“Meloni si sta preparando al referendum. Sta mobilitando il suo elettorato”. Antonio Noto, sondaggista di fama, ha pochi dubbi sulla ragione che ha spinto la premier e il suo partito a sferrare il violento attacco contro Sergio Mattarella. A parlare, la settimana scorsa, di “complotto del Quirinale” contro il governo. Con tanto di dichiarazione autografa del capogruppo alla Camera Galeazzo Bignami, per qualche frase sul futuro del centrosinistra pronunciata in un ristorante romano dal consigliere Francesco Saverio Garofani.
La reazione e la narrazione di Fratelli d’Italia e della sua leader sono, infatti, talmente strumentali e fondate sulla sabbia, da suscitare più di un interrogativo sul reale perché del colpo basso. C’è chi parla di “azione preventiva” di fronte a qualche rumors che accreditavano scossoni parlamentari. Chi di “riflesso condizionato” di una underdog abituata a lottare contro tutto e tutti per oltre trent’anni. Della serie: “Noi da soli contro il resto del mondo”. Chi di un fastidio per come Mattarella abbia ancorato l’Italia, senza se e senza ma, al sostegno all’Ucraina nel Consiglio supremo di difesa celebrato poche ore prima.
Noto, invece, ha pochi dubbi. Parlando con “Il Diario”, collega l’assalto sgangherato di Meloni & Co. all’esito del referendum sulla separazione delle carriere dei magistrati. “Per ora i sì sono in vantaggio, stanno circa al 56%”, spiega il sondaggista, “ma il referendum è sempre un terno al lotto. Soprattutto, se si polarizza e si politicizza lo scontro, Meloni può rischiare di perderlo”.
Non a caso, da qualche settimana, la premier e i suoi stanno facendo di tutto per tenersi distanti dalla polemica con i giudici. E, come ha cominciato a fare il presidente del Senato Ignazio La Russa, hanno addirittura avviato l’operazione-disconoscimento: “La separazione delle carriere? Forse non ne valeva la candela”, è sbottato il buon Ignazio. In più, ma questo accade da mesi, Meloni e i suoi dicono e ripetono fino alla noia: “Mai e poi mai il risultato del referendum sulla giustizia avrà conseguenze sul governo”.
Però, tra vedere e non vedere, ecco la premier decidere di alzare il livello dello scontro. Eccola, inquadrare nel mirino addirittura Mattarella. Un presidente che, a parte qualche bacchettata inevitabile e indispensabile, è sempre stato una sorta di scudo per il governo. “Se non ci fosse Sergio con il suo ruolo equilibratore e di garanzia”, dice un amico del capo dello Stato, “la Meloni si troverebbe le piazze in rivolta. Invece…”.
Invece la premier governa, giocando però a fare l’opposizione a tutto. E preparandosi, e qui torniamo al punto, a un’eventuale sconfitta referendaria. Tant’è, che per conservare i consensi fin qui accumulati, ha intenzione di andare al voto referendario al più presto: fonti informate parlano addirittura della prima domenica di marzo. Una data decisamente “precoce”. Ma che servirebbe a Meloni per non disperdere, con il passare del tempo, il consenso fin qui messo in cascina. Per evitare che lo scontro referendario si accenda con il trascorrere dei mesi. E per scongiurare, di riflesso, un’eccessiva politicizzazione del voto che la porterebbe a una probabile sconfitta: “Nessuno nel nostro Paese ha mai avuto dalla sua la maggioranza degli italiani. Basta pensare a Matteo Renzi nel 2016”, osserva e ricorda Noto.
In questo quadro si inserisce l’attacco al Quirinale. Con upgrading. Finora i cospiratori, i presunti orditori dei presunti complotti denunciati a mesi alterni da Meloni e dai suoi, erano rimasti senza nome e senza cognome. Incardinati, al massimo, nella vasta casella dei “poteri forti”. Inquadrare nel mirino Mattarella e additarlo come l’autore della trama, rappresenta un salto di qualità. Serve a Meloni ad alzare la tensione e il livello dello scontro. A erigere, in fretta, i muri del fortino dentro il quale trincerarsi in caso di sconfitta al referendum. Senza contare, come spiega Noto, che l’assalto al Colle è di fatto una chiamata alla mobilitazione. Un appello a stringersi a coorte, uniti e compatti. Una postura e un sentimento quanto mai utili in vista della campagna referendaria. E nell’eventualità di una possibile batosta.
Si sa, Meloni è un tipo previdente, una che si porta avanti con il lavoro. Così, tra vedere e non vedere, preferisce alzare le barricate per tempo.
Alberto Gentili

























