La forza (e la storia) di grandi organizzazioni come la Cgil non è solo quella dei suoi grandi leader. Uomini e donne che hanno segnato con i loro nomi intere epoche storiche oltre che grandi battaglie. Da Turtura a Di Vittorio, passando per Novella e Scheda, per Lama e Trentin, Garavini e Foa o ancora più recentemente Cofferati, Epifani, Camusso o lo stesso Landini.
La forza della Cgil risiede anche e forse soprattutto in centinaia e migliaia di quadri sindacali, delegati, funzionari, militanti, uomini e donne che hanno messo la propria passione, intelligenza, tempo a disposizione della causa dei lavoratori e della loro emancipazione.
Radicali o riformisti che fossero, del Nord o del Sud, istruiti o a mala pena alfabetizzati, metalmeccanici o edili, commessi di supermercato o impiegati pubblici. Donne e uomini che dalla gavetta, dal ruolo di delegato sul posto di lavoro hanno via via visto il proprio impegno crescere come crescevano le responsabilità.
Dirigenti con la “D” maiuscola, che sapevano e sanno come gestire un’assemblea complicata e, con sapienza, i momenti di rottura, le lotte ma anche il momento complesso della sintesi, della mediazione e dell’accordo.
Francesco Giuseppe (già il nome così altisonante dice tutto) era parte di questa aristocrazia sindacale.
Nata in Calabria e arrivato, da solo, a Milano ad undici anni per sfuggire a miseria e povertà, diviene un meneghino fin nel midollo (e orgoglioso di esserlo) e va subito a lavorare come apprendista e poi come operaio delle celle frigorifere di un grande supermercato, delegato Filcams (noti i suoi aneddoti contro il capo del personale della sua impresa che lo portarono più volte prossimo al licenziamento), fu poi dirigente, oltre che della sua categoria di provenienza, della SLC-Cgil di Milano (il sindacato delle comunicazioni, tlc, postali, industria della carta ecc.). L’uomo giusto per accompagnare la fusione della Filis (grafici e poligrafici) e dei postini e telefonici (la storica Fidat e poi la Filpt), sindacati molto diversi e a Milano anche politicamente “pesanti” (Corriere della Sera, Mondadori, ma anche Telecom e tutto il mondo delle nascenti tv berlusconiane) in quella, appunto, che sarebbe sarebbe stata la SLC.
Un comunista riformista o se vogliamo “migliorista” come molti di quella generazione e di quella Camera del Lavoro, ma soprattutto un vero e proprio “maestro” del come essere prima di tutto un sindacalista preparato e concreto.
Attento sempre a misurare costi e benefici di ogni scelta sindacale, a non mollare mai un tavolo di trattativa fino alla fine, fino all’ultimo momento. Brusco, se vogliamo, con i delegati e le stesse delegazioni trattanti, soprattutto nelle interminabili notti di Via Noale all’Unione Industriale di Roma o in Assolombarda, ma sempre rispettoso delle opinioni di tutti e alla fine, come uno zio brontolone, pronto a dirti comunque quella parola di conforto che serviva.
Francesco Giuseppe da giovedì non è più con noi. Se ne è andato a 73 anni, in pace e senza soffrire, pagando forse anni di troppe sigarette e duro lavoro. Ora è il momento dei ricordi e del dolore e tante compagne e compagni, ma anche tanti amici di Fistel Cisl e Uilcom Uil e diversi importanti dirigenti di impresa e di Asstel Confindustria, potrebbero raccontare, tra l’amarezza della perdita e il dolce-amaro di tanti momenti vissuti insieme, quanto Francesco Giuseppe – per tutti Cecco Beppe – sia stato un dirigente di grande caratura ma anche umanità.
E ricordare quante volte, una volta giunto a Roma in Slc Cgil Nazionale, ci ha tolto di impaccio, in quella o questa vertenza.
Soprattutto a noi dirigenti più giovani, così ingenui e forse anche un po’ presuntuosi. A noi, che scriviamo, ci ha accompagnato letteralmente tenendoci per mano, spiegandoci quello che nessun manuale universitario potrà mai insegnare, ma solo l’esperienza di anni di tavoli e trattative e la capacità di leggere l’interlocutore, capirne sia le legittime richieste che anche le strumentalità.
Cecco Beppe ne ha tirati su tanti e tante, in Slc Cgil. Come contrattualista ma anche come attento conoscitore delle dinamiche organizzative. E mi vengono in mente compagni e compagne come Daniele, Alessio, Davide, Barbara, Antonello, Gianluca, Giulia e tante e tanti altri che da Cecco si sono presi rimproveri ed incoraggiamenti, consigli e “cazziate”.
Ma se oggi, nel bene e nel male, siamo tutti uomini e donne “un po’ migliori” come militanti sindacali e soprattutto come persone lo dobbiamo anche a lui e a tutti quelli che come Cecco hanno perso tempo ed energia per insegnarci a dire sempre quello che si pensa, a battersi per quello che è giusto, con i piedi “ben piantati a terra”.
Ciao Cecco.
Alessandro Genovesi e Riccardo Saccone




























