Una pesante minaccia grava sulla pur esile possibilità che le parti sociali, Confindustria da un lato, Cgil, Cisl e Uil dall'altro, trovino a breve un accordo sulla struttura contrattuale. Oltre alle distanze notevoli che esistono tra chi pensa che il contratto nazionale debba avere solo una funzione di garanzia e chi invece pensa che debba mantenere intatta la sua portata politica, pesa il disaccordo tra gli artigiani. Il che è un paradosso, considerando che gli artigiani solo i soli che si siano già messi d'accordo per un nuovo sistema contrattuale che premia la contrattazione di secondo livello, che nel caso degli artigiani è quello provinciale.
Fatto è che sono ancora bloccati tutti o quasi i tavoli ai quali si stanno rinnovando i contratti nazionali. Finora l'accordo è stato trovato solo per gli edili, i grafici e il trasporto merci e, proprio pochi giorni fa, i lavoratori del settore del legno. Tutte le altre trattative sono bloccate sul tema degli apprendisti. Argomento non secondario per questa categoria perché la metà di tutti gli apprendisti italiani, ossia 225mila, sono dipendenti di aziende artigiane.
La pietra del contendere è nella formula salariale. Tradizionalmente gli artigiani corrispondono agli apprendisti un salario percentualmente minore rispetto al salario previsto, facendo rientrare questa differenza con il passare del tempo. La legge Biagi però ha previsto che gli apprendisti non possano ricevere un salario inferiore a quello stabilito per chi è inquadrato due livelli al di sotto nella scala parametrale. Troppo poco, obiettano gli artigiani. Le retribuzioni sono infatti molto schiacciate e un salario due gradini più sotto sarebbe sempre troppo vicino a quello del tutor, di chi insegna il mestiere all'apprendista.
Ma soprattutto sarebbe un onere molto alto, il salario di questi giovani salirebbe anche del 30% per alcune categorie, il che, affermano, è impensabile. Di qui il blocco delle trattative per la gran parte dei contratti, che però mette a rischio tutto il sistema contrattuale, perché era previsto che prima si chiudessero i nazionali, poi partissero i provinciali. Ed è naturale che queste difficoltà abbiano un preciso riscontro nel dialogo, già così difficile, per la struttura contrattuale da applicare nell'industria e in generale in tutto il mondo del lavoro.
Ma gli artigiani non demordono, sostenendo che loro insegnano un mestiere vero, per cui la riduzione della retribuzione non è un salario d'ingresso, un modo per abbassare surrettiziamente il costo del lavoro, ma una presa d'atto di una differenza nella prestazione.
Non ha aiutato il ministero del Lavoro che, rispondendo a un interpello della Fiom, ha ribadito che non è possibile fare sconti e va applicata la formula indicata dalla legge, due gradini e basta. I sindacalisti si stringono nelle spalle. La legge, affermano, è quella, non possiamo prevedere altro che uno slittamento nell'applicazione della norma, ma questa non può saltare. E, aggiungono, sarebbe anche molto strano che quella legge, che piace tanto agli imprenditori, non dovesse essere applicata proprio quando prevede qualcosa a favore dei lavoratori.
Cosa accadrà adesso non è difficile prevederlo. Gli artigiani si chiuderanno a riccio e non rinnoveranno i contratti. I sindacati chiederanno un aiuto al Governo, una sorta di mediazione, ma poi faranno degli scioperi. L'unica via d'uscita sembra quella di una rimodulazione della norma. Il protocollo sul welfare prevede un dialogo tra Governo, regioni e parti sociali sul tema della formazione: potrebbe essere forse la sede giusta.
Massimo Mascini
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