Gli ultimi 18 mesi dall’inizio della pandemia hanno portato cambiamenti epocali e un lessico nuovo nella nostra quotidianità lavorativa. Ma alcuni cambiamenti e termini sono tutt’altro che transitori, anzi sono destinati a rimanere.
Parole come digital divide, competenze digitali, inclusione, riqualificazione, Green Pass e smart working ormai sono prevalenti nel dibattito pubblico. In particolare, su quest’ultimo termine stiamo comprendendo e valutando cosa correggere e cosa consolidare per costruire il vero smart working al termine della versione semplificata prevista per il 31 dicembre 2021.
Facciamo un passo indietro: prima di tutto bisogna ripensare il lavoro a 360°. Ciò potrà avvenire esclusivamente ponendo in atto un’operazione culturale che coinvolga politica, imprese, sindacati e singoli lavoratori, e che metta al centro le persone e la loro tutela sanitaria. Come è accaduto per l’introduzione del Green Pass per i luoghi di lavoro, che ha visto una progressiva sinergia tra tutti gli attori coinvolti.
Dobbiamo pertanto uscire dall’attuale narrazione del lavoro – in questi ultimi mesi più a distanza che smart – e superare la rigidità e misurazione degli orari, del tempo e dello spazio, attribuendo maggiore autonomia alle persone sulla base di obiettivi chiari e condivisi, misurabili all’interno di nuovi processi organizzativi ed esercitando pienamente modelli di leadership diffusa e inclusiva. Non solo, abbiamo la responsabilità di individuare e migliorare i modelli organizzativi di lavoro anche alla luce delle nuove disposizioni per l’accesso negli uffici dei dipendenti pubblici e privati.
In sostanza, serve un processo culturale e di formazione che poggi però le basi su una solida infrastruttura digitale. Ovvero, non ci può essere un lavoro smart senza un vero ecosistema digitale accessibile a ognuno di noi. Per questo, dobbiamo pianificare una copertura omogenea dell’intero territorio nazionale con le reti VHCN e la tecnologia 5G che rappresentano il fondamento per assicurare la parità di opportunità di lavoro e studio e in prospettiva la coesione sociale, in una economia che si avvia verso la trasformazione digitale dell’industria e dei servizi. Si tratta di obiettivi che il Piano Italia a 1 Giga compreso nel progetto Reti Ultraveloci si pone di raggiungere entro il 2026 e che come Asstel abbiamo accolto positivamente.
Ma non finisce qui. Nel percorso di digitalizzazione del Paese, i processi di alfabetizzazione digitale assumono un valore decisivo e sociale, poiché la rivoluzione del “nuovo lavoro” riguarda oggi circa 5 milioni di persone, di cui oltre 90.000 solo nella Filiera delle TLC. Bisogna altresì puntare su piano straordinario di alfabetizzazione digitale e di contaminazione e apertura tra generazioni, che parta dalle scuole dell’infanzia e si sviluppi lungo tutta la vita del lavoratore, decisivi saranno pertanto gli investimenti sull’educazione e sulla formazione permanente previsti sino al 2025.
In particolare, la Filiera delle TLC nel 2020 ha coinvolto in attività formative il 100% delle dei suoi lavoratori, per una media di 5-6 giornate che nel 2021 sono salite a circa 9, continuando così anche nei prossimi anni. Le stime indicano oltre 100mila dipendenti formati con una spesa complessiva di circa 100 milioni di euro fino al 2025. Inoltre, uno studio condotto recentemente con il supporto degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano e che ha coinvolto direttamente le imprese della Filiera TLC, attesta che nel 2020 sono state coinvolte oltre 75mila persone in attività di upskilling e oltre 28mila in attività di reskilling.
Abbiamo di fronte una grande sfida e un enorme potenziale da tutelare e mettere a sistema, che riguarda anche le donne e i giovani, per i quali lo smart working può e deve rappresentare una risorsa e un’opportunità per valorizzare ancora di più il loro ruolo nei contesti lavorativi e creare il giusto mix di competenze e saperi nelle imprese. Il mercato del lavoro nel suo complesso ha infatti, sempre più bisogno di individuare un punto di equilibrio tra le esigenze delle imprese e quelle delle persone, favorendo un migliore bilanciamento tra vita privata e lavoro e tra disconnessione e inclusione.
Lo smart working è dunque una chance imperdibile per il Paese per dar vita a una commistione di saperi e approcci innovativi, per trarne la sintesi più efficace e apportare un valore comune a tutela delle persone. Le imprese hanno bisogno di implementare rapidamente nuovi modelli organizzativi del lavoro per porre le persone nelle condizioni di operare al meglio – per un tempo lungo di vita lavorativa – in un mercato in progressiva e rapida evoluzione.
Laura Di Raimondo