Lo scorso Capodanno il trapper romano Tony Effe è stato escluso dalla scaletta per i festeggiamenti al Circo Massimo di Roma perché i suoi testi sarebbero sessisti e misogini. Una pioggia di fischi all’indirizzo del promotore dell’evento, il sindaco Roberto Gualtieri, da destra a sinistra, in un caso o nell’altro: hanno invitato un bad boy che incita a menare le donne!, no, peggio: lo hanno escluso dalla scaletta del concerto censurando il libero pensiero! Gualtieri ha fatto uno slalom tra le polemiche e ha così chiosato prima di tornare ad occuparsi di cantieri da vero umarell : “Nel momento in cui è risultato evidente che quella scelta avrebbe diviso la città e urtato la sensibilità di tanti, abbiamo ritenuto opportuno chiedere un passo indietro perché per noi, il concerto di Capodanno, deve unire e non dividere la cittadinanza”.
Verrebbe pure un po’ da dire che mica siamo così cretini, noi del pubblico, a farci persuadere dai testi di una canzone (nessuno, a quanto pare, si è mai immedesimato in un trottolino amoroso) e non è propriamente Tony Effe a rinfocolare l’orrore di una cultura patriarcale e sessista. Ormai siamo così ossessionati dalla ricerca del villain di turno e dal cercare di ripulire la fedina penale del nostro retaggio culturale che ci siamo dissociati dal senso profondo della realtà.
Nel caso specifico, il problema non è la pretestuosa caccia al Diddy tricolore, ma che abbiamo la memoria corta (o la coscienza sporca). Lo vediamo tutti i giorni – più dei nostri genitori, figli o amici -: siede alla destra della Madre, alcuni di noi lo hanno votato, tifa Milan, non mangia la farina di grillo e si chiama Matteo Salvini. Flashback: anno domini 2016, siamo a Soncino, in provincia di Cremona, e il leader maXimo se la divertiva sul palco dando della bambola gonfiabile a Laura Boldrini. Ovazione della folla, giubilo degli accoliti. Non un Circo Massimo, ma un circo e basta. Ma sono le canzoni a fare male, eh.
Eppure Salvini continua a giocare allo sceriffo della morale, perché nella sua contea non si sgarra e si fila dritto. Anche se non è stato promotore della polemica contro Tony Effe, sa bene quanto sia eversivo il potere dell’arte e di quanto questo sia politico. Motivo per cui sono state annunciate in conferenza stampa nella sala Nassirya al Senato tre proposte di legge che prevedono la reclusione da un anno e mezzo a tre anni per chiunque, con qualsiasi mezzo e con qualsiasi forma di espressione, pubblicamente istiga i minori a commettere delitti inneggiando alla cultura mafiosa (annuncio rafforzato dalla presenza di Daniela Di Maggio, madre di Giogiò, Giovanbattista Cutolo, il musicista ucciso a Napoli nel 2023). Una lettura pretestuosa, dacché l’istigazione è un atto intenzionale e non c’è evidenza alcuna che nelle espressioni artistiche lo sia.
Nel dettaglio, uno dei due ddl prevede l’introduzione nel codice penale, attraverso l’articolo 416-bis.2, del reato di “propaganda e istigazione a delinquere con metodo mafioso in danno di minori”. Nel mirino ancora la musica: “Ci sono alcune canzoni che inneggiano, ‘vieni con noi’, che parlano del detenuto, canzoni neomelodiche che consigliano di comprare le armi per essere sicuri anche in modo illegale”, ha spiegato il senatore leghista Gianluca Cantalamessa, primo firmatario del testo. In pratica, se cancelliamo queste canzoni torna l’arcobaleno.
Ma non solo: con il ddl si criminalizzano (sic!) anche le fiction. Ed eccoci alla magnifica ossessione di Salvini. A cosa si fa riferimento? A Gomorra, ovviamente! O meglio, a Roberto Saviano, ovviamente! “La fiction Gomorra non ha modelli positivi, mentre quando eravamo piccoli c’era il buono e il cattivo e quindi il bambino sceglieva. In queste fiction non c’è il modello positivo, sono tutti i cattivi”. Poco poco era l’obiettivo dell’autore, no? A meno che Saviano (e i suoi sceneggiatori) non siano l’anticristo, il fine è quello della denuncia, non dell’educazione morale. Ma poi i buoni, i cattivi… anche i Puffi offrono una lettura più tridimensionale di quella di Salvini (secondo una teoria sono gli sgorbi blu a incarnare il male e a dare il tormento al povero Gargamella).
E come la mettiamo con l’altra magnifica ossessione contro la cultura woke, la libertà di parola e di espressione? Al netto che sia utile invocarla solo per sdoganare le parolacce o rimangiarsela per menare gli studenti, Salvini ha assicurato che la Lega è “attenta a ciò che è libero pensiero e ciò che è reato: il problema non è censurare il cantante, il problema è che se uno fa il video col mitra non è libertà di pensiero, se fai il video col mitra sei un demente” (arieccoci). E anche Cantalamessa ha garantito: “Siamo per il massimo della libertà del pensiero ma se alcuni clan organizzano delle cose ad arte per attirare i ragazzi, a tutela dei ragazzi bisogna intervenire”. Quindi i clan sono il pifferaio magico e i ragazzi topi “dementi” che si fanno suadere dalla musica. Non fa una piega. Ciliegina sulla torta, però, è anche la previsione nella bozza del ddl, l’unico non ancora ufficialmente depositato, che “non possano essere invocate, a propria scusa, ragioni o finalità di carattere artistico, letterario, storico o di costume”.
Cosa resta di tutto ciò? L’incapacità, a destra e sinistra, di saper non tanto centrare il bersaglio, ma proprio di individuarlo. Se ascoltando una canzone di Tony Effe o di chicchessia ci sentiamo più violenti o più in pericolo, se dopo la visione di Gomorra, di Suburra, de Il Padrino, di Scarface ci sentiamo preda di istinti criminali…beh, il fallimento (perché è di questo che si parla) è molto, ma molto più in là, in un luogo remoto che si chiama dismissione delle responsabilità. È uno scaricabarile di una puerilità agghiacciante e un’offesa alla senzienza a cui non si può assistere inermi. In mezzo ci siamo noi tutti.
Elettra Raffaela Melucci