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Home - Approfondimenti - Analisi - Dall’OCSE qualche timida buona notizia sul lavoro in Italia: cresce l’occupazione (ma non i salari)

Dall’OCSE qualche timida buona notizia sul lavoro in Italia: cresce l’occupazione (ma non i salari)

di Alessandra Servidori
23 Luglio 2018
in Analisi
Dall’OCSE qualche  timida buona notizia sul lavoro in Italia: cresce l’occupazione (ma non i salari)

L’OCSE – Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, ha pubblicato l’Employment Outlook 2018. Il rapporto presenta un quadro comparativo delle performance del mercato del lavoro in diversi paesi tra cui l’Italia, effettuando una panoramica dei punti di forza e di debolezza oltre che un’analisi delle prospettive future. Dall’Outlook emerge che le condizioni del mercato del lavoro nei paesi OCSE continuano a segnare un miglioramento rispetto al passato, con il tasso di occupazione medio più alto di 2 punti percentuali rispetto ai livelli pre-crisi nel primo trimestre 2018. Relativamente all’Italia, anche la percentuale di occupati rispetto al totale della popolazione di età compresa tra i 15 e i 74 anni è ritornata al livello pre-crisi, attestandosi al 50.9%. Le previsioni sono per un ulteriore miglioramento nel 2018 e 2019. Tuttavia, la crescita dei salari reali su base annua (0.6% nel quarto trimestre 2017) è sorprendentemente bassa, quasi un punto percentuale sotto il trend pre-crisi per livelli simili di disoccupazione.

La situazione del mercato del lavoro in Italia è migliorata negli ultimi anni ma più lentamente che in altri paesi. L’occupazione in percentuale della popolazione tra i 15 e i 74 anni è aumentata di 2,3 punti percentuali dal livello più basso nel 2013; al 50,9%, è quasi tornata al livello pre-crisi (51%). Le proiezioni OCSE suggeriscono che la tendenza positiva continuerà nei prossimi due anni  Il tasso di disoccupazione in Italia è sceso ma, all’11,2% nell’aprile 2018, rimane il terzo più alto tra i paesi dell’OCSE e 4,6 punti percentuali sopra il livello del 2008. I salari reali sono scesi dell’1,1% tra il quarto trimestre 2016 e il quarto trimestre 2017, rispetto a una media OCSE del +0,6% nello stesso periodo. La stagnazione della produttività e una percentuale significativa di lavoratori a basso reddito con contratti temporanei e/o part-time involontario contribuiscono a spiegare perché i salari reali in Italia scendano invece di risalire con la ripresa economica.

In merito alla qualità del lavoro e inclusività del mercato del lavoro gli indicatori di qualità e inclusività   mostrano un quadro variegato per i paesi OCSE. In media negli ultimi dieci anni si sono registrati miglioramenti con una riduzione del divario tra i redditi da lavoro, migliori prospettive per i gruppi svantaggiati e riduzione dello stress lavorativo. Tuttavia, il livello di insicurezza nel mercato del lavoro è ancora al di sopra dei livelli pre-crisi e la povertà è cresciuta tra la popolazione in età lavorativa.

La performance del mercato del lavoro italiano è al di sotto della media OCSE in tutti gli indicatori, tranne per quanto riguarda la qualità del reddito da lavoro. Non sorprende che, dato l’ancora elevato tasso di disoccupazione e l’incidenza di contratti a termine, il livello d’insicurezza nel mercato del lavoro (la probabilità di perdere il posto e restare senza reddito) sia il quarto più alto tra i paesi OCSE, dopo Grecia, Spagna e Turchia.  La povertà è aumentata: il 13,6% delle persone in età lavorativa vive in famiglie con un reddito inferiore al 50% del reddito medio. Erano il 10,7% nel 2006. 

Il divario occupazionale per i gruppi svantaggiati, come madri con figli, giovani, lavoratori anziani, stranieri e persone con disabilità parziali, è il quarto più alto tra i paesi OCSE ma è sceso un po’ negli ultimi dieci anni. Il divario tra i redditi da lavoro di genere è anch’esso superiore alla media. In quanto a assistenza immediata dopo la perdita del lavoro la situazione è molto grave. Ogni anno, tra l’1% e il 7% della forza lavoro dei paesi OCSE perde il posto di lavoro per ragioni economiche. In alcuni paesi questi lavoratori riescono a trovare un nuovo posto di lavoro molto più rapidamente che altrove, suggerendo che politiche ben mirate possono fare la differenza. In particolare, intervenire subito dopo la notifica e prima dell’effettivo licenziamento è cruciale per minimizzare il tempo di ricerca di un altro lavoro.

La creazione dell’ANPAL è stata un passo importante  – osserva l’Ocse- ma l’Italia deve continuare a investire nelle politiche attive. La priorità è assicurare uno stretto coordinamento con le regioni. Fornire ai centri per l’impiego personale adeguato e sviluppare strumenti di profilazione di chi cerca un lavoro è altrettanto importante per gestire un alto numero di persone in cerca di lavoro.  È, inoltre, necessario sviluppare una strategia d’intervento precoce per favorire il rapido reinserimento lavorativo. Chi perde il lavoro deve potersi registrare al centro per l’impiego appena ricevuta la notifica di licenziamento, anche prima della fine del contratto. Questa strategia sarà di più facile attuazione se l’erogazione del sussidio sarà legata all’avvenuta registrazione e a una ricerca attiva di un nuovo posto di lavoro. Il sussidio di disoccupazione copre solo una minoranza dei disoccupati . I sussidi di disoccupazione sono uno degli strumenti principali per legare favorire un contatto tempestivo e continuativo dei disoccupati con i centri per l’impiego ed il loro reinserimento lavorativo. Ma nella maggior parte dei paesi, meno di un disoccupato su tre li riceve. Nella prima fase della crisi alcuni paesi hanno reso l’accesso ai sussidi più facile e ne hanno esteso la durata. Tuttavia, nei paesi OCSE, il numero dei beneficiari continua a scendere seguendo il trend già in corso prima della crisi.

 In Italia meno di un disoccupato su 10 riceveva il sussidio di disoccupazione nel 2016, una delle percentuali più basse tra i paesi UE. Ciò deriva dalla combinazione di un’alta percentuale di disoccupati di lungo periodo e di una durata massima del sussidio relativamente bassa.  La percentuale di disoccupati coperti dal sussidio, però, dovrebbe migliorare con l’entrata a pieno regime della riforma degli ammortizzatori sociali contenuta nel Jobs Act.

 

 

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