Da pochi giorni è uscito in libreria “Generazione Tuareg: giovani, flessibili e felici”. Francesco Delzìo, autore del libro e direttore dei Giovani imprenditori di Confindustria, perché questo volume?
E’ un testo che si rivolge ai trentenni e quarantenni italiani e propone un nuovo manifesto di valori. Negli ultimi 15 anni sono scomparse le certezze tradizionali, sul lavoro e nella vita, e il mondo è cambiato rispetto a quello dei padri e dei nonni. Il problema è che pretendiamo di affrontarlo con gli stessi strumenti di allora, che oggi risultano inutili.
Nel concreto cosa c’è di sbagliato?
Il dibattito continua a soffermarsi sulla legge 30 ma la verità, confermata dai dati Istat, è che nel nostro Paese il mercato del lavoro è in linea con quello degli altri Stati europei. E qui arriviamo alla tesi del libro: in Italia non esiste ancora una flessibilità positiva.
Ovvero?
I lavoratori non accedono ai vantaggi dei servizi di rete. Faccio un esempio: per ottenere finanziamenti dalle banche i giovani devono fornire garanzie famigliari adeguate, mentre le abilità e il curriculum non vengono considerati. L’Italia è l’unico Paese europeo in cui questo accade; ecco cosa si intende per flessibilità negativa e perché non siamo competitivi sul mercato globale.
Cosa serve per cambiare la situazione?
Ci sono due problemi da risolvere. Prima di tutto il nodo dell’immobilismo sociale: basti dire che attualmente il figlio di un libero professionista ha dieci volte in più la possibilità di fare quel lavoro rispetto a un operaio. Va rivisto il sistema: bisogna liberalizzare le università, introdurre ammortizzatori dinamici e investire più risorse per la formazione.
E il secondo problema?
E’ di carattere culturale. Stiamo ancora scontando la degenerazione del ’68: dall’idea di uguaglianza siamo passati all’egualitarismo. E’ necessario liberarsi subito da questa visione, se vogliamo avere una società attenta al merito e capace di premiare i soggetti con più voglia e talento.
Quali sono le conclusioni?
Il libro ha un finale positivo. Sostiene che dobbiamo attraversare il deserto, ma dice anche che possiamo farlo adeguatamente se restiamo in gruppo.
Quindi?
Servono nuovi network generazionali, che devono nascere dal basso e restare svincolati da tutte le influenze, dall’oratorio fino al partito. Con l’impegno in prima persona possiamo rafforzare la coesione: ovvero scambiarci le rispettive esperienze senza individualismo, con l’obiettivo finale di crescere insieme.
Emanuele Di Nicola