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Home - Approfondimenti - La nota - Dal blocco degli impianti al ricorso di dirigenti, agli interventi del governo

Dal blocco degli impianti al ricorso di dirigenti, agli interventi del governo

28 Agosto 2012
in La nota

Durante l’estate è esploso il caso Ilva che divide il mondo del lavoro, delle istituzioni e dell’opinione pubblica in due contrapposti filoni di pensiero: chi chiede la chiusura immediata della fabbrica d’acciaio per scongiurare ulteriore inquinamento e chi invece vorrebbe mantenere aperto lo stabilimento per evitare di sacrificare tanti posti di lavoro, impegnandosi però al suo risanamento entro i prossimi anni. La vertenza ancora non si è sbloccata e il 30 settembre si attende la nuova Aia, autorizzazione integrata ambientale che stabilirà le nuove regole alle quali dovrà attenersi l’azienda.

 

Le tappe principali della vertenza Ilva:

 

26 luglio – Il gip di Taranto, Patrizia Todisco, stabilisce il sequestro senza facoltà d’uso dell’intera area a caldo dello stabilimento Ilva per inquinamento ambientale.

 

27 luglio – Protestano i lavoratori e cominciano le prime iniziative sindacali

 

30 luglio – Arrivano le prime chiusure degli impianti con l’arrivo dei custodi nominati dal gip, cominciano le procedure di sequestro di 6 impianti disposte dalla magistratura.

 

7 agosto – Il Tribunale del Riesame conferma il sequestro dei 6 impianti perché inquinanti, ma non ne obbliga lo spegnimento ma decide che dovranno essere risanati. Inoltre il Tribunale rimette in libertà 5 indagati e conferma gli arresti domiciliari per Emilio Riva, figlio di Nicola, e Luigi Capogrosso, ex direttore del siderurgico di Taranto.

 

8 agosto – Napolitano firma il decreto per la bonifica dell’Ilva che prevede 336 milioni di euro. Intanto azienda e sindacati aspettano le motivazioni del Riesame per capire in che modo continuare la produzione, ma il Riesame non parla di produzione, bensì di utilizzo per mettere a norma gli impianti.      

 

10 e 11 agosto- Il gip Patrizia Todisco, che aveva messo sotto sequestro l’azienda il 25 luglio scorso, ferma l’Ilva di Taranto e rimuove il presidente dell’Ilva, Bruno Ferrante, dall’incarico di custodia stabilito dal Riesame. Con due ordinanze immediate, che precedono le motivazioni del Riesame, chiude la porta a ogni facoltà d’uso degli impianti per fini produttivi e rimuove da ogni incarico di “custode” Ferrante, in quanto “datore di lavoro” con responsabilità relative all’organizzazione dell’impresa e dei dipendenti, e fa rientrate Tagarelli. Sorpreso e irritato il vertice aziendale sia per la negazione della facoltà d’uso degli impianti per fini produttivi, sia per la rimozione di Ferrante dal ruolo di custode giudiziale. Le federazioni metalmeccaniche tornano a mobilitarsi, critiche di Fim e Uilm al gip, più cauta la Fiom. Tra ambientalisti, sindacati, magistrati e politici ci sono profonde divisioni ideologiche: c’è chi sostiene la necessità di chiudere lo stabilimento per risanare gli impianti e non continuare a inquinare, chi invece ritiene che questo possa essere fatto senza bloccare la produzione e il lavoro di oltre 11 mila operai, senza considerare tutti quelli dell’indotto.

 

14 agosto – Il presidente dell’Ilva, Bruno Ferrante, deposita due appelli e una richiesta di incidente di esecuzione al tribunale del riesame di Taranto contro le ordinanze del gip Todisco.
Intanto il ministro dell’Ambiente, Corrado Clini, difende davanti alle commissioni Attività produttive e Ambiente della Camera le prerogative del governo respingendo lo sconfinamento da parte di altri poteri. In sostanza il ministro ribadisce che il Italia, come in tutta Europa, le autorità competenti in materia di protezione dell’ambiente e del monitoraggio degli inquinanti sono identificate dalle leggi, oltre che dalle direttive, ma non dall’autorità giudiziaria. E’ necessario, a suo avviso quindi, una “chiarezza di ruoli e competenze”. In merito poi a rischi sulla salute le vedute del ministro divergono da quelle del gip Todisco. Secondo Clini, infatti, gli eccessi di mortalità evidenziati non sono riferiti a questo momento ma riguardano anni passati.
L’esecutivo affida la soluzione sostanzialmente alla revisione dell’Aia (autorizzazione integrata ambientale) che regola l’esercizio degli impianti dell’acciaieria tarantina. Una procedura che si concluderà entro il 30 settembre e terrà conto anche delle prescrizioni del gip. Individuare una soluzione che risani gli impianti dell’Ilva senza fermare la fabbrica e senza sacrificare i posti di lavoro è la strada che ha imboccato il governo e vogliono anche i sindacati e le istituzioni di Taranto.

 

17 agosto – Il governo decide di non fare ricorso sollevando il confitto di attribuzione con al magistratura davanti alla Consulta. Anche l’Ilva decide di mettere fine alla politica conflittuale che aveva spinto lo stabilimento a opporsi alla prima Aia del 2011. Invece la fabbrica tarantina collaborerà con governo ed enti locali per arrivare a una nuova autorizzazione integrata ambientale che si ponga l’obiettivo di azzerare entro due o tre anni le emissioni e rendere più competitivo il ciclo industriale dell’acciaio. I Riva hanno stanziato per raggiungere questi obiettivi circa 146 milioni di euro, ai quali potrebbero aggiungersi, nel caso in cui l’Ilva riesca ad anticipare la nuova normativa ambientale che la Commissione Ue renderà obbligatoria entro il 2016, spiega Clini, finanziamenti da Bruxelles. Il ministro dello Sviluppo economico, Corrado Passera, annuncia invece un investimento di 600 milioni per un contratto di programma. Quattrocento per un nuovo progetto di politica industriale che ricomprenda l’intera area di Taranto e 200 per la piastra logistica portuale.

 

20 agosto – Il Tribunale del Riesame deposita le motivazioni in base alle quali il 7 agosto scorso ha confermato il sequestro. Le modalità di gestione dell’Ilva di Taranto sono state tali da produrre un ‘disastro doloso’: “azioni ed omissioni aventi una elevata potenzialità distruttiva dell’ambiente (…), tale da provocare un effettivo pericolo per l’incolumità fisica di un numero indeterminato di persone”. Lo scrive il Tribunale del Riesame per il quale il “disastro” prodotto dall’Ilva a Taranto è stato “determinato nel corso degli anni, sino ad oggi, attraverso una costante reiterata attività inquinante posta in essere con coscienza e volontà, per la deliberata scelta della proprietà e dei gruppi dirigenti”. Il Tribunale del Riesame ha confermato il sequestro degli impianti a caldo dell’Ilva senza concedere la facoltà d’uso, che peraltro – viene sottolineato – non era stato richiesto neppure dai legali del Siderurgico. Obiettivo dell’Ilva era quello di continuare a produrre anche durante il risanamento e la messa a norma degli impianti. Il gip Todisco all’indomani del dispositivo del Riesame aveva precisato che la facoltà d’uso produttiva non era contemplata. L’Ilva sostiene che gli impianti, per la loro tipologia e complessità tecnica, vanno tenuti in produzioni e che la fermata li comprometterebbe. Il tribunale del Riesame, confermando il sequestro Ilva, infine dispone che non si continuino a perpetrare i reati contestati nel provvedimento cautelare. Sul percorso da seguire per interrompere i reati, i giudici – viene riferito da fonti giudiziarie – non si sbilanciano e affidano il compito ai tre custodi nominati dal gip e alla procura, Barbara Valenzano, Emanuela Laterza e Claudio Lofrumento.

27 agosto – Tecnici del ministero a Taranto per riesame Aia – autorizzazione integrata ambientale.

 

redazione

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