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Home - Approfondimenti - Interviste - Bianchi, l’Italia riparta dai big data e dai supercomputer

Bianchi, l’Italia riparta dai big data e dai supercomputer

di Nunzia Penelope
29 Maggio 2020
in Interviste

Sull’Italia sta per arrivare una pioggia di miliardi europei. Ci si interroga su come spenderli, e ovviamente ognuno ha la sua ricetta. Il succo, tuttavia, è solo uno: sapremo usare queste risorse per far uscire l’Italia dalla crisi post pandemia, ma anche dalla sostanziale stagnazione nella quale vivacchiamo da decenni? Lo abbiamo chiesto a Patrizio Bianchi, economista, già rettore dell’Università di Ferrara, assessore alla Regione Emilia Romagna e, da ultimo, anche responsabile della task force del Governo per la ripartenza della scuola.

Bianchi, c’è una ricetta di politica industriale che potrebbe rendere l’Italia un paese moderno, con una crescita adeguata al suo ruolo di potenza industriale?

Occorre fare una riflessione preliminare: bisogna rendersi conto che oggi siamo di fronte alla crisi del virus, ma di fatto sono vent’anni, anzi di più, direi che è dagli anni Ottanta che il nostro paese ha un tasso di crescita più basso di qualunque altro paese sviluppato. Siamo entrati nella crisi a febbraio, appena tre mesi fa, con un tasso di crescita dello zero virgola. In altre parole: il paese è fermo oggi per la pandemia, ma era fermo anche prima della pandemia. Cresce poco e in modo discontinuo, con un nord che cresce un pochino meglio e un sud che ormai non cresce affatto. Problemi che erano presenti, ripeto, da ben prima del virus.

Ed è a questi problemi, dunque, che occorre trovare soluzione? Alle ragioni della nostra ormai pluridecennale mancata crescita?

Appunto. Il tema oggi non è superare il blocco attuale dell’economia, ma quello degli ultimi trent’anni. Qui propongo una seconda riflessione: chiedersi a cosa dovevamo quella poca crescita che riuscivamo a fare. Praticamente, solo grazie all’export. Ma con un cambiamento importante: oggi  la principale voce di export non è più, come un tempo, la moda, il made in Italy, il parmigiano, ma la tecnologia, i macchinari, le linee di produzione, i sistemi di robotizzazione. Un terreno su cui siamo forti e che va coltivato ulteriormente 

Possiamo crescere solo grazie all’export? 

No, non possiamo crescere solo con l’export: occorre  rilanciare la domanda interna. Che da anni però stiamo tagliando, a causa del debito. Per questo dico che oggi serve un piano di opere pubbliche. 

Opere pubbliche di che tipo?

Orientate innanzi tutto su scuola, formazione, università, ricerca. Nell’epoca della conoscenza, noi siamo in una situazione imbarazzante. I dati Ocse dicono che siamo il paese che investe di meno proprio in un settore che tutti riconoscono come fondamentale. Quindi, investire fortemente in educazione e conoscenza. E  non solo per i ragazzi, i giovani, ma anche per gli adulti. 

Pensa alla formazione continua? 

Occorre ri-formare anche gli adulti. Basta vedere cosa è accaduto in questi mesi, quando lo smart working ha costretto tantissimi a misurarsi con un’innovazione tecnologica che non padroneggiavano. Fino a tre mesi fa il lavoro da remoto era appannaggio di un pugno di aziende e di addetti, oggi coinvolge una platea enorme, con altrettanto enorme divario tra chi è in grado di cimentarsi con la tecnologia e chi resta indietro. Queste persone vanno sostenute con un retraining che le metta in grado di recuperare il gap.

E cosa altro serve per ripartire? 

Per esempio, pensare non solo alle autostrade, ma alle autostrade digitali. In tre mesi siamo andati da zero a 100, abbiamo fatto un balzo avanti incredibile, lavorare da remoto oggi è una necessità per tutti, a partire dalla pubblica amministrazione. Questo cambierà profondamente l’organizzazione delle imprese, e nello stesso tempo richiede però infrastrutture adeguate: la banda larga occorre subito, non fra tre anni. Il piano del governo dice nel 2023, ma è tardi: serve qui e ora. E che copra veramente tutto il paese. 

L’Italia su questo terreno è arretrata. Forse  c’è stata una sottovalutazione?

Quando è avvenuto il passaggio fondamentale dal 3G al 4G, noi eravamo distratti. Per noi quegli anni, mi riferisco al periodo tra il 2010 e il 2012, sono stati gli anni del passaggio dal governo Berlusconi al governo Monti. Nel mondo si parlava del 4G, da noi si parlava di come uscire dalla trappola dello spread a 500. Adesso siamo alle soglie di un altro passaggio epocale, quello al  5G, e stavolta non possiamo distrarci. Va colta l’occasione per definire un progetto sui cui basare il piano operativo per la digitalizzazione del paese. 

Ma oltre alla digitalizzazione, alla tecnologia, c’è anche l’industria tradizionale, quella del manifatturiero, dell’auto, eccetera. Cosa ne sarà?

C’è un’industria che ha funzionato, ed è quella delle macchine, della farmaceutica, dell’alimentare. E altre che non hanno funzionato, l’edilizia, il piccolo commercio, la meccanica non qualificata, ecc. Quanto all’auto, in Italia l’unica domanda al proposito è cosa intende fare Fca, come e su cosa intende investire. In ogni caso, oggi vanno riorganizzati tutti i cicli produttivi e le reti di subfornitura, a tutti i livelli, imprese grandi e piccole. Per evitare che si ripresentino, in futuro, i problemi che abbiamo conosciuto negli ultimi mesi. 

La struttura industriale italiana è all’altezza? 

Nell’industria italiana ci sono tantissime competenze, c’è innovazione. Nel nuovo triangolo industriale, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, abbiamo dei punti di forza che forse sono sottovalutati. Inoltre c’è tutto il terreno fondamentale dei big data, sul quale abbiamo già un vantaggio competitivo.  

Questo mi giunge nuovo. Siamo così avanti?

Il cuore del supercalcolo europeo è a Bologna, dove si sta realizzando il super computer Leonardo, che sarà il più potente d’Europa, e fa parte di EuroHpc, il consorzio che sta realizzando un’infrastruttura europea di high performance computing. Ma ci sono altre iniziative, come l’Infn, la Fondazione internazionale per i big data e l’Intelligenza artificiale per lo sviluppo umano, o il Centro meteo europeo, sempre a Bologna. In pratica, abbiamo la maggiore concentrazione d’Europa in materia di trattamento dei dati scientifici, che diventano la nuova materia prima sia per l’industria manifatturiera, sia per le problematiche del cambiamento climatico, i temi della scienza della vita, ecc. E’ su questo che occorre puntare per una politica industriale che ci spingerà verso la crescita. Incentivi a pioggia non servono. 

Ma comunque resta che i soldi ci servono, se vogliamo ripartire.

Ma servono ancora di più mercati aperti, per un paese che punta sull’export, e serve inserirsi nelle reti europee. Dobbiamo far parte di un progetto complessivo di politica industriale europea, di una visione collettiva, perché ormai da soli non si va più da nessuna parte. Non basta che ci diano dei soldi, occorrono i progetti. 


Nunzia Penelope

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Vicedirettrice de Il Diario del lavoro

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