Guido De Ruggiero, nella sua ponderosa Storia della Filosofia, liquida in una nota a piè di pagina colui che rappresenta un esempio preclaro dell’umana incostanza. “Curiosamente caratteristico – scrive citando Cicerone – è poi il caso di quel Dionigi di Eraclea, che abbandonò la dottrina di Zenone per un mal di reni che non riusciva stoicamente a sopportare, contro la dottrina da lui prima sostenuta, e venne pertanto alla teoria che sommo bene è il piacere”.
Altre fonti sostengono che la sofferenza fosse dovuta agli occhi, una grave oftalmia. Professava l’indifferenza al dolore e passò nel campo dell’edonismo. I greci lo soprannominarono Metathemenos, quello che ha mutato parere, il rinnegato. In vecchiaia ebbe però un ennesimo ripensamento e, forse pentito per aver invertito la rotta del suo pensiero, si lasciò morire di fame.
Di fatto, incarna la difficoltà di seguire precetti tanto rigorosi quanto astratti. Al contrario di Cleante, uno dei maestri dell’antica Stoa, che, come Aristone di Chio ed Erillo di Cartagine, si sforzò di far coincidere la dottrina con la vita. Voleva testimoniare giorno per giorno la praticabilità dell’impegnativa ortodossia, intrisa di distacco, rigore, continenza, dignità, indifferenza. Fu anch’egli suicida. Seneca, nelle lettere a Lucilio, lo loda per la capacità di mettere in pratica gli insegnamenti ricevuti.
Figure integerrime, almeno apparentemente. Ma distanti, statuette nel freddo pàntheon dell’etica individuale. Più simpatia suscita il vituperato Dionigi. Il morbo oculare lo rende debole e sincero. Perché sforzarsi di apparire imperturbabili quando si ha voglia di lamentarsi? Un’ostentata superiorità ha sempre un sapore falso.
Clemente da Ceppaloni, che già nel nome evoca tolleranza e malleabilità, si muove su questa lunghezza d’onda. Non uno stoico pentito ma un convinto epicureo, a cominciare dalla passione per le mozzarelle di bufala. Coerente nella sua incoerenza. Senza mai un ripensamento. Ha contribuito a far cadere per un pugno di voti Romano Prodi e ora è indicato quale tessitore della risicata maggioranza che ha rinnovato la fiducia a Giuseppe Conte. Rivendica, senza scoppiare a ridere, di essersi “assunto una responsabilità morale”.
Carlo Calenda ha menato scandalo per una presunta telefonata, proclamandosi indignato per il fatto stesso di essere stato contattato. Quasi fosse un untore.
Alessandra Lonardi, moglie del Nostro e senatrice, ha motivato il sì all’esecutivo con “uno slancio di generosità”. Pier Ferdinando da Bononia, pensatore dell’identica scuola peripatetica, in senso aristotelico e senza accezioni derisorie, invita a “riannodare i fili”, e ad “allargare la base di condivisione”.
D’altronde, la grillina Alessandra Maiorino insiste nel dire che non esistono “né destra né sinistra”. Così la politica diventa un grande cerchio, nel quale ci si muove con la massima leggerezza, in assenza di una riconosciuta forza di gravità. Altro che voltagabbana, responsabili, costruttori o trasformisti, comunque li si voglia chiamare a seconda delle convenienze.
Nostalgia della Democrazia Cristiana? Beh, Dionigi di Eraclea si sarebbe iscritto al partito che ha generato Mastella e Casini. Lì non c’era bisogno di una patologia della vista per cambiare la direzione dello sguardo.
Il governo va comunque avanti. La maggioranza è risicata, arduo prevedere come andrà a finire la legislatura, assediata dalla pandemia e dalla crisi economica. Due giorni di recite a soggetto hanno perlomeno fatto dimenticare la chiusura dei teatri. Il milanese Matteo Salvini supera in bravura il partenopeo Mario Merola e Giorgia Meloni presta l’accento romano alla sceneggiata napoletana.
Su Renzi, scomodando Karl Kraus, non mi viene in mente niente.
Marco Cianca