Pier Paolo Baretta, per anni al vertice della Cisl come segretario generale aggiunto,adesso deputato del Pd, non ha smesso di guardare ai fatti sindacali. Ed è spaventato dalla crisi dell’unità tra le confederazioni. Perché è stata messa in crisi l’identità confederale del sindacato, e perché alcuni esponenti della maggioranza stanno perseguendo l’ipotesi di un bipolarismo sindacale, un grave errore a suo avviso. Per questo pensa che la politica debba fare un passo indietro e ristabilire rapporti di parità con il sindacato. Ma intanto le confederazioni e i sindacati a vocazione confederale dovrebbero tornare a stare assieme. Baretta pensa a una Federazione, come quella degli anni 70, allargata da Cgil, Cisl e Uil a Ugl, Confsal e altri soggetti.
Baretta, le sembrano riassorbibili le divisioni all’interno del movimento sindacale?
Non sono ottimista. Mi sembra che questo momento sia molto difficile. Non solo perché si moltiplicano gli accordi separati, quanto perché a mio avviso la vertenza Alitalia ha portato la rottura a un punto essenziale per il sindacato.
Cosa è successo?
E’ emerso con chiarezza che sui temi della rappresentanza e della rappresentatività esistono all’interno del sindacato due distinti modelli di riferimento, con precisi risvolti politici.
Quando è successo?
Quando Epifani ha detto che non avrebbe firmato l’accordo se non firmavano anche i piloti.
Una cosa grave?
In un certo senso sì, perché così è stata messa in discussione l’identità confederale, la capacità delle confederazioni di rappresentare tutti, caratteristica tipica del modello sindacale italiano. Altri paesi basano la rappresentanza sui sindacati di mestiere, noi abbiamo sempre avuto sindacati di categoria e sindacati confederali. Cosa diversa dalle aggregazioni di piloti, assistenti di volo, macchinisti. E la Cgil, dal Piano del lavoro di Di Vittorio, ha sempre avuto una forte vocazione confederale, ma in un certo senso Epifani l’ha messa in dubbio. Ma non c’è solo questo.
Cos’altro c’è?
Mi preoccupa il tentativo presente in alcuni esponenti della maggioranza di rompere l’unità del sindacato e realizzare una sorta di bipolarismo sindacale. Di schiacciare la Cgil e Il Pd da una parte con l’idea avventurosa di creare un polo moderato.
Un progetto realizzabile?
Non credo che questa ipotesi sia praticabile, il sindacato è vaccinato, lo sono la Cisl e la Uil . Ma il tentativo è in atto. E la crisi del negoziato sulla riforma dei contratti favorisce questo tentativo, come il fatto che si continuino a fare tanti accordi separati.
Ma lei dice che l’ipotesi non è praticabile.
Sì, ma questo tentativo comunque allontana l’ipotesi di un sindacato più riformista, più autonomo.
E allora che bisogna fare?
Io credo che tutta la politica debba fare un passo indietro. Per il Pd sarebbe una sciagura avere come riferimento un solo sindacato, la Cgil nel caso. Sarebbe un errore di visione strategica. Avremmo sindacati di destra e di sinistra, associazioni di destra e di sinistra. un disastro. Credo che si debba riaffermare invece la natura sindacale della dialettica. Le differenze, le liti e le necessarie e auspicabili mediazioni debbono tornare ad avere una natura sindacale e non politica. Se Cgil, Cisl e Uil litigano o vanno d’accordo, deve essere solo per motivi sindacali, non politici.
Lei auspica un allontanamento tra politica e sindacato?
Un passo indietro non significa agnosticismo. Ciascuna forza politica e sindacale deve avere una propria visione e queste si devono confrontare, ma sempre su un piede di parità, il sindacato deve essere considerato alla stessa stregua della politica, il confronto deve essere paritario, si deve svolgere sui contenuti e non sugli schieramenti.
Il sindacato cosa deve fare?
Dovrebbe fare come nel 1993, quando, pochi mesi dopo l’accordo sui contratti si fece anche un importante accordo sulla rappresentanza, si formarono le Rsu. Il problema della democrazia sindacale è maturo, va affrontato, non si può risolvere i problemi ogni volta in maniera diversa, servono delle regole. La politica sta facendo importanti riforme, il federalismo, la legge di bilancio, i regolamenti parlamentari: il sociale faccia la sua parte, presenti al paese una sua formula per i contratti e la rappresentanza. Ma, dal momento che in politica non esistono vuoti, deve fare presto, perché altrimenti si muove la politica.
In questo modo tornerebbe l’unità sindacale?
Non l’unità organica, che per la nostra generazione era l’unità vera. Quella non è più realizzabile. Sarebbe auspicabile e possibile una Federazione, come quella degli anni 70.
Tra quali soggetti?
Distinguerei i sindacati confederali e quelli a vocazione confederale dagli altri, dalle associazioni professionali, dai sindacati di mestiere. Le confederazioni potrebbero raggrupparsi in questa federazione, una volta verificata la loro rappresentatività.
Verificata in che modo?
Può essere efficace il mix dei voti espressi per le elezioni delle Rsu, molto diffuse, e di quelli sulle tessere, verificate magari da un ente terzo, l’Inps, l’Aran o una nuova Authority.
Con quali attori?
Cgil, Cisl e Uil, ma anche l’Ugl, la Confsal, forse anche la Cisal, che comunque è firmataria di contratti nazionali di categoria, alcuni sindacati dei quadri. Cgil, Cisl e Uil non dovrebbero preoccuparsi di questo allargamento, perché comunque il loro livello di rappresentatività è tale che avrebbero sempre un ruolo egemonico di grande forza. E in questo modo il sindacato avrebbe le carte in regola e la forza per aprirsi alle forze di lavoro oggi non rappresentate.
24 novembre 2008
Massimo Mascini