L'intera partita contrattuale dell'artigianato è entrata in un cono d'ombra. Lo sciopero nazionale che ha avuto luogo nei giorni scorsi è stato solo il punto di arrivo di una serie di difficoltà notevoli che si sono verificate negli ultimi tempi e che hanno portato a un blocco sostanziale della contrattazione, proprio adesso che il settore dispone di un nuovo modello contrattuale. Mentre l'industria non riesce a uscire dall'intesa del 1993 e tutti i reiterati tentativi per arrivare a un nuovo impianto, soprattutto a opera di Confindustria, si spengono a fronte di un'indisponibilità di atti se non di parole della Cgil, il settore dell'artigianato lo scorso anno ha varato un nuovo modello contrattuale basato su due livelli di negoziazione, uno nazionale e uno territoriale a base regionale. Ma finora non si è riusciti a dare seguito a quell'accordo, i problemi si sono accumulati, al punto che c'è chi pensa a un generale ripensamento del modello, quindi a un fallimento dell'intera operazione.
Diversi fattori hanno pesato per determinare questo risultato negativo. Il primo è stato una sostanziale indisponibilità di alcuni settori sindacali, che non avevano digerito fino in fondo quel nuovo modello, soprattutto per quanto si riferisce alla territorialità del secondo livello contrattuale, e non hanno avuto remora nel mettere bastoni nelle ruote di quel meccanismo. La dice lunga il fatto che la piattaforma rivendicativa dei metalmeccanici abbia contenuto delle rivendicazioni alternative al modello uscito dall'intesa interconfederale. Dato che sono state le confederazioni a firmare quell'intesa, è indubbio che devono essere loro a sciogliere questo nodo riportando tutti alla linea di fondo decisa.
Ma è stato molto importante nel determinare quel blocco anche una sorta di ingorgo che si è venuto a determinare tra le diverse scadenze. Per recuperare alcuni ritardi infatti è accaduto un accavallamento tra le diverse istanze contrattuali che nei fatti hanno determinato un blocco sostanziale della contrattazione. Ancora hanno pesato alcune rivendicazioni sindacali, soprattutto per quanto si riferisce al salario degli apprendisti e al diritto di assemblea in fabbrica, alle quali la controparte imprenditoriale ha risposto molto negativamente, considerando impossibile accettare l'impostazione sindacale. Infine, non sono state indifferenti le difficoltà insite nel calcolo della produttività regionale, soprattutto in presenza di carenza di dati specifici che consentano la valutazione e di una non completa realizzazione in tutto il territorio nazionale della rete di enti bilaterali, indispensabili per una corretta applicazione dell'accordo.
Tutto ciò ha causato un blocco della contrattazione al quale però le due parti hanno tutta l'intenzione di far fronte. Sia le confederazioni sindacali che quelle imprenditoriali hanno infatti un grande interesse a dare spazio e vitalità a questo nuovo modello contrattuale, che coglie alcuni aspetti specifici dell'artigianato, impedendo appiattimenti inutili e controproducenti alla realtà industriale, e soprattutto che potrebbe essere la spinta utile per una valorizzazione della partecipazione propria di questo settore economico. Per riuscire però, lo ha rilevato nei giorni scorsi Giorgio Santini, segretario confederale Cisl, il promotore di quel modello, è necessario che le parti sociali mostrino con grande forza la loro volontà di non far affondare questa sperimentazione. Serve uno slancio, ha detto Santini, una spinta in avanti che rappresenti davvero un'innovazione forte.
Proprio in questo senso acquista forza l'idea di procedere in tempi più o meno ravvicinati, ma non certo biblici, a un'unificazione dei diversi, troppi contratti nazionali. Un unico contratto artigiani o forse, se l'operazione dovesse rivelarsi troppo complessa, un accorpamento tra diversi contratti per ridurne drasticamente il numero, potrebbe essere questa la carta vincente per mostrare una precisa volontà di procedere nel senso indicato dall'accordo interconfederale.
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