“Meno solisti e più lavoro di squadra: condividiamo – commenta il presidente CIDA Giorgio Ambrogioni – la posizione espressa dal leader di Confindustria Giorgio Squinzi, a Bologna, nell’ambito della prima giornata del Viaggio l’Italia che innova promosso dal Sole 24 Ore”.
“L’innovazione unita alla ricerca sono asset cruciali per lo sviluppo del paese, a patto di saper superare i vincoli storici che hanno bloccato e continuano a bloccare la ripresa del Paese – prosegue Ambrogioni -. L’abbattimento dell’eccessivo peso fiscale e la rimozione del macigno della burocrazia, sono aspetti cruciali che vede CIDA, la Confederazione dei dirigenti del settore pubblico e privato, impegnata da sempre in primissimo piano, con proposte e l’impegno professionale dei propri associati. Nel contempo riteniamo che rivesta una fondamentale importanza la promozione e diffusione di un’adeguata cultura manageriale che possa essere volano di innovazione dentro le imprese e gli enti pubblici, migliorandone performance, efficienza e competitività internazionale, come dimostrano gli studi più recenti”.
Un apprezzamento arriva da Ambrogioni anche su quanto sostenuto nella stessa sede dall’ex Premier Romano Prodi, che ha rilevato come nell’attuale contesto industriale italiano brillante ma segnato dall’assenza delle grandi imprese, un elemento di modernizzazione potrebbe essere rappresentato dall’adozione del modello della Fondazione familiare tedesca.
“Un’ipotesi – sostiene il presidente CIDA – degna di essere presa in esame in quanto può effettivamente venire incontro alle caratteristiche del nostro sistema imprenditoriale fatto di piccole e medie imprese sempre più impegnate nel delicato passaggio generazionale. Ma tutto questo non può prescindere da un chiaro disegno di politica industriale che al momento non si intravede, mentre assistiamo a continue acquisizioni estere di asset industriali di rilievo strategico: dall’energia alle telecomunicazioni, etc. In questo ambito la politica è sollecitata a mantenere alto il livello di attenzione rispetto al caso della Cina, di cui è in questi giorni in discussione l’ammissione nell’ambito del WTO (contro cui si sono già pronunciate USA, Canada e India). I pericoli connessi sono molto gravi e concreti se consideriamo che il 40% delle imprese oggi difese dal dumping sono italiane e che su 51 prodotti “protetti”, ben 30 provengono dal belpaese che risulterebbe proprio per questo il più colpito anche sul fronte fra tutti più delicato: quello occupazionale”.