Il presidente della Bce Mario Draghi ha alzato i toni della retorica interventista, lanciando segnali sempre più chiari sulla possibilità di un imminente potenziamento degli stimoli all’economia a dicembre. “Se dovessimo stabilire che la nostra traiettoria di politica monetaria non è sufficiente a centrare gli obiettivi, faremo quello che dobbiamo per far risalire l’inflazione il più rapidamente possibile”, ha affermato intervenendo al congresso sul settore bancario europeo a Francoforte.
Con questa specifica frase il capo della Bce ha ripetuto le parole (lo ha sottolineato lui stesso) usate esattamente un anno fa nella stessa occasione, il 21 novembre 2014 sempre all’Opera di Francoforte, dove si tiene questo evento viene organizzato dalle maggiori banche tedesche. Un precedente che ha rilevo perché nel successivo Consiglio direttivo, il 4 dicembre 2014 Draghi annunciò il possibile potenziamento del piano di acquisti di titoli della Bce, quello che poi si sarebbe effettivamente deciso con il lancio anche di acquisti di titoli di Stato, iniziati a marzo.
In pratica, la parole pronunciate un anno fa venero seguite da una serie di decisioni che sfociarono nell’attuale quantitative easing da 60 miliardi di euro al mese. Il fatto che lo stesso Draghi abbia posto enfasi sul ripetere le parole di un anno fa è probabilmente un altro modo per cementare nei mercati l’attesa di misure in arrivo. Il Consiglio direttivo si riunirà giovedì 3 dicembre e negli ultimi due mesi i banchieri centrali hanno sistematicamente preparato il terreno al potenziamento degli stimoli all’economia.
Perché, questa è la giustificazione formale, l’inflazione dell’area euro resta pericolosamente bassa e il suo ritorno a valori accettabili, appena sotto il 2 per cento, sembra slittare in avanti. Questo fa aumentare i rischi che si inneschi la deflazione, pericolo che guarda caso per la prima volta è stato esplicitamente menzionato, ieri nel resoconto dell’ultimo direttorio (che si era svolto ad ottobre).
“Se dovessimo concludere che il bilancio dei rischi sulla stabilità dei prezzi nel medio termine risultasse inclinato al ribasso – ha detto Draghi – agiremo avvalendoci di tutti gli strumenti disponibili nell’ambito del nostro mandato”. E il contesto sembra proprio quello perché lo stesso presidente ha rilevato come “i venti contrari” sulla ripresa, che spirano dall’economia globale “sono aumentati”. “La ripresa si è dimostrata resistente agli shock, ma lo slancio resta debole per una economia che esce da una profonda recessione”.
La ripresa procede molto a rilento rispetto ai precedenti storici. “Se le nostre valutazioni sono corrette, ci saranno voluti 31 trimestri per tornare ai livelli di produzione pre crisi: accadrà nel primo trimestre 2016”. Invece dopo le crisi degli anni settanta, ottanta e novanta del secolo scorso i Paesi che ora compongono l’area euro impiegavano tra 5 e 8 trimestri per ritrovare i livelli di produzione precedenti.
Draghi ha ribadito che l’attuale programma di quantitative easing è uno strumento “potente e flessibile”, che consente di “calibarlo” a nuove necessità. Il primo versante di azione, ormai ritenuto quasi scontato, è che venga prorogato rispetto al termine attualmente prestabilito al settembre del 2016.
Una ulteriore possibilità è rappresentata dalla più volte menzionata capacità di “variare composizione e portata” del Qe. In pratica la Bce potrebbe acquistare più titoli, rispetto all’attuale ritmo da 60 miliardi di euro al mese, e di una tipologia più ampia, ad esempio rilevando anche le emissioni delle autorità locali.