A proposito di zingari. Anni fa sotto casa mia accattonava una ragazza rom. Con lei c’erano sempre i suoi quattro bambini, eta’ variabili da pochi anni a pochi mesi. Le chiesi, un po’ indignata, per quale motivo se li portasse dietro, invece di mandarli a scuola o almeno lasciarli a casa. Mi rispose con gentilezza, disse che non aveva casa: viveva in un campo abusivo, una baraccopoli lungo il fiume, un luogo pericoloso per lasciarci quattro bambini piccoli. Inoltre, non avevano acqua ne’ luce, quindi non poteva lavarli, a scuola non li lasciavano entrare in quanto ”sporchi”.
Passarono i mesi, chiacchieravo spesso con lei: Daniela, romena di origine, scappata dal suo paese per la tremenda crisi economica degli anni Novanta, era intelligente e dolce, i bambini un amore. Portavo loro qualche vestito smesso di mia figlia, giocattolini, compravo cornetti e cappuccini per la colazione.
Un giorno Daniela mi disse che si stava liberando un modulo abitativo in un campo regolare e attrezzato, ma che per averlo era necessario pagare una buonuscita. La cifra era abbastanza alta ma in quel periodo guadagnavo bene, qualcosa potevo togliermi di tasca. Organizzammo una colletta, con un paio di altre persone del quartiere, e consegnammo a Daniela la somma in contanti.
Poi, per parecchio tempo non l’ho piu’ vista. Ovviamente, mi ha sfiorato l’idea che fosse tutta una balla per scucirmi soldi, ma solo per pochi minuti: alla fine, preferivo rischiare di essere truffata, che rischiare di non aiutare qualcuno per timore di essere truffata.
Passa qualche altro mese, arriviamo sotto Natale, e una mattina la ritrovo sotto il mio portone, insieme ai suoi due figli maggiori rivestiti a nuovo, puliti e pettinati. Mi spiega che non si era fatta più vedere perché i bimbi, grazie alla nuova ”casa” con acqua corrente, avevano potuto riprendere ad andare a scuola. E aveva infatti aspettato le vacanze di Natale per venire a salutarmi. Mi fece vedere le foto della ”casa”: una specie di container, certo, ma dotato di servizi decenti e letti veri.Lei aveva trovato un lavoretto, suo marito aveva assunto un ruolo di mediatore culturale al campo. Insomma, erano felici.
Per festeggiare, dico ai bambini che avrei fatto loro un regalo di Natale, quello che preferivano. Il piu’ grande, timidissimo, mi rispose che avrebbe voluto un dizionario di italiano: a scuola si era reso conto che aveva molto da imparare della nostra lingua, ”troppe parole che non so cosa significano”. Lo portai alla libreria Mondadori li’ di fronte,comprammo un bellissimo dizionario adatto alla sua eta’. Il fratellino piu’ piccolo, invece, sognava di avere ”un albero di Natale con le lucine, ora che abbiamo una casa, sarebbe bello. Non ne abbiamo mai avuto uno”.
La mia storia finisce qui. La storia di Daniela e’ proseguita ancora per diversi anni in Italia, a Roma, e poi al suo paese, dove e’ tornata quando nel 2007 la Romania e’ entrata a pieno titolo nell’Unione Europea. Vennero a salutarmi tutti insieme, erano ancora felici, o almeno lo sembravano.
So che suona come una storia da libro cuore, poco adatta ai tempi. Ma aver cambiato la vita di un piccolo gruppo di persone e’ ancora la cosa di cui sono più orgogliosa. Qualcosa che potrò ricordare di aver fatto, quando alla fine dei miei giorni dovrò pesare il bene e il male.
(E poi si, ci sono anche gli zingari brutti e cattivi che rubano. Mi hanno svuotato casa, due anni fa. Cose preziose e cose amate. Ma sono solo cose, appunto. E mai, mai, mai, mi verrebbe in mente di maledirli in massa. Ne’ mai di ”censirli”, ovviamente).
Nunzia Penelope