Il 19 aprile l’Eni ha incontrato i sindacati di categoria Filctem-Cigl, Femca-Cisl e Uiltec-Uil in merito alla sentenza del tribunale del riesame di Potenza del 16 aprile che conferma la decisione dei sequestri del centro oli di Viggiano. Alla sentenza consegue il licenziamento di 354 dipendenti dello stabilimento, per i quali l’Eni consegna delle “lettere di sospensione contrattuale e degli ordini di lavoro dei fornito”.
A fronte di questi licenziamenti, il colosso petrolifero mette in campo due soluzioni: quella della riallocazione di parte dei dipendenti in altri impianti e quella della cassa integrazione.
Il presidente di FederPetroli Italia Michele Marsiglia definisce le soluzioni dell’Eni “un suicidio aziendale. Certamente – continua Marsiglia – con un sequestro la situazione non è facile, ma a soli pochi giorni dal sequestro non si possono decretare decisioni così azzardate”. Secondo il presidente Marsiglia, quello dell’Eni è stato un errore di gestione della politica di sviluppo industriale : “Se l’Eni avesse investito in questi ultimi anni sul territorio italiano con una diversificazione di attività e secondo una chiara Strategia Energetica in diversi segmenti dell’energia non si sarebbe arrivati a tutto questo”.
Il segretario regionale Fiom della Basilicata Emanuele De Nicola esorta la magistratura a “fare in fretta gli accertamenti”, proponendo all’Eni di approfittare di questo periodo di fermo “per le opere di manutenzione che potrebbero assorbire almeno parte dei cassintegrati.”
Gli impianti di Viggiano sono fermi dal 31 marzo in seguito all’inchiesta sul petrolio in Basilicata, per cui furono messi i sigilli a due vasche e a un pozzo di reiniezione.
Secondo i periti incaricati dalla procura le due sostanze utilizzate nel trattamento della componente gassosa estratta, la Mdea e il Teg, contaminano con la loro tossicità le acque in cui vengono versate dopo aver svolto il loro compito e che, a loro volta, vengono immesse nelle falde a 4000 metri di profondità. Le acque “contaminate” arrivano nelle due vasche del centro oli di Viggiano che le pompano in un pozzo di reiniezione in località Costa Molina. Secondo i periti della procura, dunque, il perpetuare i processi produttivi dell’Eni porterebbe al disastro ambientale. Il sequestro si fa percio’ “assolutamente necessario”, come si legge a pag. 867 dell’ordinanza del gip, e la richiesta è l’adozione da eni di tutte le azioni tese a modificare radicalmente i protocolli fino a oggi seguiti.
Per parte sua l’Eni, sostenuta dai rapporti dei docenti universitari incaricati della perizia, rifiuta di modificare un processo produttivo in atto in tutto il mondo, replicando che le sostanze usate non sono pericolose. In particolare, si legge nel rapporto, “la concentrazione nelle acque delle vasche di Viaggiano di Mdea sarebbe 100 volte inferiore al limite di pericolosità”, mentre il Teg “non è incluso nell’elenco delle sostanze pericolose”. L’Eni annuncia dunque che farà ricorso alla Corte di Cassazione contro la conferma dei sequestri. In una nota, la compagnia precisa l’intenzione di chiedere “un incidente probatorio tecnico in contraddittorio con la Procura.”