Con la sentenza n. 188 del 16 dicembre 2025, la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibili i ricorsi promossi dal Governo contro la legge della Regione Puglia n. 30/2024 e la successiva legge n. 39/2024, che fissano negli appalti pubblici regionali una soglia retributiva di 9 euro l’ora come parametro di riferimento per l’aggiudicazione delle gare. La Corte ricolloca la vicenda nell’alveo della disciplina degli appalti pubblici: la norma regionale non istituisce un salario minimo legale generale, ma introduce un criterio tecnico per le stazioni appaltanti, volto a prevenire fenomeni di dumping e a garantire livelli minimi di tutela nelle commesse pubbliche. Non si tratta, dunque, di una legge che regola direttamente i rapporti individuali di lavoro; è una regola di gara. Di qui l’inammissibilità delle censure fondate sugli artt. 36, 39 e 117 Cost.: non pertinenti rispetto all’effettivo contenuto della legge. Il risultato è chiaro: la Corte non entra nel merito della questione del salario minimo nazionale, né prende posizione sul rapporto tra contrattazione collettiva e soglie legali; semplicemente precisa che il caso pugliese non è la sede per affrontare quel tema.
Quanto alla rilevanza per i lavoratori occupati nel settore interessato, cioè quelli impiegati negli appalti pubblici regionali pugliesi (e negli enti dipendenti), l’effetto è concreto ma circoscritto: la soglia dei 9 euro diventa un requisito di gara con cui le imprese devono misurarsi nella formulazione dell’offerta economica e nell’esecuzione del contratto. Questo riduce la pressione al ribasso sulle retribuzioni nei servizi appaltati e alza l’asticella di tutela in quel perimetro, perché la stazione appaltante può pretendere CCNL adeguati o equivalenti e verificare la coerenza dei costi del lavoro dichiarati. Non nasce, però, un diritto soggettivo “universale” alla paga di 9 euro: fuori dall’appalto tutto resta regolato da CCNL applicati, art. 36 Cost. e giurisprudenza sull’adeguatezza. Dentro l’appalto, invece, i lavoratori beneficiano di un filtro pubblico che rende più difficile aggiudicare (e poi gestire) contratti costruiti su retribuzioni sotto soglia. È una protezione operativa, non una riforma del diritto del lavoro.
In definitiva, la sentenza n. 188/2025 è una decisione processuale e di perimetro: conferma che le Regioni possono usare, entro limiti, la leva sociale degli appalti; non istituisce un minimo nazionale e rimette la palla al Parlamento. Per i lavoratori del settore appalti pugliesi significa maggiore presidio contro il dumping nelle gare; per tutti gli altri, nessun cambiamento: la partita sul salario minimo resta politica e legislativa, non giudiziaria.
Biagio Cartillone


























