Le associazioni di categoria Ucina, Assomarinas e Assonat lanciano l’allarme sul possibile rischio di fallimento per i porti turistici italiani, con conseguente licenziamento di 2.484 lavoratori, in vista della sentenza da parte della Corte Costituzionale che il prossimo 10 gennaio si pronuncerà sull’applicazione della normativa sulle concessioni turistico-ricreative anche ai porti turistici, che prevede l’aumento retroattivo dei canoni demaniali.
“Dopo la tassa Monti, cancellata perché a fronte dei 22 milioni di euro incassati ha prodotto un buco di 800 milioni nelle casse dell’erario causato dalla fuga di 40.000 imbarcazioni – si legge nella nota diffusa dalle associazioni- questa sentenza rischia di essere una nuova mazzata per tutta la filiera della nautica, che proprio negli ultimi mesi sta uscendo da una grave crisi durata sei anni”.
“Da un lato – proseguono le associazioni – c’è un costo stimabile in 3,6 milioni per lo Stato, spiccioli per il bilancio, dall’altro un danno per l’erario di 54 volte maggiore. Gli aumenti annui dei canoni demaniali vanno da 45.000 a 75.000 euro, per le strutture della fascia minore, e da 100.000 a 250.000 euro annui per le strutture più grandi. Il gettito che l’erario può ottenere è pari a 3.595.000 euro l’anno”.
Secondo i dati dell’Osservatorio Nautico Nazionale, in media un marina turistico genera un indotto occupazionale di 92 unità. “Dunque – conclude la nota- in discussione c’è la sopravvivenza di 2.484 posti di lavoro, che contando il solo l’incasso diretto del fisco valgono circa altri 4 milioni di euro.”