Dopo diversi anni, la Confindustria torna a presentare il rapporto sulla manifattura italiana, colonna dell’economia nazionale cui si deve il 15 per cento del Pil, dato che raddoppia considerando l’indotto. Ma non è da meno nel contesto internazionale: la manifattura italiana e’ ancora, nonostante tutto, l’ottava al mondo e la seconda in Europa per dimensioni (2,1% del valore aggiunto manifatturiero globale e 13% di quello europeo). Inoltre, realizza il 35% degli investimenti in macchinari e attrezzature e il 50% della spesa in R&S, e presenta mediamente livelli di produttività superiori rispetto agli altri settori, che le consentono di corrispondere salari più elevati rispetto a servizi (+20% nel 2024), costruzioni (+21,0%), settore pubblico (+8,3%) e totale economia (+14,5%).
Ma soprattutto, la manifattura italiana è in pratica la regina dell’export, ovvero la componente più dinamica del Pil nazionale. Nel 2024 ha rappresentato la quasi totalità delle esportazioni: oltre il 95%. E nel 2023, il valore dell’export è pari al 48,2% della produzione manifatturiera e a poco meno del doppio del suo valore aggiunto (186,3%). Meccanica strumentale (17,1% dell’export manifatturiero, media 2023-2024), tessile, abbigliamento e pelli (10,8%), alimentari e bevande (9,8%), farmaceutica (8,6%), autoveicoli (7,3%), sono i maggiori settori esportatori che figurano tra i primi anche in uno o più dei principali paesi europei (Spagna, Francia, Germania).
Gli scambi manifatturieri con l’estero generano un surplus commerciale di circa 120 miliardi di euro all’anno nel 2023-2024 (pari al 9,5% della produzione manifatturiera).
I settori che contribuiscono di più al surplus commerciale corrispondono solo in parte ai maggiori esportatori; soprattutto emerge la meccanica strumentale, che genera da sola circa la metà del surplus. Altri importanti settori esportatori come l’automotive, la chimica e la metallurgia hanno invece saldi negativi. Tra il 2015 e il 2023 il peso degli scambi manifatturieri con l’estero è aumentato sia dal lato dell’export (+3,7 punti percentuali, in percentuale della produzione manifatturiera) sia dal lato dell’import (+4,2 punti). L’aumento dell’apertura commerciale si è verificato nella maggior parte dei settori – spicca in particolare la farmaceutica.
Naturalmente, anche questo settore chiave ha ovviamente sofferto del forte calo della produzione industriale registrato nel 2023 (-2,0%) e nel 2024 (-4,0%), trentatré mesi consecutivi di segno meno, che hanno riportato i livelli produttivi al di sotto di quelli pre-pandemia, vanificando il rimbalzo del 2021-2022. Quanto al 2025, la produzione ha mostrato un recupero moderato nella prima metà dell’anno (+0,5% nel primo trimestre, +0,2% nel secondo), tornando però in calo nel terzo trimestre (-0,5%).
Secondo l’analisi del Centro studi di Viale dell’Astronomia, tuttavia, la manifattura tricolore presenta un grado di diversificazione molto elevato rispetto alle altre manifatture europee, elemento che contribuisce a rafforzarne la resilienza agli shock globali. La sua composizione settoriale è rimasta relativamente stabile nell’ultimo decennio, con una specializzazione concentrata in comparti a media e bassa intensità tecnologica, che rappresentano circa il 60% del valore aggiunto manifatturiero. Meccanica strumentale (14% del valore aggiunto manifatturiero), prodotti in metallo (13%) e alimentare (9%) mantengono un’incidenza significativa sulla manifattura nazionale; tessile (25% del valore aggiunto settoriale europeo), abbigliamento (47%), pelletteria (50%) e mobili (20%) presentano invece un peso particolarmente elevato nel contesto europeo; metallurgia, chimica e gomma plastica sono infine i comparti con le maggiori connessioni a monte e a valle lungo le filiere produttive.
Secondo lo studio, la manifattura è ancora orientata verso le piccole e micro imprese. Nel 2023 soltanto il 42% del valore aggiunto è stato generato dalle grandi imprese (250 o più addetti), a fronte del 74% in Francia e del 75% in Germania; simmetricamente, micro (fino a 9 addetti) e piccole (10-49 addetti) imprese mantengono un ruolo molto rilevante, con un contributo complessivo superiore al 30% del valore aggiunto, rispetto a circa il 10% in Germania e il 14% in Francia. Tuttavia, è in corso una trasformazione qualitativa significativa: nell’ultimo decennio un intenso processo di selezione ha ridotto il numero di micro imprese di quasi il 12%, mentre si osserva una crescita rilevante della dimensione media tra le grandi imprese. Questa evoluzione è rilevante considerando la relazione tra dimensione d’impresa e produttività: nella manifattura italiana, a parità di tutte le altre condizioni, l’efficienza cresce in modo significativo con la dimensione d’impresa, e le imprese medie e grandi italiane mostrano livelli di produttività superiori a quelli delle omologhe tedesche, francesi e spagnole.
Il rapporto sottolinea che la manifattura italiana mantiene una propensione all’investimento superiore a quella delle principali economie europee. Tra il 2015 e il 2024, gli investimenti in capitale fisso si sono attestati in media intorno al 25% del valore aggiunto manifatturiero, un livello superiore a quello registrato in Francia (22%) e Germania (20%) e sostanzialmente in linea con la Spagna. Allo stesso tempo, però, la crescita del capitale fisico disponibile mostra una dinamica relativamente debole nel confronto internazionale, anche quando considerata in rapporto all’input di lavoro.
Gli investimenti in beni materiali costituiscono storicamente la quota più rilevante degli investimenti manifatturieri: la propensione media all’investimento nell’ultimo decennio è stata del 18,1% del valore aggiunto, consolidando la distanza già esistente rispetto alla Francia (11% medio) e alla Germania (9,3%). Al contrario, per quanto in crescita nel tempo, la propensione agli investimenti in beni immateriali (15%, solo in parte inclusi negli investimenti in capitale fisso) rimane sensibilmente inferiore a quella osservata in Germania (18%) e Francia (23%), soprattutto per quanto riguarda gli investimenti in proprietà intellettuale.
Infine, le aziende del settore hanno ridotto le proprie dipendenze critiche di circa un terzo negli ultimi otto anni, soprattutto a causa del calo delle importazioni di gas dalla Russia e a una crescente diversificazione delle forniture energetiche. Nel 2023 le dipendenze manifatturiere dall’estero riguardavano 364 prodotti, per un valore di circa 26 miliardi di euro (8,7% del valore aggiunto manifatturiero), con livelli di criticità molto differenziati tra settori e fornitori. La farmaceutica presenta un elevato livello di concentrazione delle importazioni, mentre i semilavorati elettronici e le apparecchiature elettriche mostrano una forte esposizione geopolitica, con quote di fornitura dalla Cina comprese tra l’80% e il 90%. Inoltre, le importazioni critiche della farmaceutica e dell’elettronica risultano quasi interamente strategiche e ad alto contenuto tecnologico.
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