Dopo molti anni di crisi, in Italia il mercato del lavoro “sta lentamente migliorando”. Ad affermarlo è l’Ocse nel suo rapporto annuale sull’occupazione. “Il tasso di occupazione per la popolazione tra i 15 e 74 anni ha ripreso a crescere dal primo trimestre 2015 e si attesta ora al 49,4%”, che tuttavia resta il terzo valore più basso tra i paesi Ocse dopo Grecia e Turchia. E si prevede che rimanga inferiore ai livelli precedenti alla crisi anche nel 2017.
Intanto il tasso di disoccupazione è sceso all’11,5%, dal un picco del 12,8%, e secondo le previsioni dovrebbe scendere a 10,5% entro la fine del 2017. “Tuttavia – prosegue l’Ocse nel capitolo dedicato alla Penisola – si tratta ancora di un valore molto superiore alla media dell’area euro.”
I disoccupati di lunga durata, cioè le persone in cerca d’impiego da più di un anno, sono il 58,7% del totale dei disoccupati, una quota tra le più elevate tra i paesi Ocse, pur se inferiore di 3,5 punti percentuali al picco raggiunto nel 2014.
La crisi ha frenato la crescita reale dei salari orari che solo nel periodo più recente stanno, seppur lentamente, risalendo. La crescita della produttività è piatta da 15 anni ed è uno dei maggiori ostacoli al rilancio della crescita e dei salari in Italia.
Sulle riforme del mercato del lavoro, e il Jobs Act in particolare, secondo l’Ocse l’Italia è riuscita a scongiurare il rischio di “effetti indesiderati a breve termine”, sia perché ha un mercato molto segmentato, sia per l’incentivazione del contratto a tutele crescenti che ha favorito “una creazione netta di occupazione” .
“L’Employment Outlook 2016 analizza in dettaglio gli effetti sul mercato del lavoro di riforme strutturali, incluse quelle del mercato del lavoro. I risultati – rileva l’Ocse – suggeriscono che se in teoria c’è il rischio che queste riforme possano avere effetti indesiderati a breve termine, questi effetti non sono rilevanti quando le riforme intervengono in mercati del lavoro fortemente segmentati, come quello italiano.”
“Nel caso italiano, in particolare, il Jobs Act ha incentivato l’uso di contratti a tutele crescenti al posto di contratti temporanei con creazione netta di occupazione. Inoltre – prosegue l’ente parigino – le nuove norme si applicano solo ai nuovi assunti ed incentivano quindi le assunzioni senza distruzione di posti esistenti. Infine, il Jobs Act ha esteso la copertura dei sussidi di disoccupazione e rafforzato le politiche attive di sostegno alla ricerca del posto di lavoro.”
L’azione di riforma deve quindi continuare, “per rendere pienamente operativa l’Agenzia Nazionale per le Politiche Attive del Lavoro (Anpal). Inoltre, consentire di derogare dal contratto nazionale in caso di difficoltà economica permetterebbe alle imprese di usare altri margini di aggiustamento oltre all’occupazione. Infine, ridurre i vincoli alla concorrenza nelle industrie di rete ai livelli delle migliori pratiche Ocse, rendendo quindi i loro servizi più convenienti alle imprese che ne fanno uso, aumenterebbe l’impiego di circa il 1,7% nel lungo termine.”
Resta infine acuto il problema della disoccupazione giovanile e, forse anche peggiore, quello dei “Neet”: i giovani che non lavorano, non cercano lavoro e non seguono nessuna attività di formazione e istruzione. Tra i 15 e i 29 anni, in Italia sono ben 1 su 4.
In generale, nell’area Ocse le condizioni dei mercati del lavoro continuano a migliorare e, sebbene esistano ancora numerose differenze tra paesi e gruppi di lavoratori, il tasso di occupazione medio è previsto tornare ai livelli pre-crisi nel 2017, quasi 10 anni dopo l’inizio della crisi finanziaria globale. La crescita dei salari in termini reali è però debole dal 2007, evidenziando il rischio di una stagnazione salariale duratura.