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Home - Rubriche - Giurisprudenza del lavoro - Aggredita e uccisa per un “raptus passionale” mentre va a lavorare

Aggredita e uccisa per un “raptus passionale” mentre va a lavorare

di Biagio Cartillone
7 Gennaio 2022
in Giurisprudenza del lavoro
Il nuovo istituto del congedo per le lavoratrici-donne vittime di violenza

La corte di appello, riformando la sentenza del tribunale ha rigettato la domanda di una madre volta ad ottenere la rendita ai superstiti per l’infortunio in itinere occorso alla figlia, aggredita e uccisa mentre si recava al lavoro. La corte di appello ha rigettato la domanda della madre perché l’aggressione mortale era da ascriversi a un raptus passionale dell’aggressore, conosciuto dalla lavoratrice in chat, condannato a pena detentiva per omicidio premeditato; nella specie, pr la corte di appello era da escludersi la configurabilità di un infortunio in itinere suscettibile di tutela assicurativa.

La madre, si è rivolta alla Cassazione assumendo che la corretta interpretazione delle norme avrebbe dovuto far ritenere provata la vera e propria occasione di lavoro tra evento e percorso per recarsi al lavoro e non una mera coincidenza topografica e cronologica, per esservi tutti gli elementi dimostrativi della circostanza che la povera figlia lavoratrice sarebbe stata ancora viva se quella mattina non si fosse recata al lavoro o non avesse percorso quella strada; si assume, inoltre, come acquisita la piena prova dell’attività lavorativa come specifica condizione che aveva reso possibile l’omicidio, in considerazione della particolarità dei luoghi poco frequentati al momento dell’appostamento, dell’orario, di primissima mattina, e della conoscenza degli stessi da parte dell’omicida che, per tali ragioni, aveva potuto agire indisturbato e pianificare la sua azione delittuosa.

I motivi dell’impugnazione però non sono stati ritenuti dalla Cassazione tali da poter incrinare la decisione impugnata della corte di appello.

Nel rigettare l’impugnazione, la cassazione ha affermato che l’art. 12 del d.lgs. n. 38 del 2000, che ha disciplinato l’infortunio in itinere nell’ambito della nozione di occasione di lavoro di cui all’art. 2 del d.P.R. n. 1124 del 1965 – prevede “la necessità non solo della causa violenta ma anche della occasione di lavoro, con la conseguenza che, in caso di fatto doloso del terzo, la tutela è esclusa al venir meno dell’occasione di lavoro in quanto il collegamento tra evento e normale tragitto casa-lavoro diventa marginale e basato esclusivamente su una mera coincidenza cronologica e topografica, come nel caso in cui il fatto criminoso sia riconducibile a rapporti personali, tra aggressore e vittima, estranei all’attività lavorativa.”

Richiamando anche la precedente giurisprudenza delle sezioni unite della cassazione, si riconferma il principio che “il fatto doloso del terzo esclude l’infortunio indennizzabile soltanto se la finalità dell’azione delittuosa sia estranea al lavoro, per essersi ingenerate situazioni di pericolo individuale alle quali la sola vittima è, di fatto, esposta ovunque si rechi o si trovi, indipendentemente dal percorso seguito per recarsi al lavoro, mentre non lo esclude se persiste tra comportamento del terzo ed evento un collegamento funzionale con l’attività di lavoro, anche a prescindere da qualsiasi coincidenza cronologica e topografica.

Vale la pena di puntualizzare che per le aggressioni subite dal lavoratore, e dalla lavoratrice, durante il tragitto casa-lavoro, il comportamento del terzo costituisce una delle componenti causali dell’infortunio e l’aggressione non fa venire meno l’occasione di lavoro in quanto essa costituisce il fattore causale dell’infortunio reso possibile o comunque agevolato dal fatto che la vittima si trovi a percorrere il tragitto naturale, vale a dire obbligato per raggiungere la sede lavorativa e, come tale, appunto, protetto dalla tutela assicurativa apprestata dall’ordinamento.”

Per la Cassazione l’atto doloso del terzo “spezza il nesso di occasionalità indispensabile ai fini della tutela, perché lo spostamento per motivi di lavoro rappresenta una mera coincidenza per essere la vittima esposta, di fatto, all’intento criminoso, ovunque si rechi o si trovi. Il discrimine per la protezione assicurativa del lavoratore aggredito nel percorso obbligato tra casa e sede lavorativa è dunque che il tragitto per o dalla sede lavorativa abbia semplicemente costituito il nesso di occasionalità necessaria con comportamenti del terzo sfociati in episodi delittuosi diretti a colpire vittime di un intento criminoso scelte a caso, agevolandoli o rendendoli possibili, mentre non costituisce evento protetto, meritevole della protezione assicurativa e solidaristica, la situazione di pericolo individuale che abbia esposto all’azione delittuosa dell’aggressore la sola vittima, per effetto dei rapporti interpersonali e, dunque, extralavorativi. Il percorso che separa l’abitazione della lavoratrice dal luogo di lavoro, il normale percorso obbligato per svolgere la prestazione, rientra nella protezione riconosciuta dalla legge che estende la tutela a tutti gli eventi in qualche modo collegati con la necessità del lavoratore, e della lavoratrice, di trovarsi nella situazione di rischio per obblighi nascenti dal contratto di lavoro coesistendo, dunque, la causa violenta e l’occasione di lavoro come fattore causale dell’infortunio, reso possibile o agevolato dalla presenza della vittima malcapitata, in un determinato posto, per ragioni lavorative.”

Ed ancora “la non estraneità dell’autore dell’efferato delitto e il movente personalizzato e non indiscriminato, diretto a colpire esclusivamente la vittima designata e non chiunque si fosse recato al lavoro quella mattina, hanno reciso qualsivoglia nesso con l’attività lavorativa e fatto assurgere a marginale il collegamento tra il tragico evento occorso e il tragitto obbligato.”

La suprema corte, a chiusura del suo ragionamento giuridico, ritiene che “In conclusione, agli effetti della protezione assicurativa l’aggressione è sempre ricompresa nell’occasione di lavoro anche quando non possa essere ricollegata, neppure indirettamente all’attività lavorativa svolta dall’assicurata, con l’unico limite dell’ipotesi in cui l’aggressione sia da ricollegarsi a ragioni extraprofessionali o a particolari rapporti tra vittima e aggressore, nel qual caso le circostanze lavorative costituiscono solo una delle possibili opportunità per porre in atto il movente delittuoso e perpetrare l’azione criminosa e tanto esclude che l’aggressione possa costituire evento protetto.” Cassazione Civile Sezione lavoro n. 31485

Biagio Cartillone

Biagio Cartillone

Biagio Cartillone

Avvocato, Giuslavorista del Foro di Milano - www.biagiocartillone.it

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