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Home - Approfondimenti - Interviste - A Genova 40mila persone in corteo per Gaza. Magni (Cgil): la politica apra gli occhi di fronte a questa risposta della società civile. Quello che sta accadendo è una vergogna per tutta l’umanità, chi non reagisce ne risponderà davanti alla Storia

A Genova 40mila persone in corteo per Gaza. Magni (Cgil): la politica apra gli occhi di fronte a questa risposta della società civile. Quello che sta accadendo è una vergogna per tutta l’umanità, chi non reagisce ne risponderà davanti alla Storia

di Elettra Raffaela Melucci
1 Settembre 2025
in Interviste
A Genova 40mila persone in corteo per Gaza. Magni (Cgil): la politica apra gli occhi di fronte a questa risposta della società civile. Quello che sta accadendo è una vergogna per tutta l’umanità, chi non reagisce ne risponderà davanti alla Storia

La Global Sumud Flotilla è salpata alla volta di Gaza per portare aiuti umanitari a una popolazione stremata da 21 mesi di guerra, cercando di rompere il blocco navale israeliano. Un’iniziativa nata dal basso, composta da una flotta di 40 imbarcazioni provenienti da tutto il mondo. Dall’Italia, gruppi di attivisti, civili, politici, sindacalisti e giornalisti sono salpati il 31 agosto da Genova, che si conferma città della Resistenza: una enorme manifestazione partecipata da 40mila persone di ogni estrazione ha invaso le strade della città, con una fiaccolata fino al Porto Antico per augurare buon vento alla spedizione. Oltre 200 le tonnellate di aiuti raccolte in soli quattro giorni, contro un obiettivo iniziale di appena 40 tonnellate. La Cgil ha partecipato attivamente all’organizzazione e al coordinamento dell’operazione e adesso si prepara alla manifestazione nazionale del 6 settembre. Ne abbiamo parlato con Igor Magni, segretario generale della Cgil genovese.

Magni, Genova è stata il cuore della mobilitazione italiana per la Global Sumud Flotilla. Cosa ha significato per la città ospitare un’iniziativa di solidarietà di questa portata?

Ci ha ricordato innanzitutto i fatti del G8 di Genova 2001, quel corteo spontaneo fatto di cittadini, di cittadine, di movimenti, di politica, di sindacati, che nasceva proprio dal basso, dall’impegno dei singoli. Ma ci ha richiamato anche la memoria di un altro fatto molto importante che avvenne nel lontano 1973, quando la città si era mobilitata per portare aiuti al Vietnam. Da qui partì la “Australe”, una motonave della cooperativa marinara ‘Garibaldi’, carica di cibi, medicine, macchine tessili e tutto quello che poteva aiutare la popolazione nella resistenza che misero in campo. Oggi, in qualche modo, è successa la stessa cosa. L’associazione Music for Peace è stata contattata direttamente dalla Flotilla, che aveva la necessità di mettere in campo una serie di iniziative a partire proprio dalla raccolta di generi di prima necessità e di medicine per provare a fare questa grande operazione dove imbarcazioni di più di 40 paesi da tutto il mondo cercano di forzare il blocco navale dell’esercito israeliano che impedisce l’accesso degli aiuti umanitari a Gaza.

Quale è stata la spinta alla mobilitazione?
In quattro giorni le persone, le associazioni, e ovviamente la Cgil, si sono mobilitate per provare a raggiungere l’enorme obiettivo di raccogliere 40 tonnellate di aiuti: alla fine siamo arrivati a oltre 200 tonnellate, una quantità davvero impressionante. La raccolta è stata poi il traino per la manifestazione di sabato 30 agosto, cui hanno preso parte oltre 40mila persone. La gente vede sempre di più in opere che hanno una concretezza, che uniscono al di là delle appartenenze politiche, la via per trovare una soluzione per la Palestina, dove è in corso un genocidio. Parola, questa, inizialmente tabù, ma ormai è un’evidenza innegabile: in 21 mesi sono morti 63mila civili, di cui oltre 17.000 bambini. E poi innumerevoli, orfani, feriti, persone che non hanno più niente da mangiare, senza più ospedali né rifugi, e con il 90 percento delle abitazioni distrutta dai bombardamenti. È una cosa talmente grave che stupisce come i governi balbettino ancora di fronte a l’idea di riconoscere o meno uno stato palestinese, che a questo punto rischia di non avere neanche più un territorio. E mentre la politica e le istituzioni si incagliano in discussioni astratte, le persone hanno dato una risposta.

Crede che il messaggio lanciato dalla piazza sia arrivato a destinazione?

Credo che sia arrivato chiaro il fatto che la popolazione italiana non sopporta più quello che sta accadendo e che vede solo una brutale violenza che non porta soluzioni di nessun tipo, così come nessuna guerra ha mai portato a una soluzione definitiva o duratura. Tanto meno in questo caso, dove non vengono rispettate neanche le regole minime che anche in una guerra dovrebbero esserci. Le persone chiedono di fermare quanto sta accadendo, di dare invece risposte pacifiche, di intervenire su un cessate il fuoco e sul tentativo di dare un sostegno alla popolazione ormai allo stremo.

E cosa risponde a chi ha detto, riferendosi anche alla protesta a Venezia, che scendere in piazza non cambia il corso della Storia?

Che non è assolutamente così. Le mobilitazioni, storicamente, hanno spesso portato allo spostamento delle politiche nazionali e internazionali. Scendere in piazza significa mettere in campo un’umanità contro la disumanità di quello che sta accadendo. La soluzione non può essere quella del chiudersi ognuno nella propria casa ed eventualmente limitarsi a condividere un post sui social per mettersi a posto la coscienza. È solo l’impegno diretto di tutte le persone, che mettono in campo sé stesse, a fornire la risposta più forte possibile. A Gaza non c’è solo un attacco tra forze armate: l’esercito israeliano sta bombardando indiscriminatamente. Un governo non può non tenerne conto, soprattutto quando inizia ad assumere una dimensione così internazionale. E questa larga coalizione civile che si è venuta a creare, è proprio quello che serve per svegliare i sentimenti e le anime di una politica che ha chiuso gli occhi per troppo tempo.

Lei ha parlato di un’iniziativa non solo umanitaria, ma anche politica. In che modo è un atto politico?

Qualsiasi scelta che noi compiamo è in qualche modo un atto politico. Augurandoci comunque che i beni inviati arrivino a destinazione, sappiamo che presumibilmente non accadrà, visto l’atteggiamento di Israele che ha già tacciato di terrorismo gli attivisti lasciando intendere cosa succederà quando arriveranno a destinazione. Tuttavia, resta forte l’atto di scendere in piazza per un popolo che, pure così lontano da noi, è vicino per quello che riguarda il trattamento di disumanizzazione cui è sottoposto: non è solo l’immagine vista attraverso uno schermo, ma qualcosa che ci tocca nel profondo quando vediamo quei bambini in totale disperazione. È quello l’atto politico più forte, perché noi stiamo dicendo ai governi che bisogna intervenire e cambiare direzione.

La presenza e le parole della sindaca Silvia Salis hanno avuto un impatto molto forte. Ma c’è stata una condivisione di impegno anche con i partiti politici?
È positivo che Silvia Salis abbia scelto di partecipare sia da cittadina che da sindaca di Genova, con tutta la Giunta che l’ha sostenuta. Ma abbiamo saputo della presenza in piazza anche di alcuni esponenti del centrodestra, che hanno scelto di partecipare e sostenere questa manifestazione a titolo personale. Questo vuol dire che l’istanza sta assumendo una dimensione trasversale, che va oltre le divisioni politiche. Di fronte ai temi umanitari non ci possono essere posizioni politiche, non si può scherzare sulla pelle della gente.

Vi state preparando per la manifestazione del 6 settembre indetta proprio dalla Cgil “per fermare la barbarie” e sostenere la Flotilla. L’obiettivo è replicare il modello Genova su scala nazionale?
Il tentativo è di proseguire su questa strada, coinvolgendo il grande mondo dell’associazionismo e generare un’alleanza più larga possibile, abbattendo i muri che qualche volta ci dividono su alcuni temi. Ma stavolta non si può essere divisi: vanno tenuti insieme i punti comuni a tutti, altrimenti perdiamo di vista l’obiettivo principale di far cessare questa barbarie. Sarà un momento importante: l’obiettivo è di chiedere al parte del governo italiano un atteggiamento di sostegno più forte a favore della popolazione palestinese e soprattutto di dare un segnale di accompagnamento alla missione della Flotilla. L’impresa sarà molto complicata, e per questo ha la necessità di essere tutelata dai paesi cui appartengono le persone, gli attivisti, i giornalisti e anche i politici che hanno scelto di essere su quelle imbarcazioni.

Insomma, la Cgil conferma il suo impegno di lunga data sui temi sociali, ma cosa rispondete chi vi accusa di star perdendo di vista la missione di tutela del lavoro per fare proselitismo politico?

Chi lo afferma probabilmente non segue con attenzione quello che facciamo, oppure ne fa un uso distorto, accusandoci di compiere un’azione politica che non ha a che fare con la storia del sindacato. Tutelare i diritti dei lavoratori è e resta il nostro “core business”, ma non c’è solo quello, perché il sindacato, con il modello delle Camere del lavoro della Cgil, nasce anche per dare delle risposte alle persone rispetto a quella che è la loro vita e, ad esempio con la contrattazione sociale, la difesa di quelli che sono i diritti di lavoratori anche come cittadini. Noi teniamo assieme tutto quello che è difesa dell’essere umano: difendere lavoratrici e lavoratori significa difendere anche una società civile in cui i cittadini hanno il diritto di vivere in pace.

In vista della manifestazione di sabato 6 settembre, che appello rivolge alle istituzioni e alla comunità internazionale?

Di mettersi a disposizione della popolazione palestinese, sapendo che hanno bisogno di qualsiasi aiuto in questo momento. In Palestina ci sono uomini e donne che si riempiono lo stomaco mangiando la sabbia. Non è accettabile, in nessun modo, pensare che ci sono esseri umani che vivono in quella condizione senza muovere un dito per impedire che questo avvenga. Questa è una grande vergogna per tutta l’umanità. Ogni governo che non assume una posizione chiara in questa direzione si assuma la responsabilità davanti alla Storia di questa disumanità.

Elettra Raffaela Melucci

Elettra Raffaela Melucci

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Redattrice de Il diario del lavoro

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