Quindici minuti a testa, 45 in totale, non sono molti per dire tutto quello che c’è da dire. Ma Cgil Cisl e Uil, in questo primo a molto atteso incontro con Mario Draghi, sanno bene di non poter mettere sul piatto tutti i problemi aperti. Le priorità del resto le conoscono tutti: alcune contingenti, altre di più lungo periodo. Nel primo gruppo c’è il blocco dei licenziamenti: cosa farà Draghi, lo prorogherà oltre il 31 marzo, o metterà la parola fine? I sindacati, come è ovvio, chiederanno una proroga ulteriore, probabilmente fino a giugno. Dopodiché, sanno benissimo che non si può andare avanti all’infinito. E dunque una exit strategy toccherà studiarla.
Soprattutto, i sindacati temono che le imprese possano approfittare del liberi tutti per ristrutturarsi, mettendo fuori la mano d’opera considerata superflua: alla luce delle nuove modalità del lavoro, vedi smart working, ma anche dei nuovi poderosi fondi per Industria 4.0, che rendono più conveniente alleggerirsi di persone a favore di macchinari. In realtà non sarebbe sbagliato ammodernare le nostre imprese, moltissime delle quali rimaste più o meno all’età della pietra; ma questo rinnovamento deve avvenire, chiedono i sindacati, senza sacrifici umani; dunque, solo con una rete di protezione tale da consentire a lavoratori espulsi un sistema di ammortizzatori sociali adeguato e potenziato, accompagnato dalla indispensabile formazione che consenta una ricollocazione nel mondo del lavoro. La trattativa col governo Conte su questo tema era stata spesso annunciata, ma mai decollata; dunque occorre tempo, e certo non sarà possibile arrivare al traguardo di un nuovo sistema di ammortizzatori sociali entro la fine di marzo.
L’altro tema di più lungo periodo è quello del recovery fund: i sindacati avevano chiesto a Conte, e ribadiranno a Draghi, di coinvolgere le parti sociali. Non nella gestione dei fondi, ma nel monitoraggio della spesa. L’attuale Piano del governo, pur riscritto e arricchito, non fornisce ancora nessuna idea del come e del quanto, in termini di ricadute occupazionali e degli altri fondamentali obiettivi. Dunque, occorre un metodo, un cronoprogramma, qualcosa che consenta anche ai sindacati di verificare come sono spesi quei 300 miliardi di cui si parla, come verranno individuati i settori sui quali investire, chiamando in ballo, quindi, anche un confronto sulla politica industriale.
Ma l’appuntamento con Draghi non sarà solo per chiedere: anche per offrire. Nel sindacato si sta riflettendo sulla possibilità di ripetere la luminosa esperienza della scorsa primavera, quando, unendo i loro sforzi a quelli delle imprese, misero a punto il famoso protocollo per la sicurezza, che consentì all’Italia della produzione di non chiudere del tutto i battenti, ma continuare a lavorare malgrado il lock down. Quel poco di Pil che abbiamo salvato, lo dobbiamo in gran parte proprio a questa iniziativa, fatta poi propria dal governo Conte.
Oggi, si chiedono i sindacati, in che cosa potremmo essere nuovamente utili al paese? La risposta che sta emergendo è: piano vaccini. Ovvero, unire gli sforzi di sindacati, imprese e governo per mettere a punto una rete realmente funzionante di logistica, persone, strutture, e quanto altro sarà necessario per riuscire, nel più breve tempo possibile, a mettere in sicurezza l’intera popolazione. Condizione imprescindibile per avere una ripartenza dell’economia, ma anche della fiducia e della speranza. Dunque, una nuova intesa potrebbe partire da qui, da un piano straordinario per il paese che consenta di accelerare al massimo i vaccini. Poi, si penserà a tutto il resto.
Un ”tutto il resto” che non è poco: riforma della pubblica amministrazione, sburocratizzazione, accelerazione degli investimenti, stabilizzazione dei precari, riforma fiscale, riforma delle pensioni e uscita da quota 100, eccetera eccetera. Tantissima roba, che non potrà essere affrontata e risolta in un solo appuntamento. E che, al momento, i sindacati intendono affrontare con atteggiamenti differenti. Con la Cisl che punta al grande patto di concertazione, stile Ciampi 1993, e la Cgil che invece è disposta solo a singoli patti, capitolo per capitolo, senza impelagarsi in una nuova stagione di concertazione che conduca a un ”pattone”. Questo, almeno, sembra abbia ribadito Landini, nel corso della segreteria che la Cgil ha tenuto lunedì sera per fare il punto prima dell’incontro con Draghi. Ma la sensazione è che Landini – uomo pragmatico almeno quanto lo stesso Draghi, al quale, peraltro, ha dato una doppia apertura di credito totale, prima nell’intervista tv con Lucia Annunziata, e subito dopo sulle colonne di Repubblica – sia in realtà più disponibile a realizzare un patto ampio col governo di quanto affermi pubblicamente. D’altra parte, se c’è da decidere il futuro del paese per i prossimi almeno dieci anni, il sindacato non può non ”starci dentro”. E per starci dentro, occorre appunto un patto di ampio respiro.
Nunzia Penelope