Il segretario generale della Fim-Cisl, Roberto Benaglia, lancia l’allarme smart working. Senza il rinnovo della gestione emergenziale del lavoro agile nell’ultimo decreto Sostegni, a maggio c’è il pericolo di trovarsi in una situazione caotica. Il numero uno dei metalmeccanici della Cisl chiede alle relazioni industriali di “rimboccarsi le maniche”, per regolamentare lo smart working e traghettarlo oltre la pandemia
Benaglia, nell’ultimo decreto Sostegni non è stata rinnovata la gestione emergenziale dello smart working, che ha scandito questo anno di pandemia. Che situazione potremmo avere?
Molto caotica. Il rischio è che all’inizio di maggio ci saranno milioni di lavoratori senza nessun tipo di tutela, e aziende che non sapranno cosa fare, e questo non possiamo assolutamente permettercelo. Serve uno sguardo lungo e di prospettiva su questa nuova forma organizzativa.
Bisogna andare oltre la pandemia.
Assolutamente sì. Lo smart working è divenuto, a causa del covid, un fenomeno di massa, che richiede un approccio nuovo per essere regolamentato al meglio.
La legge non può dare una mano?
Al momento l’unica legge che abbiamo è la 81 del 2017, pensata per uno smart working totalmente diverso da quello che stiamo vivendo, perché riguardava aziende e lavoratori che volontariamente volevano attuarlo. Come dicevo dobbiamo fare i conti con un fenomeno totalmente diverso, imposto dalle condizioni che stiamo vivendo, e che ha investito una platea di 5 milioni di lavoratori.
Dunque la contrattazione rimane l’unica strada?
Le relazioni industriali devono rimboccarsi le maniche, e non c’è un’unica modalità di intervento. Si può realizzare un accordo quadro, al livello confederale, oppure muoversi nelle singole categorie. Ma è chiaro che la contrattazione, grazie alla sua flessibilità, rimane l’unica strada.
Le relazioni industriali sono pronte per cogliere questa sfida?
Assolutamente sì. Molti contratti nazionali, firmati di recente, come quello dei metalmeccanici, delle Tlc, disciplinano e regolamentano il lavoro agile. C’è sicuramente terreno fertile nelle relazioni industriali per affrontare questa sfida.
Questa nuova regolamentazione del lavoro agile da quali punti dovrebbe partire?
Diritto alla disconnessione, tutela della salute e della sicurezza, con una postazione di lavoro che, anche a casa, sia il più possibile ergonomica, grazie alla strumentazione fornita dall’azienda, e un’organizzazione puntuale e precisa degli orari, per evitare il rischio che la giornata lavorativa non abbia mai termine. E infine, ma non per questo meno importate, la formazione. Lo smart working richiede un salto culturale significativo, sia nei lavoratori che nel management. Secondo noi sono queste le basi dalle quali partire per una nuova definizione del lavoro agile, che vada oltre la fase emergenziale.
Le aziende più grandi, meglio strutturate, già da tempo guardano allo smart working. Il problema sono quelle più piccole.
Infatti, ed è per questo che serve una visione condivisa dei sindacati e del mondo datoriale. L’azione della contrattazione deve guardare al tessuto delle piccole e media imprese, che rappresentano la spina dorsale del nostro sistema produttivo, che da sole non hanno la forza e dove non si fanno gli accordi aziendali.
Un settore tradizionale, come quello dei metalmeccanici, come ha recepito lo smart working?
Innanzitutto bisogna ripulire il campo da un’immagine ormai sorpassata delle tute blu. Il 51% dei lavoratori coperti dal contratto di Federmeccanica svolge un ruolo impiegatizio, oppure sono tecnici o informatici. Inoltre ho visto come anche mansioni più “classiche”, possono essere svolte tramite ipad. C’è dunque una forte propensione al lavoro agile anche nell’industria meccanica.
Avete realizzato una mappatura del lavoro agile nel mondo dei meccanici?
Prossimamente la Fim-Cisl avvierà uno studio proprio in questa direzione. Naturalmente si tratta di un fenomeno che può avere una doppia faccia. Da un lato ci sono dei benefici, che si traducono in una riduzione degli spostamenti e in un maggiore flessibilità. Dall’altra, il rischio più grande è l’isolamento del lavoratore, così come la difficoltà nel separare la sfera privata da quella professionale.
Tommaso Nutarelli