Sarebbero circa un milione, secondo l’ufficio studi di Confartigianato, i lavoratori “abusivi” del settore dell’artigianato. Secondo il rapporto di Confartigianato sulIe “Imprese artigiane esposte alla concorrenza sleale del sommerso”, infatti, il tasso di irregolarità, tra i lavoratori autonomi, tocca il 13,8%; quota che sale poi a 12,4% se si allarga lo sguardo al totale dell’economia e ai lavoratori dipendenti.
Per la precisione i lavoratori in nero sono 881mila, ma lavorando in media molte più ore dei regolari, queste 881 mila unità valgono come 1 milione e 34mila “unità di lavoro equivalenti a tempo pieno” (ula).
Questo esercito di abusivi non solo “fa concorrenza sleale alle imprese regolari – come si legge nel rapporto che ha elaborato i dati contenuti nei conti nazionali pubblicati dall’Istat a settembre – ma determina una rilevante evasione fiscale”. Secondo le stime di Confartigianato, la presenza di una fetta così ampia di lavoro irregolare determina infatti un’evasione fiscale e contributiva, da parte dei soli lavoratori autonomi, pari a 11,78 miliardi: 3,8 miliardi di Iva, 2,8 di Irpef, 604 milioni di Irap e 4,54 miliardi di contributi sociali. Tanto per rendere l’idea, l’importo evaso dagli abusivi, in media 14.209 euro a testa all’anno, rappresenta lo 0,7% del Pil nazionale ed equivale alla spesa sanitaria di Veneto e Marche messe insieme.
Giorgio Merletti, presidente di Confartigianato, commentando i critici dati evidenziati dal rapporto, ha dichiarato: “Non servono interventi spot e dichiarazioni di buone intenzioni. Il fenomeno del sommerso va combattuto senza ipocrisie e in modo strutturale, intervenendo sulle cause che lo favoriscono, vale a dire tutto ciò che ostacola l’attività delle imprese che lavorano alla luce del sole, a cominciare dal carico fiscale e contributivo troppo elevato e dall’eccesso di burocrazia”.
F.P.