Le storie relative ai rapporti fra l’Unione Europea e i vari campi della politica economica sono spesso piuttosto complicate e, comunque, non facili da seguire. Ciò, probabilmente, anche a causa della notevole farraginosità delle procedure decisionali che costituisce una delle caratteristiche dell’Unione stessa.
Se ne è avuta una prova, in questi giorni, per ciò che ha riguardato gli esiti di un appuntamento molto atteso: quello in cui la Commissione europea avrebbe dovuto presentare un’ipotesi di revisione del regolamento relativo alle emissioni delle auto.
Come è noto, secondo il regolamento ancora in vigore, a partire dal 2035 le case produttrici di auto avrebbero dovuto attenersi all’obiettivo di ridurre a zero le emissioni nocive di CO2. In altri termini, a partire da quella data sarebbe stato consentito alle case costruttrici di immettere sui mercati dei paesi dell’Unione solo auto elettriche.
Martedì scorso, 16 dicembre, la Commissione europea si è però riunita a Bruxelles e ha presentato una proposta che fissa un nuovo obiettivo: quello della riduzione delle emissioni nocive, sempre entro il 2035, non più al 100%, bensì al 90%. Ciò significherebbe, in pratica, lasciare aperta la porta sia ai motori ibridi che a quelli ad alimentazione endotermica.
Ora la prima cosa che va chiarita, a questo punto del nostro ragionamento, è che, al momento, non è ancora successo nulla di concreto. Infatti, affinché l’Unione Europea assuma una decisione vincolante per i Paesi che ne fanno parte, occorre passare dalla via del cosiddetto “trilogo”. In pratica, mentre in un normale Stato democratico gli attori del processo decisionale sono due, e cioè Parlamento (potere Legislativo) e Governo (potere Esecutivo), nel caso dell’Unione, che non è (ancora?) uno Stato Federale, ma (solamente) un’unione di Stati, tali attori sono tre: il Parlamento, eletto dai cittadini di tutti questi Stati; la Commissione, eletta dal Parlamento; e il Consiglio, formato dai Governi degli stessi Stati.
Affinché l’attuale regolamento, cioè quello ancora in vigore, venga cambiato, occorrerà dunque che venga raggiunta un’intesa fra i tre attori del trilogo: Parlamento, Commissione e Consiglio. Cosa che, peraltro, non si annuncia né come semplicissima, né, ancor meno, come rapidissima. Per adesso, la situazione resta com’è: semmai, un po’ più incerta di prima.
Infatti, al di là delle difficoltà che potrà incontrare da adesso in avanti, la proposta della Commissione non è stata costruita in modo tale da offrire, a breve, nuove certezze all’industria europea dell’auto. In altri termini, per adesso le case costruttrici non possono far conto su nuove certezze per i propri programmi di investimento. Vediamo perché.
I sostenitori della proposta, a partire dal cancelliere tedesco Friedrich Merz, hanno sottolineato che, finalmente, la Commissione ha dato mostra di volersi liberare di alcuni dei dogmi cui si era ispirata, nell’ambito del Green Deal europeo (2019), la decisione, assunta nel 2023, relativa allo stop nel 2035 per i motori endotermici. Dogmi come quello dell’avversione alla cosiddetta “neutralità tecnologica”. Avversione manifestatasi, in pratica, non limitandosi a prescrivere l’obiettivo delle emissioni zero, ma indicando quella che veniva ritenuta come la sola via percorribile per raggiungere tale obiettivo, ovvero la sostituzione integrale, da una certa data in poi, di ogni altra motorizzazione eventualmente possibile con la sola motorizzazione elettrica.
In sostanza, le voci favorevoli alla proposta della Commissione, voci che – specie in Italia e Germania – si sono levate principalmente dal mondo della politica, hanno teso a interpretare la proposta della Commissione come un primo passo compiuto su quella che lo stesso Merz ha definito come la “buona strada”. Una strada che, ci si immagina, sia diretta, almeno, verso l’attenuazione di alcune delle rigidità conseguenti a una certa interpretazione del Green Deal.
Al contrario, dal mondo dell’imprenditoria si sono udite voci, a dir poco, insoddisfatte. Voci come quella del Presidente della Confindustria italiana, Emanuele Orsini, il quale, a proposito della proposta della Commissione, ha detto che si tratta ancora di “troppo poco”. Aggiungendo, poi, che “a noi non servono le mezze curve”.
Ma, al di là delle differenze dei toni riscontrabili fra dirigenti politici e dirigenti industriali, le critiche più nette alla proposta della Commissione sono quelle venute da alcuni esperti.
Prima di riportarne qualche ragionamento, sarà però necessario tentare di dire qualcosa di più sui contenuti specifici della proposta di cui ci stiamo occupando. Per abbassare le proprie richieste di abbattimento totale delle emissioni di CO2 dal 100%, come previsto a partire dal 2035, al 90%, la Commissione chiede in alternativa alle case costruttrici di compensare “il restante 10%” attraverso “due meccanismi”. Il primo di tali meccanismi dovrà tenere conto “dell’uso di acciaio a basse emissioni di carbonio prodotto nell’Unione”. Il secondo meccanismo, invece, tenere conto “dell’effettiva riduzione delle emissioni ottenuta grazie all’uso di carburanti sintetici e biocarburanti”.
In sostanza, se ben comprendiamo, le case costruttrici, anche dopo il fatidico 2035, potranno immettere sul mercato autovetture non elettriche solo a tre condizioni. Prima: che tali autovetture non superino il 10% del totale delle auto di nuova immatricolazione. Seconda: che siano fabbricate usando solo il cosiddetto “acciaio green”, prodotto, peraltro, entro i confini dell’Unione. Terza: che siano dotate di motori alimentati da biocarburanti o da carburanti sintetici.
Ebbene, uno dei nostri massimi esperti di questioni energetiche, Davide Tabarelli, ha osservato, sul Messaggero del 17 dicembre, che mentre, in base alla succitata proposta, “il 90% delle auto vendute dovranno essere elettriche”, per il restante 10% non elettrico gli sforzi da fare saranno “enormi”. Infatti, la possibilità di “usare carburanti di nuova generazione (…) non aiuta”; e ciò perché “di questi carburanti”, tecnicamente, “non ce ne sono”. Quanto ai biocarburanti, “non sono producibili in quantità rilevanti”.
Inoltre, incalza Tabarelli, “il dovere di impiegare acciaio verde per le auto non elettriche, come compensazione del 10% di flessibilità” costituisce “un altro obbligo impossibile”. E ciò “perché di acciaio di questo tipo, nel mondo, non ce n’è, nonostante se ne parli da decenni.” In sostanza, “biocarburanti, carburanti sintetici, acciaio verde”, sono “aspirazioni che si scontrano con limiti fisici invalicabili ma su cui, come sempre accade, i rivoluzionari insistono. Sarebbe ora, però, che Bruxelles facesse un bagno di realismo”.
In sostanza, secondo Tabarelli, anche al di là della proposta del 16 dicembre scorso, l’Unione Europea “vuole continuare sulla sua rivoluzione”, ma “con emissioni di CO2 che contano per il 6% del totale mondiale, il pianeta non lo salverà, mentre, certamente, aggrava il processo di deindustrializzazione spinta delle nostre economie”.
D’altra parte, Paolo Bricco, uno dei massimi conoscitori della nostra grande industria manifatturiera, ha aperto il suo commento sul Sole 24 Ore del 17 dicembre, affermando, a proposito della proposta della Commissione, che “la politica ha allentato la stretta del cappio al collo dell’industria automobilistica europea” e che “il 2035 non sarà più l’annus horribilis del divieto di produrre le automobili ad alimentazione endotermica”. Ma, subito dopo, ha poi anche espresso il timore scritto che la burocrazia comunitaria possa svuotare, “con codici e codicilli questa decisione politica, tornando a stringere il cappio”.
Il seguito alla prossima puntata.
@Fernando_Liuzzi




























