3 milioni di lavoratori, si trova comunque in una “zona bianca” con salari medi buoni (36mila euro lordi) e buona copertura in termini di diritti previdenziali e sociali, il lavoro dipendente a tempo indeterminato, ma part-time, e quasi tutto il lavoro a termine, compresi i lavoratori in somministrazione con bassa discontinuità lavorativa, soffre salari più bassi (18 mila euro lordi), coperture previdenziali e sociali di ridotta durata e portata. Una “zona gialla” che comprende circa 4,4 milioni di persone.
Secondo Nicolò Giangrande, della fondazione Di Vittorio, “dall’analisi delle dinamiche del mercato del lavoro italiano emerge come l’occupazione a termine, in particolare quella part-time, svolga la doppia funzione di locomotiva nei momenti di maggiore crescita occupazionale e di ultima carrozza nei momenti di maggiori difficoltà per il mercato del lavoro. I lavoratori più precari hanno pagato la crisi economica del 2008 e adesso pagano la crisi pandemica del 2020”.
Ancora più svantaggiata la quasi totalità dei lavoratori cosiddetti parasubordinati con contratti di collaborazione coordinata e continuativa, la parte di lavoro subordinato soggetto a forte discontinuità, e le partite Iva individuali. Una “zona arancione” con salari o compensi bassi (sotto i 18mila euro lordi) e ridotte coperture previdenziali e sociali, composta da oltre 4 milioni di lavoratori. Infine, oltre 2 milioni tra lavoratori subordinati intermittenti e discontinui, di collaboratori autonomi occasionali, lavoratori sportivi e tirocini extracurriculari. Una “zona rossa” con salari o compensi estremamente bassi (sotto i 10mila euro lordi) e nessuna copertura previdenziale e sociale.
La pandemia, da questo punto di vista, ha avuto un effetto disvelatore: per assicurare la copertura seppur parziale, ma preziosa, a milioni di lavoratori esclusi dalle forme classiche di sostegno al reddito sono state previste circa 20 differenti forme di indennità. Milioni di persone che, altrimenti, sarebbero rimaste senza sostegno perché a tempo determinato, perché autonomi o perché invisibili alle banche dati dell’istituto della previdenza sociale come i collaboratori autonomi occasionali o gli sportivi.
“Se tutto questo è vero – commenta Andrea Borghesi, segretario generale di NNidil-Cgil – non possiamo uscire dalla pandemia esattamente come ci siamo entrati: precarietà, bassi salari, ridotte protezioni sociali per milioni di persone che ogni giorno contribuiscono con il loro lavoro alla ricchezza del paese e che nonostante ciò sfiorano o sono dentro l`area della povertà. Non abbiamo bisogno di ulteriore flessibilità o di riaprire ai licenziamenti ma di una riforma che abbia al centro il lavoro di qualità; tra quelle previste del Pnrr non c`è e questo, visti i dati, è quantomeno singolare. C`è da allargare il campo delle tutele – prosegue – e puntare a portare tutti in zona bianca o almeno in zona gialla”.
Per Nidil si deve intervenire sui fattori che creano questa situazione con interventi di riforma mirati, che riducano i gap esistenti: tipologico (troppe tipologie di rapporti di lavoro), salariale (compensi medi troppo bassi) e sociale (tutele scarse o nulle). Una situazione che riguarda i particolare i giovani sotto i 35 anni che vivono condizioni salariali e di tutela nettamente inferiore agli altri. E’ necessario, inoltre, intervenire anche sul versante salariale-retributivo con una legge sulla rappresentanza che definisca i soggetti titolari della contrattazione (dei lavoratori e delle imprese) ed estenda il valore dei contratti da questi sottoscritti. Così si ridurrebbero i contratti esistenti e si definirebbero le stesse regole per tutti, evitando la concorrenza sleale tra le imprese e le differenti retribuzioni tra i lavoratori.
TN